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Delinquenza post-modera - la società liquida di BAUMAN

Creato il 11 agosto 2011 da Demian

tratto dal "Corriere della Sera" del giorno 11 agosto 2011.

<< Queste non sono rivolte del pane o della fame. Queste sono rivolte di consumatori deprivati ed esclusi dal mercato. Le rivoluzioni non sono la conseguenza inevitabile delle ineguaglianze sociali, lo sono invece i terreni minati. I terreni minati sono quelle aree disseminate a caso di ordigni esplosivi: si può star certi che alcuni di essi, a un certo punto, salteranno in aria, ma nessuno è in grado di affermare esattamente quali e quando. Se le rivoluzioni sociali sono invece fenomeni mirati, ecco che è possibile intervenire per identificarle e disinnescarle in tempo. Ma non le esplosioni da terreno minato. Nel caso dei terreni minati per mano di soldati di un esercito, si possono inviare soldati di qualche altro esercito a rintracciare le mine per disarmarle. Un compito rischiosissimo, come dice l'adagio dei militari: «Lo sminatore può sbagliare una sola volta». Ma nel caso di terreni minati predisposti dalle diseguaglianze sociali persino un simile rimedio, per quanto pericoloso, è fuori della nostra portata: il compito di interrare le mine e quello di dissotterrarle deve essere eseguito dal medesimo esercito, che non può tuttavia smettere di aggiungere nuovi ordigni, né evitare di camminarci sopra — all'infinito. Disseminare le mine e cadere vittima delle esplosioni diventa allora un circolo inevitabile e inarrestabile.

Le diseguaglianze sociali, di qualunque genere esse siano, derivano dalla divisione tra coloro che hanno e coloro che non hanno, come fece notare Miguel Cervantes de Saavedra cinquecento anni or sono. Ma a seconda delle epoche, l'avere o non avere certi oggetti rappresenta, rispettivamente, la condizione più ardentemente ambita o più ferocemente risentita. Due secoli fa in Europa, e ancora pochi decenni fa in molti luoghi lontani dall'Europa, e oggigiorno nei teatri bellici dove si combattono guerre tribali o dove dettano legge i tiranni, il principale oggetto del contendere tra i ricchi e i poveri era la pagnotta, o la ciotola di riso.

Grazie a Dio, alla scienza, alla tecnologia e ad alcuni espedienti politici di buon senso, abbiamo superato queste emergenze. Il che non vuol dire, tuttavia, che l'antico divario sia morto e sepolto. Al contrario... Gli oggetti del desiderio, la cui assenza provoca una reazione scomposta e rabbiosa, sono oggi sempre più numerosi e variegati — il loro numero, anzi, aumenta di giorno in giorno, assieme alla tentazione di impadronirsene. Così crescono di pari passo il malumore, la rabbia, l'umiliazione, il risentimento rinfocolato dal non averli, come pure l'impulso di distruggere tutto ciò che non si può ottenere. Il saccheggio e l'incendio dei negozi sono la conseguenza di quello stesso impulso e soddisfano quello stesso desiderio.

Oggi siamo tutti consumatori, innanzitutto e soprattutto consumatori, consumatori per diritto e per dovere. Il giorno dopo la tragedia dell'11 settembre, nel suo appello lanciato agli americani per incoraggiarli a superare il trauma e tornare alla normalità, il presidente Bush non trovò niente di meglio da dire che «ricominci ate a comprare». È il livello della nostra attività di acquirenti e la facilità con cui ci sbarazziamo di un oggetto di consumo per sostituirlo con una versione più «nuova e aggiornata» a fissare i parametri fondamentali del nostro status sociale e il nostro punteggio nella corsa al successo. A tutti i problemi che incontriamo sul nostro cammino, noi cerchiamo la soluzione nei negozi.

Dalla culla alla bara, siamo stati istruiti e addestrati a considerare i negozi come farmacie

traboccanti di medicamenti per curare o almeno alleviare ogni malattia e afflizione della nostra vita individuale e collettiva. I negozi e lo shopping acquisiscono pertanto una vera e piena dimensione escatologica. I supermercati, nella celebre citazione di George Ritzer, sono diventati le nostre cattedrali; e di conseguenza, mi sia consentito di aggiungere, la lista della spesa è diventata il nostro breviario, le processioni nei centri commerciali i nostri pellegrinaggi.

Nulla ci emoziona e ci riempie di entusiasmo come acquistare per impulso e scartare oggetti che non ci piacciono più per sostituirli con altri, più invitanti. La pienezza della gioia del consumo equivale alla pienezza della vita. Compro, ergo sono. Comprare o non comprare, questo è il problema.

Per i consumatori senza accesso al mercato, i veri poveri di oggi, il non poter acquistare è lo stigma odioso e doloroso di una vita incompiuta, la conferma della propria nullità e incapacità. Non semplicemente l'assenza di ogni piacere, bensì l'assenza della dignità umana, l'impossibilità di dare un senso alla propria vita e, da ultimo, la privazione stessa di umanità, autostima e rispetto per gli altri.

I supermercati saranno anche cattedrali aperte al culto per i fedeli, ma per gli esclusi, gli

scomunicati, gli indegni, per tutti coloro che sono stati allontanati dalla Chiesa del Consumo, essi rappresentano le postazioni del nemico, erette nei deserti dell'esilio. Quei bastioni fortificati sbarrano l'accesso ai beni che tutelano altri da un così triste destino. Il presidente Bush sarebbe d'accordo nell'affermare che essi impediscono il ritorno alla «normalità» (e addirittura l'accesso alla normalità, per quei giovani che non hanno mai partecipato al culto).

Griglie e saracinesche di ferro, telecamere di sorveglianza, guardie di sicurezza appostate

all'ingresso e in borghese all'interno, non fanno altro che confermare l'atmosfera di campo di battaglia e di ostilità in corso. Queste cittadelle armate e sorvegliate, popolate di nemici

asserragliati nel territorio di coloro che non hanno, ricordano agli abitanti, giorno dopo giorno, la loro miseria, la loro incapacità, la loro umiliazione. Insolenti nella loro presuntuosa e arrogante inaccessibilità, sembrano urlare parole di sfida e provocazione: ma a che cosa? >>

Testo pubblicato sul Social Europe Journal

(traduzione di Rita Baldassarre)

E' difficile esprimere considerazioni su complesse tematiche sociali, quando si ha a che fare con pareri autorevoli di eminenti professori, nel caso il Sociologo e Filosofo Zygmunt Bauman, mostrando il dovuto rispetto, ma senza che lo stesso sia pure reverenza e condivisione, oppure momento di fomentazione e giustificazione di eventi di cronaca.

In primis il paragone del campo minato con le rivoluzioni sociali appare una bruttura incredibile, non riesco ad immaginare (per mio limite, ovvio) una rivoluzione di uomini come la fisica sistemazione di ordigni, e tanto meno posso paragonare una semplice reazione chimica ad un forte evento culturale di massa. Forse l'unica somiglianza è la generazione, in entrambi i casi, di perdite umane.

Gli eventi di cronaca che si stanno compiendo a Londra in questi giorni non sono una rivoluzione promossa da giovani vittime sociali che, sulla corsa del consumismo capitalistico e della gara del possesso di oggetti simbolo, non è il collasso di una generazione sottomessa come negli stati africani, non è la rabbia di chi sfascia e distrugge per ottenere quei simboli preclusi dai processi fisiologici di stratificazione sociale.

Troppo comodo trovare giustificazioni così elevate, lo scienziato giustamente cerca causa ed effetto in tutte le azioni, cerca di comprendere e motivare gli eventi, capire e catalogare.

Qui si incorre nel rischio di impreziosire con teoremi da manuale la selvaggia lotta di una banda di delinquenti, viziati e svogliati, che in larga parte già possiede tutte quelle simbologie capitalistiche, ma di fatto ne vuole altre senza sborsare il costo necessario per la transazione.

Si osserverà, ma è proprio quello che dice Bauman! Condivido il compro ergo sum, ma qui si tratta di spacco tutto e rubo perchè voglio senza pagare giacché per pagare occorrono i soldi che si guadagnano con il lavoro! Ed io conosco solo il verbo voglio, quasi con una morbosità tipica del neonato con il suo giochino.

Allora non si parla più di società liquida, ma di società lattante che non ha avuto nessun sviluppo esperienze cognitive diverse da quelle dei propri bisogni. Non si parli di fenomeno di rivoluzione sociale (che fa tanto romantico e piace ai lettori) ma piuttosto si parli di giovani celebrolesi per mancata attivazione di tutti quei meccanismi del cervello che rendono una persona integrata e partecipe nel proprio contesto sociale.


Se qualcuno ha letto il mio post sull'errore anarchico magari comprende meglio a cosa mi riferisco.

Mi spiego meglio, forse banalizzo eventi sociologici di grande portata, ma sopravalutare un delinquente e caratterizzare il suo agire meschino, rischia di farne un eroe piuttosto che uno da carcerare e rieducare alla civile convivenza.

E' successo anche in Italia durante il G8, quando un teppista di strada che sovvertiva le leggi con violenza tipica dell'anarchico, non capendo per nulla il suo agire al punto che ha ricevuto la stessa morte che avrebbe potuto tranquillamente lui procurare ad altri, dicevo tale teppista è stato trasformato in eroe nazionale, simbolo e vittima per eccellenza. Al punto da essere rappresentato sulle più alte stanze, di fianco a chi per l'Italia ha dato la vita al fine di crearle e non di distruggerla.


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