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Della scelta dei mezzi per raggiungere il fine

Creato il 15 settembre 2010 da Idl3

Non sappiamo quale sia esattamente la diffusione delle distribuzioni GNU/Linux sui Desktop, che sia l’1% o il 5% o addirittura un’improbabile 10% poco importa, le “statistiche” fatte cosi’ lasciano il tempo che trovano. In ogni caso ci accorgiamo tutti che si tratta comunque di quote di mercato che chi vorrebbe GNU/Linux in ogni computer reputa ancora basse. Allora tutti a pensare a come diffondere il piu’ possibile GNU/Linux in generale o la distribuzione PincoPallino in particolare.

Della scelta dei mezzi per raggiungere il fine

Ma la diffusione e’ proprio cosi’ importante? Certo, e’ un fine ammirabile, ma se diventa “il fine” e non “un fine“, se cioe’ gli si da troppa importanza, si finisce inevitabilmente per cadere in una trappola. Questa trappola e’ riassumibile con due frasi, la prima attribuita erroneamente a Niccolo’ Machiavelli (che non l’ha mai scritta, ma e’ utile al mio scopo), la seconda di Abraham Maslow. Le frasi sono:

  • Il fine giustifica i mezzi;
  • Suppongo sia allettante, se l’unico strumento che hai e’ un martello, trattare tutto come se fosse un chiodo.

Cerco di chiarire meglio il mio pensiero.

Della scelta dei mezzi per raggiungere il fineIL FINE E I MEZZI – Se il fine e’ quello della diffusione allora diventa giustificabile l’utilizzo di mezzi non in linea con i valori del software libero, se non addirittura contrari. Diventa giustificabile inserire nella distribuzione del software proprietario, inserire e utilizzare driver proprietari, fare di tutto per rendere piu’ semplice la vita dell’utente e piu’ gradevole il suo approccio con la distribuzione PincoPallino. Perche’ se la distribuzione non e’ user friendly non potra’ diffondersi. Resta da vedere cosa si intende per user friendly. Alcune definizioni sono veramente divertenti:

“Tipo di software di facile usabilita’. Prende l’utente per mano e, anche grazie ad una interfaccia grafica (GUI) accattivante e all’uso di menu, pulsanti, icone, mouse, lo accompagna amichevolmente alla finalizzazione del compito prefisso.”

Mi piace di piu’ la definizione di usabilita’ che da’ Wikipedia (anche se un po’ vaga):

“L’usabilita’ e’ definita dall’ISO (International Organisation for Standardisation), come l’efficacia, l’efficienza e la soddisfazione con le quali determinati utenti raggiungono determinati obiettivi in determinati contesti. In pratica definisce il grado di facilita’ e soddisfazione con cui l’interazione uomo-strumento si compie.”

Per raggiungere il fine della massima diffusione sembra inevitabile scendere a compromessi, mettere programmi nuovissimi anche se non al massimo ella stabilita’ (e della sicurezza in certi casi), mettere software proprietario, con buona pace dei valori del software libero. Il tutto perche’ l’utente deve trovarsi di fronte un sistema operativo accattivante, aggiornatissimo, facile e amichevole:

  • accattivante per la grafica eccezionale, anche se affamata di risorse e non efficiente;
  • aggiornatissimo con programmi e librerie sempre nuove, anche a costo di sacrificare stabilita’ e/o sicurezza;
  • facile, nel senso che l’utente viene guidato dal sistema, perdendo dunque in molti casi la possibila’ di raggiungere con efficacia certi obiettivi (o addirittura l’impossibilita’ di raggiungere certi obiettivi);
  • amichevole, ma quanto puo’ essere amichevole un sistema operativo che prende l’utente per mano, anzi, lo prende proprio in braccio? Un amico ti aiuta a fare le cose, non ti da ordini dicendoti quando e come farle.

Bisogna porci alcune domande. Per raggiungere la massima diffusione serve un sistema operativo che soddisfi gli utenti, che dia loro cio’ che desiderano? Ma, prima di tutto, di quali utenti stiamo parlando? La maggior parte dei/degli consumatori/utenti desiderano cio’ che pensano dovrebbero desiderare, siccome in campo informatico hanno sempre conosciuto sistemi operativi con determinate caratteristiche, pensano sia necessario che un sistema operativo abbia quelle caratteristiche. Una volta che una persona si e’ creata determinati gusti e si e’ convinta di avere determinati bisogni, e’ molto difficile cercare di farle cambiare idea, e’ molto piu’ semplice disegnare un prodotto che soddisfi quei gusti e quei bisogni. In quel caso non stiamo piu’ partendo da un prodotto per poi diffonderlo, ma stiamo creando un prodotto adatto ad essere diffuso al largo pubblico. Il che e’ leggittimo, ma non e’ cio’ che serve al software libero.

Inoltre non e’ mica vero che i sistemi operativi proprietari hanno tutte quelle caratteristiche. Non credo che Windows sia accattivante, aggiornatissimo, facile e amichevole. Dunque perche’ queste caratteristiche dovrebbero essere determinanti (indispensabili) per la diffusione delle distribuzioni GNU/Linux? E soprattutto, perche’ per ottenere queste caratteristiche GNU/Linux dovrebbe rinunciare alla stabilita’, alla sicurezza o alla liberta’ del software?

Il fine di una distribuzione GNU/Linux non e’ la sua diffusione, e’ la liberta’ del software, e a questa non si dovrebbe rinunciare, perche’ e’, e deve essere, il vero fine. Se poi in conseguenza della diffusione della consapevolezza dell’importanza del software libero e della “pericolosita’ sociale” del software proprietario si raggiunge anche la diffusione, ben venga, ma la diffusione non puo’ essere il fine che giustifica la perdita’ della liberta’.

Della scelta dei mezzi per raggiungere il fineNON ESISTE SOLO IL MARTELLO – La frase “suppongo sia allettante, se l’unico strumento che hai e’ un martello, trattare tutto come se fosse un chiodo” riguarda la percezione, se abbiamo solo il martello percepiamo tutto il resto come chiodo, perche’ e’ piu’ facile cosi’ piuttosto che pensare di avere in mano uno strumento che non ci serve. Se l’unico mezzo che conosciamo e’ un tipo di marketing utilizzato dai sistemi operativi proprietari, e i sistemi utilizzati per la promozione e diffusione di questi sistemi operativi, siamo portati a ritenere che non ci siano altri strumenti. Dunque trattiamo tutti i sistemi operativi come proprietari. Diventa cosi’ ovvio e naturale ritenere che per ottenere il successo (in termini di diffusione) di una distribuzione GNU/Linux occorra andare incontro alle esigenze (vere o presunte, naturali o artificiali) dei/degli consumatori/utenti. E’ scontato il ricorso a forme di pubblicita’ che includono canali non in linea con il software libero. Perche’ questi sono gli unici strumenti che conosciamo. Abbiamo il martello e ci viene naturale usarlo su tutto. Ma nel Mondo non ci sono solo chiodi, ci sono anche viti, bulloni, ecc., che rispettivamente richiedono cacciaviti, chiavi, ecc. Il sistemi operativo GNU/Linux non e’ un sistema operativo proprietario, servono dunque strumenti adatti, diversi da quelli utilizzati per i sistemi operativi proprietari.

Se non abbiamo e/o conosciamo altri strumenti al di fuori del martello, dobbiamo imparare a costruire o cercare gli strumenti che ci servono. Il tipo di marketing utilizzato dai sistemi operativi proprietari non e’ detto che sia valido anche per i sistemi operativi non proprietari. C’e’ chi ritiene che quel tipo di marketing sia indispensabile per la diffusione delle distribuzioni GNU/Linux e scrive dunque:

“When Ubuntu was conceived, the Linux ecosystem was in a sense fully formed. We had a kernel. We had GNOME and KDE. We had X and libc and GCC and all the other familiar tools. Sure they had bugs and they had shortcomings and they had roadmaps to address them. But there was something missing: sometimes it got articulated as ‘marketing’, sometimes as ‘end-user focus’.”

Della scelta dei mezzi per raggiungere il fineMa non ha prove che proprio quel tipo di marketing, usato per i sistemi operativi proprietari, sia valido anche per GNU/Linux. L’1% o quello che e’ non permette certo di dire che quel tipo di marketing sia un successo per Ubuntu e Canonical. Certo, ha ottenuto qualcosa, ha avvicinato molti utenti (ma non poi cosi’ tanti) a GNU/Linux, ha creato un’immagine di GNU/Linux piu’ “accattivante“, ma solo su un pubblico ancora limitato (come numero), ha creato piu’ visibilita’ (a chi o a cosa?).

I cosi’ detti “successi di Ubuntu” pero’ non si discostano molto da quelli di altre distribuzioni orientate all’utente medio. L’utente che vuole un sistema che funziona, aggiornato, accattivante e facile da usare ha bisogni difficili da soddisfare a meno di scendere a compromessi. Si accorgeranno presto (ma son certo che lo sappiano da tempo), che per soddisfare il maggior numero di utenti, bisogna guardare gli utenti come consumatori, dare loro cio’ che vogliono, cio’ che il mercato ha fatto loro credere di volere. E bisogna scendere a sempre maggiori compromessi, rinunciando a gran parte dei valori del software libero.

Perche’ e’ questo che richiede il marketing utilizzato da chi produce software proprietario, utilizzando gli strumenti di promozione tipici del software proprietario. E se nel fare questo si raggiungesse la diffusione di una distribuzione pagando pero’ come costo la perdita della liberta’, lo si potra’ chiamare comunque un successo? Secondo me no.

Della scelta dei mezzi per raggiungere il fineLA SCELTA E LA CREAZIONE DEI MEZZI – Andrebbero allora cercati o creati altri canali, altri strumenti, costruendo un tipo di marketing piu’ in linea con i valori del software libero, in sintonia con l’idea di liberta’ che si vuole diffondere. Creare dei canali per promuovere l’importanza e i valori del software libero, i suoi pregi e, perche’ no, anche i suoi attuali limiti.

Tutto sta’ nel cercare di capire come farlo, quali strumenti utilizzare, quali canali cercare o creare per poter raggiungere un vasto pubblico e riuscire a comunicargli l‘importanza di utilizzare software libero.

Direte: “Tutto bello, tutto teorico, ma irrealizzabile, bisogna restare con i piedi per terra“. Restate pure con i piedi per terra e il vostro martello in mano a martellare la vostra distribuzione GNU/Linux, io preferisco cercare di capire quale e’ lo strumento giusto da utilizzare.


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