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Della sconnessione mentale

Da Dalailaps @dalailaps
Della sconnessione mentaleFoto di Luisa/Samsara, che ringrazio.    Gran parte dei miei anni li ho vissuti in una piccola penisola dell’alto Adriatico. La vicinanza con la spiaggia di quel posto è sempre stata una cosa molto importante per me.Amavo passeggiare sulla sabbia, anche d’inverno, per pensare alle cose che mi accadevano o avrei voluto accadessero.
Quando mi sono trasferita a Udine ho provato un lungo periodo di inquietudine. Non si trattava di semplice malinconia. Era una sensazione più complessa, il bisogno di quel piccolo spazio di mondo in cui mi veniva semplice riuscire sia a pensare che smettere di farlo. Perché di momenti in cui si vuole smettere di pensare ce ne sono a bizzeffe.
L’inverno di dove vivevo era ricolmo di una nostalgia strana. Si trattava di quella sensazione che diventa facile da riconoscere soprattutto a certe persone, per chi ha una particolare vena elegiaca e trova poesia nelle giornate fredde di un paese che vive di turismo estivo.La malinconia per quel mare che ero abituata a vedere tutti i giorni si fece grande. Uso la parola malinconia, anche se come vi ho appena detto non credo si tratti del suo concetto autentico: la cosa che provavo ha un tocco di saudagi. Ma, ancora, non è puramente di questo che si tratta.
Ad oggi mi capita spesso di ripensare a quel particolare luogo della mia vita, un punto dove smettere di pensare sembrava quasi dovuto a qualcosa di magico. La sensazione che provavo è paragonabile all’idea di entrare per un po’ in una sorta di particolare squarcio spazio-temporale: per un attimo le cose brutte della tua vita cessano di esistere, smettono di tamburellare con le loro dita sui tuoi pensieri buoni, con impazienza, e persino il tuo passato e le tue cattive scelte vengono spazzati via come da una gomma, da una passata di bianchetto che rende tutto pronto per essere riscritto.
Nella Udine invernale c’è tanta acqua, ma si tratta di pioggia. Una costante e surreale pioggia. Vivendoci da più di due anni e avendoci prima studiato per altri tre, ho imparato a voler bene anche a panorami diversi: dalla mia finestra al quinto piano vedo montagne innevate e non più distese di acqua scura.Quest’inverno è stato il più assurdo di sempre, ma non parlo solo di previsioni meteo: giorni di poca o tanta neve (e con tanta intendo tempeste che ti fanno fare tragitti di un quarto d’ora in sei volte quel tempo), giorni di pioggia che scioglie la neve e rende difficili le camminate (a chi come me è particolarmente predisposto a scivolare sui suoi stessi piedi) e giornate di sole incredibilmente primaverile. Negli ultimi giorni sono rimasta accecata dalla coperta bianca e uniforme che aveva coperto il parco sotto casa, affascinata dalle gocce d’acqua sulla finestra e dalla particolare capacità del mio gatto di dormire seguendo i movimento del sole, spostandosi in base a dove la luce attraversa le mie tende azzurre.
Ieri è tornato il sole e ha iniziato a scaldare tutto in un modo estremamente piacevole, tanto da sentirsi come se fosse già tempo di Pasqua.
Ho aperto un po’ la finestra ed è subito entrata un’ape.
Me ne sono tornata a letto e ho continuato a leggere per cercare di non pensare ad altro, perché nelle ultime settimane sento i pensieri pulsarmi sulle tempie tanto da restare quasi in apnea.
L’ape volava e si riappoggiava sul vetro non capendo come fare per uscire.
Arrivano quei momenti in cui litighi con qualcuno, per ragioni e natura variabili, fai delle scelte, difendi le tue opinioni, ricevi accuse personali illegittime. Oppure la tua salute fa le bizze e al lavoro è stata una di quelle giornate assurde, in cui ti senti come un elefante in mezzo a una sala di bicchieri di cristallo che deve arrivare all’uscita senza rompere niente.
E quell’ape continuava a volare accanto alla finestra mentre io col libro in mano mi sono messa a guardarla per un po’: si alzava e si riappoggiava su un’altro punto del vetro cercando di ritrovare quella corrente con cui era entrata, per provare a risalirla. Il mio gatto, ovviamente, s’era svegliato e la osservava dal suo punto del pavimento illuminato dal sole.
Ci sono quei momenti in cui ti senti talmente pieno di pensieri che ti sembra di sentire delle voci che tentano di sorpassarsi per importanza e come macchine di formula uno in curva; delle volte ti chiedi se davvero valga la pena concentrarsi su tutto per cercare dei perché o qualche logica. Gli argomenti sono vari. Salute, amicizia, lavoro, nostalgia, relazioni, parole e azioni più o meno decifrabili o gestibili. Stonature e sbavature di vita con cui conviviamo tutti.
Poi, ieri, ho guardato quell’ape.
I pensieri nella mia testa battevano martellanti come un picchio, lei saltava sul vetro per trovare una soluzione al suo problema. In un momento, facendo le stesse cose che aveva fatto fin quell’istante, è riuscita a uscire. È rimasta anche davanti alla finestra prima di volare via: mi è sembrato mi dicesse qualcosa e se fosse stato un cartone animato mi avrebbe pure fatto l’occhiolino.
E lì, ieri, ho smesso di pensare.
Perché per quanto le azioni che fai possono essere quelle per te più comuni e per quanto in certi posti la cosa ti venga più semplice, i pensieri puoi provare a gestirli e a controllarli, a dargli una direzione, ma ogni tanto arriva come in un lampo quella forte capacità di lasciarli andare in aria e fuori dal tuo possesso, semplicemente. Magari facendo un occhiolino a te stesso perché ce l’hai fatta a sorvolare.
A superare.  

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