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Demoni e meraviglie - personale di Angela Loveday a Torino

Creato il 22 maggio 2011 da Roberto Milani
Le amiche de LaContemporanea Studio|ArtGallery di Torino, mi hanno chiesto di essere co-curatore della prossima personale di Angela Loveday: "Demoni e meraviglie" che si inaugurerà, presso il loro spazio, il prossimo 16 giugno. E' ovvio che la cosa mi lusinghi. 
Angela, come mi è già capitato di scrivere più volte (qualche testimonianza la trovate anche su questo blog...) è brava, dotata e capace. Una vera artista. Ecco, in anteprima il testo che accompagnerà, per quel ch mi concerne la mostra:

Demoni e meraviglie - personale di Angela Loveday a Torino

Angela Loveday



Demoni e meraviglieDemoni e meraviglie Venti e maree Lontano di gia' si è ritirato il mare E tu Come alga dolcemente accarezzata dal vento Nella sabbia del tuo letto ti agiti sognandoDemoni e meraviglie Venti e maree Lontano di gia' si è ritirato il mare Ma nei tuoi occhi socchiusi Due piccole onde son rimasteDemoni e meraviglie Venti e maree Due piccole onde per annegarmi.
Jacques Prévert
Della follia e del turbamento
In veste di curatore, di questa mostra, al contrario di quanto i lettori si possano aspettare non parlerò di colori, tecnica, capacità espressive, mercato, opportunità e tutte le solite cose, oramai omologate, che si leggono in qualsiasi testo che accompagna una qualsiasi mostra.
Ne parlerò più di tanto, dell’artista in sé.
Cercherò solo di fare qualche riflessione. Che vogliate condividerla o no, non è affar mio. È un problema vostro.
Scoprirete, ammirando alcune delle opere esposte in questa mostra, che ci sono molte similitudini con tanta arte del passato. Anche se i mezzi espressivi sono differenti, ed i temi trattati siano spesso in antitesi.
Guardando attentamente i lavori esposti ho avuto un rimando immediato ad alcuni lavori rinascimentali, ed in particolare al sommo Guido di Pietro, a tutti noto come Beato Angelico (1395 ca – 1455)

Demoni e meraviglie - personale di Angela Loveday a Torino

Annunciazione (Madrid, Museo del Prado)

Confronto questo, certamente scomodo, azzardato e quasi funambolico, ma, come anticipato, è una mia riflessione.Il rimando va all’utilizzo di certa architettura e alla staticità e all’immobilismo delle figure.
Ma lasciamo da parte le citazioni e i riferimenti, che possono sembrare, agli occhi degli appassionati d’arte, troppi. La realtà, di fatto, è che non ce ne sono. Soprattutto se partiamo dal concetto che “l’arte nasce dall’arte” (per inciso, non sarebbe esistito, molto probabilmente, un Leonardo pittore senza il Verrocchio… Tiziano senza Giorgione… e via dicendo…) e focaliziamo l’attenzione sul lavoro di Angela Loveday, alle prese con la sua prima personale in terra Sabudia.Il suo è un modo di fare arte, assolutamente libero, intelligente e raffinato. Come mi è già capitato di scrivere, in un precedente testo, sempre per Angela, lei è “portatrice sana di qualità” e ora a distanza di tempo posso non solo riconfermare quanto scritto ma anzi, aggiungere anche “ sana e intellettualmente elevata qualità”
Parto da una certezza: Angela è artista! Usa fotografia e video, ma non solo. Di una bellezza anti-democratica, due lauree nel cassetto una terza in arrivo, una preparazione fuori dal comune ed una cultura più che invidiabile. Ogni volta, investimenti importanti (fra scenografia, modelle e modelli, costumeria e oggettistica) per ottenere il singolo scatto ed una minuziosa, maniacale attenzione al particolare.Una vita in continuo movimento, una vita sociale compulsiva ed una lucidità di analisi di straordinaria efficacia. Cronista attenta e poetessa sensibilissima, quasi fragile.
Dei turbamenti della propria anima, solo gli artisti ed i folli ne parlano. Ognuno con i propri mezzi, con disinvoltura.
Incubi, paure, incertezze. È solo questione di coraggio, quello di mettersi a nudo e parlarne.
L’artista , quando è tale, possiede questo coraggio e lo fa, si mette a nudo. Senza ipocrisie, senza timore della critica, contro tutti e tuttoLo fa ogni volta che si accinge a produrre, che ne sente l’esigenza, che subisce un qualsiasi turbamento.Che sia dipinto, scultura o quant’altro.
Soffermandosi a guardare le opere di Angela Loveday, si instaura immediatamente un dialogo diretto con l’anima dell’artista. Anche lei, che artista lo è per davvero, ha il coraggio e si spoglia. Si mette a nudo, si priva di tutte quelle infrastrutture, spesso mentali, e ci offre una “visione visionaria” del suo io.Si mette in discussione, ci svela  in suoi più intimi segreti e ce li racconta. Attraverso metafore, racconti e favole.Lo fa attraverso un universo quasi gotico di immagini, di ambientazioni.
Il risultato è di una bellezza sconvolgente, quasi disarmante, ma assolutamente sincero. Provocatoria, ci propone un’immagine coinvolgente, che in qualche maniera attrae lo spettatore e lo invita ad essere a sua volta, se non “protagonista”, “comparsa” di quella scena. Che ci piaccia o no.
Questo conferma una delle tante teorie dell’arte: “l’arte è verità”.Verità a volte scomode, ma vere.
Intrattiene il “visitatore” con una efficacia potente, data dalla sapiente capacità di utilizzare il mezzo espressivo che per lei non ha più segreti: la luce.Sì, avete letto bene, non parlo di mezzi come fotografia, video o varia altra tecnologia. Il suo strumento è la luce. Infatti, i suoi scatti sono caratterizzati, da una luce solo all’apparenza naturale, sapientemente gestita, plasmata come fosse creta, avvolgente come fosse una guaina, impalpabile come fosse polvere.Eppure l’occhio è rapito dall’insieme. Dalla ricchezza dei costumi, dalla efficacia delle ambientazioni dall’attenzione posta in ogni minimo dettaglio.
Allora l’occhio cade su di una gabbia, una crepa sul muro, un animale di peluche o uno fra i mille particolari che colmano la visione d’insieme dell’immagine. Solo dopo avere saziato l’occhio, si inizia a sentire quel senso di “saturazione”, che finalmente colpisce anche l’anima. Ora anche noi siamo a messi nudo ed iniziamo a riflettere. Angela Loveday non produce delle fotografie ma solamente specchi, specchi per l’anima.
In una giornata qualunque, Roberto Milani

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