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Di cosa è fatto il bosone di Higgs?

Creato il 24 marzo 2014 da Media Inaf

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Qualche anno fa, prima che venisse effettivamente osservato, l’esistenza o meno del bosone di Higgs era diventata nelle parole di molti la prova decisiva per la bontà del modello standard (MS): se all’LHC fossero riusciti a vederlo – sembrava di capire in quei giorni – allora il MS sarebbe stato salvo. Altrimenti avremmo avuto bisogno di “nuova fisica” per descrivere le interazioni e le dinamiche delle particelle elementari. Oggi, a quasi due anni dall’annuncio dell’osservazione del bosone di Higgs, possiamo allora considerare il modello standard al sicuro? No, non proprio.Secondo il MS tutto ciò che ci circonda è costituito dalla composizione e l’interazione di due grandi categorie di particelle, i quark e i leptoni. Questi mattoncini di materia infinitesimamente piccoli si distinguono grazie a una proprietà intrinseca che i fisici hanno deciso di chiamare “colore” (un’etichetta come un’altra, che non c’entra nulla con lo spettro visibile emesso o con qualche fantomatica pigmentazione delle particelle). Non tutto, però, è così semplice come potrebbe sembrare.

Le attuali teorie fisiche sulla composizione della materia sono sufficientemente valide, ma il MS rimane comunque un modello, ovvero una descrizione della natura ad essa fedele solo in una qualche approssimazione. E se per la maggior parte dei fenomeni il MS rimane una rappresentazione affidabile, ci sono delle cose che non riesce a prevedere né a spiegare. Tra queste le più importanti sono l’interazione di particelle a energie estremamente alte, l’oscillazione di neutrino e la dissimetria presente nell’universo tra materia e antimateria.

Uno dei conti che non tornano con il MS, e che più sembra appassionare i fisici teorici, è quello che viene chiamato problema della gerarchia. È un problema molto sottile e molto complesso, che può essere però in questo caso riassunto così: per quale motivo le particelle hanno le masse che hanno? E in particolare, perché il bosone di Higgs è molto più leggero rispetto alla massa di Planck? Dalla teoria ci si aspetterebbe una massa decisamente diversa da una particella con il suo ruolo.

Nel corso degli anni sono state ideate varie teorie che rispondessero a questo enigma. Tra le più accreditate, subito dopo le cosiddette teorie supersimmetriche, ci sono le cosiddette teorie technicolor. Secondo i sostenitori di questi modelli (estensioni del MS e non suoi completi rivali), il bosone di Higgs non deve essere considerato una particella elementare, quanto piuttosto un condensato di diverse (e nuove) particelle tenuto assieme da un nuovo tipo di interazione. Il bosone sarebbe insomma al suo interno costituito da un’aggregazione di un nuovo tipo di quark, per ora sconosciuto e mai osservato. Come spiega Lee Smolin nel suo L’universo senza stringhe, dal momento che questa soluzione sembrò in un primo momento puramente una “toppa tecnica” al problema, questi quark vennero chiamati techniquark (mentre il “color” di technicolor è proprio un riferimento al “colore” della forza nucleare forte che lega i quark in protoni e neutroni).

Teorie di questo tipo hanno ormai qualche decennio di vita sulle spalle. A che punto siamo oggi? Per ora i techniquark non sono mai stati individuati. In più, all’indomani della presentazione dei dati dell’LHC, la teoria technicolor sembrava essere destinata a una fine precoce proprio a seguito dell’osservazione stessa del bosone di Higgs (si legga ad esempio quest’articolo su Nature). Ma la bellezza delle teorie ancora incomplete sta proprio nella loro versatilità e nella loro capacità di adattarsi. E i sostenitori dell’esistenza dei techniquark sono oggi sempre più convinti delle potenzialità di questi modelli, anche nel “dopo Higgs”. Tra loro c’è Thomas Ryttov, che ha da poco pubblicato un nuovo studio teorico dedicato all’analisi di alcune criticità di questi modelli. “Ho dato loro una revisione molto critica, e non sembra esserci nessuna carenza nuova o non vista. La mia analisi le lascia lì dove sono, ancora più forti”, dice Ryttov, che fa parte del centro CP ³ – Origins della University of Southern Denmark. “Qui a CP ³ siamo interessati all’individuazione di queste particelle ancora sconosciute. Sappiamo che ci deve essere una forza che le unisce , in modo che insieme possano creare qualcosa di più grande di loro, qualcosa di composito, una particella di Higgs”, spiega.

Il nuovo banco di prova di queste teorie sarà proprio tra qualche mese, sempre a Ginevra. A inizio 2015 il Large Hadron Collider  tornerà infatti in funzione con maggiore luminosità e maggiore energia di collisione dei fasci, e quindi più probabilità di osservare fenomeni rari. O nuove particelle.

Fonte: Media INAF | Scritto da Matteo De Giuli


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