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Di mezza mattina all’autogrill.

Da Stroszek85 @stroszek85

Di mezza mattina all’autogrill.

Di mezza mattina all’autogrill, sempre quel solito autogrill, è il consueto viavai di gente svogliata. Sono quelle ore in cui è possibile avere voglia di un caffè o di un panino senza che nessuno abbia da stupirsi dell’una o dell’altra scelta; non troppo tardi per il caffè, non troppo presto per il panino. Un’osservazione che potrebbe sembrare peregrina, ma che di fatto non lo è, se si pensa ai ritmi della provincia, dove il più del tempo ci si ritrova a tu per tu con i casi degli altri, senza curarsi minimamente dei propri. D’altronde non è che ci si possa stupire, vista la svogliatezza e la noia che imperversano fra qualche fruscio di vento e il calore del sole sempre più robusto sopra questo tetto. Inoltre, sarebbe alquanto inopportuno cercare di immaginarsi qualcosa di diverso e sforzarsi di vedere qualcosa che non è, pure arrampicandosi su quel trave e appollaiandosi là sopra per cercare di scrutare fra calvizie e forfore sui cocuzzoli degli astanti.

E così, non si può fare a meno di desiderare ambedue le cose, e magari scoprire un certo strano sguardo interrogativo del barista nel momento in cui gli si chiede di favorire al tavolino un caffè e un panino da intingerci dentro; scommetto che anche voi lettori non potrete esimervi dal sentire un certo subbuglio nello stomaco, a maggior ragione se state per sedervi a tavola. Subbuglio che io medesimo non riesco a ricacciare indietro, non già per ciò che mi accingo a mangiare, ma per un evento che sta per accadere in questo istante: una lite fra un cliente e il cassiere.

L’autogrill ha una sola porta che si affaccia su un grande spiazzo dove ci sono due pompe di benzina. Appena entrati vi ritroverete a scegliere; sulla sinistra il bancone del bar con due tavolini davanti, uno dei quali occupato da me, sulla destra una piccola edicola che termina dove iniziano le due casse, una per pagare il carburante l’altra per il bar e l’edicola.

Il cliente avrà cinquant’anni e ha una camicia bianca col colletto sporco. Non ha esitazioni e si dirige senza neppure guardarsi attorno verso la cassa di destra, svoltando a destra. Attende qualche secondo e arriva il cassiere. Il cliente gli dice che deve pagare venti euro di benzina porgendogli una banconota da cento euro, ma il cassiere, quasi con sdegno, fa un gesto inequivocabile con la mano, aggiungendo nel frattempo una considerazione: che i clienti dovrebbero badare a ciò che è scritto sotto la cassa e andare in quella giusta, subito dopo lamentandosi del tempo sprecato quel lontano giorno a scrivere i due cartelli appesi sotto. Il cliente rimane perplesso e a suo modo di vedere pare che l’una cassa o l’altra non fa alcuna differenza, l’importante è esprimere la volontà di pagare e non squagliarsela prima, come non disdegna di far osservare al cassiere spazientito, ormai sul baratro di una crisi di nervi. Il cassiere cerca di turarsi il naso, e ci riesce, ma non riesce a tapparsi la bocca e a stroncare del tutto il ribollimento che ha dentro. Nonostante questo si limita a dire che per il cliente fare un passo sulla sinistra e avvicinarsi all’altra cassa non sarebbe un gran fastidio. Allorchè, il cliente, più calmo di prima, si limita a fargli notare che il fastidio sarebbe il medesimo per il cassiere, della stessa entità, se lui decidesse di accettare comunque i soldi e battere lo scontrino nell’altra cassa, dato che pareva cosa irrinunciabile che in alcun modo poteva essere evitata.

Si tratta ora del terzultimo boccone di panino (il caffè è già finito da un pezzo) che ho consumato voracemente, e potrei approfittare della confusione che si sta scatenando per andare via senza pagare; ma la scena val bene quei cinque euro, attendo quindi gli sviluppi.

Il cassiere, soffocandosi, acconsente alla richiesta del cliente che ora sta per ricevere il resto ma, fra la stupore della platea assiepata, decide di lasciare la cospicua mancia al cassiere, per il disturbo dice. Di questi tempi è raro assistere a lasciti di mance così ragguardevoli, ma non è raro assistere a gesti talmente sfrontati e indegni capaci di porre in secondo piano qualsiasi altra questione e, il cassiere, pare sotto l’influsso di rigurgiti d’orgoglio derivanti dal dispetto appena subito, aggrotta la bocca lasciando intravedere un canino divorato per metà dalla carie. Fatto questo, fulmineamente, fa ruotare la mano; in principio in senso orario – scagliando le banconote in faccia al cliente – secondariamente in senso antiorario – per uno schiaffo che dal rumore fa voltare un benzinaio di fuori intento a riempire un serbatoio.

Il cliente, fra gli sguardi interrogativi dei presenti, non si scompone; si volta, imbocca l’uscita e se ne va, lasciando tutti di sasso. Tutti tranne me che, finito il panino, sento una voglia strana e, credetemi, non si tratta di un digestivo; mi prudono le mani e lo sguardo del barista pare sufficientemente offensivo per sfogare le mie ansie e scacciare il solletico.

Resisto, mio malgrado. Ma non posso evitare di confessarvi le mie paure, al cospetto di un prurito che profetizzo non si allontanerà mai più; mi basterebbe uno di voi, ora, qua di fronte e, possibilmente, non consenziente, così, solo per saggiare fino a che punto… Se magari mollandovi un calcio ben assestato, negli stinchi o sul fondoschiena, questi istinti si possano sopprimere o allontanare; quindi per riportarmi alle condizioni di partenza, di pace, noia e svogliatezza.  


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