Magazine Pari Opportunità

di Michael Brown, di responsabilità sociali e del futuro

Da Suddegenere

<<Io credo che allevare bambini sia un modo di prendere parte al futuro, al mutamento sociale. D’altro lato, sarebbe pericoloso non meno che sentimentale pensare che l’allevare figli basti a gettare le basi di un futuro vivibile, se di quel futuro non diamo una definizione. Perché se non sviluppiamo una visione coerente del mondo in cui speriamo che i nostri figli siano parte, e un senso alla nostra responsabilità nel dar forma a questo mondo, alleveremo nuovi attori per il vecchio e penoso dramma del padrone>> Audre Lorde, in Sorella Outsider, Gli scritti politici di Audre Lorde, trad. di M.Giacobino e M.Gianello Guida, il dito e la luna ed., Milano 2014

Ho ripescato dalla memoria questa frase di Audre Lorde, dopo aver letto un articolo di Aliyyah. I. Abdur-Rahman  (tradotto qui di seguito) che mi ha fatto riflettere e fare collegamenti azzardati tra il suo contenuto,”discorsi al telefono” con le mie amiche femministe e una frase che Alessandra C. ha lasciato a commento di quanto scrivevo qualche giorno fa a proposito del desiderio di maternità :”Penso, sento, che proprio da femminista sia importante riaprire  un nuovo discorso sulla maternità’, che non si accontenti del già detto e del già rimosso”.

Credo che l’assassinio di Michael Brown a Ferguson abbia ri-aperto oltre oceano ferite laceranti (anche) nelle riflessioni femministe. Laceranti non solo nel senso di dolorose, ma anche atte a svelare e a lacerare una parte di quel “già detto” e “rimosso”, che potrebbe  consentire di riformulare e redisegnare pratiche femministe, allargare  orizzonti di riflessione stimolando una comune responsabilità sociale.

Aliyyah. I. Abdur-Rahman scrive: <<L’ antirazzismo è centrale per l’avvenire femminista. Come possiamo, in ultima analisi, usare il femminismo come una metodologia, una modalità di critica, una politica progressista che ci permetta di nominare e di correggere le strutture sociali asimmetriche a nome di coloro che sono veramente più vulnerabili tra noi?>> In Italia, questo tipo di discorsi mi mancano. Probabilmente con un confronto onesto e aperto ognuna avrebbe da raccontare il proprio interessante punto di partenza. 

On Ferguson, the Fragility of Black Boys, and Feminist Futures, By Aliyyah. I. Abdur-Rahman,  Traduzione di Andrea Morgione: 

<<Recentemente, durante una cena, la mia cara amica Sandy Alexandre, Professoressa Associata di Letteratura al M.I.T., ed io stavamo parlando sia di Michael Brown che di mio figlio adolescente, Isa.

Sandy mi ha raccontato di aver sentito che le donne nere avevano iniziato l’acquisto di abbigliamento di taglie troppo piccole per i loro figli adolescenti in modo che possano apparire più giovani e quindi possano avere meno probabilità di essere percepiti come minacce criminali e venire uccisi dalla polizia mentre camminano per strada a metà pomeriggio. Quindi, poiché contano davvero molto, eppure sono così raramente riconosciute come soggetti propri della considerazione e dell’agitazione femminista, condivido qui alcune osservazioni circa la centralità dei ragazzi neri, e delle loro madri, per l’avvenire femminista

Potrebbe valer la pena per me dire anzitutto che scrivo e lavoro e non semplicemente come una femminista, ma, più specificamente, come una femminista nera. Apro con questa precisazione per collocare me stessa, il mio lavoro e le mie affermazioni qui all’interno di una specifica storia di attivismo e di uno specifico insieme di quadri e proposizioni che, per me, garantiscono al femminismo sia rilevanza mondiale che vitalità politica. Per resistere al richiamo della colonizzazione e del razzismo, mi sembra che il femminismo debba sempre avere differenze interne, iterazioni locali, genealogie diverse, e una varietà di nomi propri.

Come sappiamo, nel mese di agosto Lesley McSpadden ha perso suo figlio, Michael Brown, per la brutalità della polizia. Michael aveva diciotto anni al momento della sua morte. Stava camminando lungo Canfield Drive verso il palazzo dell’appartamento di sua nonna quando lui e il suo amico, Dorian Johnson, sono stati fermati dalla polizia. Michael non aveva condanne come giovanile o come un adulto, e non vi erano denunce contro di lui. Si era diplomato soli otto giorni prima di questo incontro con la polizia, ed era in programma che iniziasse il college due giorni dopo. L’ufficiale bianco, Darren Wilson, ordinò a Michele e Dorian di spostarsi sul marciapiede. Dopo una breve colluttazione tra Wilson e Michael dentro la macchina della polizia, Michael si liberò e fuggì. Wilson lo inseguì. Nel tentativo di salvare la propria vita, Michael alzò le mani sopra la testa per segnalare la sua resa. Ma, come se questo segnale generalmente riconoscibile di sottomissione non fosse leggibile nei corpi dei ragazzi neri, Wilson ha sparato più volte al ragazzo disarmato. Michael è stato colpito sei volte, due volte alla testa, e ucciso.

Lesley McSpadden ha perso il figlio entro tre minuti dal suo incontro con la polizia di Ferguson. E il suo bambino, che lei ha descritto come “quasi come un guaritore,” è stato lasciato morto in mezzo al marciapiede per quattro ore, a faccia in giù, il suo sangue a scorrere in strada, le sue scarpe da ginnastica visibili sotto il lenzuolo bianco che lo copriva.

La perdita di Lesley McSpadden e la sua angoscia sono terreno familiare per le madri nere. Mentre le donne nere lottano contro il diritto dello Stato di sminuire e di prendere la vita dei bambini neri, c’è una terribile inefficacia, e una silenziosa, disperata impotenza che spesso frequenta la maternità nera. Le donne di colore lottano con l’avere i loro bambini in età prescolare sospesi da scuola per infrazioni minori, come uscire fuori dai loro posti e parlare durante la ricreazione. Le donne di colore lottano con i mandati che impongono che i loro figli passino attraverso metal detector prima di potersi dirigere verso la classe o la caffetteria. Le donne di colore lottano con la criminalizzazione e la ghettizzazione dei loro figli. La polizia ferma e perquisisce abitualmente i figli delle donne nere. Le donne nere subiscono regolarmente procedimenti giudiziari in cui i loro figli adolescenti sono processati come degli adulti e con reati civili trattati alla stregua di reati penali e reati penali come reati gravi.

Circa 10,000 donne nere hanno perso i loro figli durante un linciaggio nei decenni tra la ricostruzione e la prima guerra mondiale. Hanno ucciso il figlio di Mamie Till-Mobley, Emmett, nel 1955 perché, si disse, aveva fischiato a una donna bianca. A 14 anni, era un ragazzo incredibilmente bello, e loro lo hanno picchiato, gli hanno sparato, hanno strappato il suo occhio destro dall’orbita, gli hanno legato a una ventola di 70 chili al collo, e l’hanno abbandonato immerso in acqua. Era stato un bel ragazzo; sua madre ha lasciato la bara aperta. Nel millennio attuale, donne nere perdono i loro bambini disarmati a causa del grilletto facile della polizia in media due volte alla settimana. Così, dalla morte sociale incarnata della schiavitù nera alla morte comune e raccapricciante dei linciaggi rampanti agli effetti deleteri della criminalizzazione nero e della violenza della polizia, le donne nere hanno lottato per immaginare e per garantire l’avvenire collettivo di una popolazione vulnerabile per il quale né la qualità né la durata della vita può essere preso come un dato. Come molte donne nere hanno chiesto da quando è avvenuto l’omicidio di Michael Brown: quando avverranno i diritti riproduttivi delle donne, si estenderanno al diritto delle madri nere di mantenere in vita i loro figli?

Sono diventata madre poco dopo aver completato il college nel contesto di un breve matrimonio. Dopo che il mio matrimonio è fallito, ho iniziato la scuola di specializzazione, perseguendo il mio dottorato in gran parte come un gesto di compensazione, come se solo facendo qualcosa di grande potessi occupare comodamente e in modo sano il mio nuovo status di madre afroamericana giovane e ora single. Quello che ho imparato dall’essere madre sono i limiti inflessibili di una coppia solitaria di mani. Mio figlio ha quindici anni ormai. È cresciuto sentendomi dirgli che lo amo più del mondo e di tutto ciò che in esso. Mi rendo conto, quando dico questo, di sembrare abbastanza melodrammatica, e mi rendo conto che sentire questa dichiarazione pone mio figlio sotto una pressione straordinaria. Ciononostante, tale dichiarazione-che lo amo più di tutto il mondo e di tutto ciò che è in esso-è la mia migliore approssimazione a parole di quello che provo per mio figlio. E quelle parole sono spesso pronunciate come un appello per lui affinché rimanga qui, con me. Poiché siamo contro le persone che non riescono a percepire l’infanzia di un bambino nero di età oltre i dieci anni, mi trovo a disciplinare il corpo in crescita di mio figlio. Gli suggerisco con incertezza di abitare il suo corpo in modo un po’ meno mascolino. Gli ricordo di tenere le mani fuori dalle tasche durante lo shopping. Lo istruisco a essere assolutamente rispettoso quando parla con gli insegnanti e la polizia. E mi ricordo ogni giorno che non importa quello che potrei realizzare, come la madre di un ragazzo afro-americano, il traguardo finale della mia vita e di quella di mio figlio sarà il fatto che lui mi sopravvivrà.

Poiché i bambini neri sono quelli più vulnerabili a ferite sociali e materiali, poiché i ragazzi neri non sono semplicemente le icone ma le vittime predominanti di morte prematura, è essenziale che il femminismo si aggrappi al loro bisogno di rimedio sociopolitico. In che modo il femminismo potrebbe fornire un quadro di riferimento per assimilare chiaramente il valore e la fragilità dei bambini neri? Come potrebbe concettualizzare la tenacia del razzismo nel momento attuale e trovare il linguaggio per esprimere il suo impatto sulle donne nere e bambini? Nel nostro stato putativamente post-razziale, neo-liberista, il bene sociale non è più di competenza degli enti locali e federali; viene lasciato, piuttosto, ai pregiudizi delle imprese private e agli impulsi discrezionali del capitale globale maldistribuito. Per la sua costante pertinenza mondiale e utilità politica, il femminismo deve impegnarsi per una politica di sostegno a favore dei bambini neri poveri che continuano a languire sotto le pressioni di ridimensionamento dei diritti civili, le risorse economiche trascurabili, la diminuzione dei supporti comunali, e la disparità giuridica ed educativa. L’ antirazzismo è centrale per l’avvenire femminista.

Come possiamo, in ultima analisi, usare il femminismo come una metodologia, una modalità di critica, una politica progressista che ci permetta di nominare e di correggere le strutture sociali asimmetriche a nome di coloro che sono veramente più vulnerabili tra noi?

AARFUPhoto
Aliyyah I. Abdur-Rahman è Professore Associato di Studi Inglesi, Africani e Afroamericani e di Studi sulle Donne, sui Sessi e sulla Sessualità alla Brandeis University. Pubblica e insegna ampiamente su temi che vanno dalla relazione di sessualità e ordine sociale nella schiavitù del Nuovo Mondo agli impatti del taglio delle spese dei Diritti Civili sulla formazione e sulla funzione delle famiglie nere nell’attuale, putativo momento “post-razziale”. Due volte vincitrice del premio Darwin T. Turner per il Miglior Saggio dell’Anno in African American Review, la Abdur-Rahman è stata premiata con borse di studio dalla Fondazione Ford, dalla Fondazione Woodrow Wilson, dall’Associazione Americana delle Donne nell’Università, dalla Fondazione Mellon, e dall’istituto W.E.B. Du Bois all’università di Harvard. Il suo primo libro, Against the Closet: Black Political Longing and the Erotics of Race, è stato pubblicato dalla Duke University Press nel 2012. Precedentemente ha pubblicato articoli su The Feminist Wire.>> 

(grazie ad Andrea che, nonostante stia dando di matto con lo studio dell’informatica, continua a tradurre per “noi”)


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :