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Dialogo di Dio con la sua anima

Creato il 21 luglio 2011 da Lucas

    - Buonasera. Cosa vuoi a quest'ora tarda? L'Atlantis è tornato a casa dalla sua ultima missione. Alfonso Papa è in prigione in una cella singola: ha portato con sé due o tre libri, tra cui il best seller intramontabile che dicono che io abbia ispirato e le Affinità elettive di Goethe. Pare altresì che nella porta che conduce alla ritirata abbia aggiunto una I a WC. - È facile dài, ci arrivi da solo. Rammenti la sua passione per gli orologi? - Ti sento di ottimo umore, Signore. - Insomma, ci si diverte poco con voi umani; ma voi italiani siete un eccezione. - E un retaggio storico, il nostro, che ci rende particolarmente cari ai tuoi occhi? - Indubbiamente. Ma dimmi, mi hai chiamato per qualcosa in particolare, o volevi solo discorrere di queste "facezie politiche"? - In effetti, ti ho chiamato, o Signore, per sapere se ti ricordi quando, decenni or sono, parlasti con la tua anima. - Sì, vagamente. Ma scusa, a te chi l'ha detta questa cosa? - Beh, ho trovato due paginette di un autore che ha trascritto il tuo colloquio "privato". - Ah sì? Ti andrebbe di farmele leggere?

D. In fin dei conti, mi annoio. Perché in pratica è un certo numero di millenni che sono solo. E gli scrittori hanno un bel dire che la solitudine fa la grandezza, non sono mica uno scrittore io. E non posso nemmeno mentire a me stesso, visto che sono al centro di ogni pensiero. Non sono un idealista, io. E non ho la risorsa di credermi dannato. La verità è che mi annoio. Onniscienza, onnipotenza, è un po' sempre la stessa cosa.

A. Sta' attento, la noia cova il dubbio.

D. Toh, questa è nuova. Mi fai ridere. Sarebbe proprio bella, non è vero? Dio che dubita di Dio. In verità, se non fossi sicuro di essere Dio, il favoloso numero di nomi con cui gli uomini mi hanno conciato un bel giorno si potrebbe perdere. Il Tempo e lo Spazio si sono messi d'accordo per nominarmi in molti modi e attribuirmi degli orrori che indubbiamente non ho mai fatto: Zeus, Batara [...] Giove, o Huitzilopochtli, o Ahura Mazdah, Indra e perfino, bello scherzo, Budda, Râ, Anu o Marduk, Allah, Jahveh e tanti altri, e, come se la cosa non fosse già abbastanza complicata, si sono messi d'accordo per dividermi in tre. E questo mi fa riflettere. In tutto ciò, qual è il vero nome? Purché non sia Huitzilopochtli. Se dovessi scegliere, mi piacerebbe qualcosa che suonasse bene.

D. E non puoi dire qualcosa, tu? Sì, lo so, tu dici che divento vecchio. Ed è proprio questo che mi preoccupa. E se questa eternità fosse una menzogna? Poiché posso tutto, posso benissimo aver mentito. E se ci rifletto, in me ci sono molte cose che mi possono far dubitare. Così so perfettamente che per vincermi, basta che un uomo si armi di molta pietà. Ascolta, anima mia. Ho paura, sento il dubbio insinuarsi in me.

A. ... (e a ragione, Dio non credeva più in lei).

D. Questo male, questo dubbio mi tortura. Ah! Se ci potesse essere qualcuno al di sopra di me che potessi adorare, in cui potessi credere. Quel che mi pervade è la sensazione di non potermi dare. Davanti a me c'è solo l'amore. Ma come potrei darmi a qualcosa che mi è inferiore? Qualcuno sopra di me, per pietà! Per darmi. Ahimè, sono Dio. So bene che sopra di me non c'è nulla. E non posso nemmeno alzare gli occhi. Ah! Sento odori crudeli che si confondono a quelli di carni alla griglia. Felici voi che potete credere. Felici voi che potete dare, pregare, singhiozzare, soffrire utilmente. La mia sofferenza non può essere che inutile. A meno che io non sia diverso. Forse non sono Dio, sono un uomo come gli altri ah! Sento il mio orgoglio che duole a questo pensiero. Che cosa fare, che cosa credere? Non c'è nulla. Ah! Lo dirò agli uomini. Voglio vedere soffrire anche loro. Non c'è nulla. Non dovete più credere. Non dovete più sperare. Vi lancio la certezza del nulla. Ricevetela, fatevene un abito e lasciatene cadere le pieghe con arte. E marciate, fieri di essere i primi...

Ma non c'è niente da fare. Prometeo insieme col fuoco diede loro la speranza cieca.

Prostrato, Dio mormorò: "Mio Dio, ho solo una speranza. Gli indigeni della Terra del Fuoco, proprio in cima alla Patagonia, mi adorano come un grande uomo nero, che proibisce di molestare e uccidere gli anatroccoli. Se hanno ragione, sono salvo dalla mia miseria. Gli anatroccoli mi porteranno la pace".
Albert Camus, Le voci del quartiere povero, Rizzoli, Milano 1974 (traduzione di Giovanni Bogliolo).


- Ti ricordi Signore di queste parole?
- Sì, più o meno, erano in un angolo della mia mente.
- Bene, quello che volevo chiederti è se, ogni tanto, ti succede ancor oggi di desiderare che ci fosse qualcuno o qualcosa sopra di te, per credere.
- No, non lo desidero più.
- E perché, se è lecito sapere?
- Vedi, figliuolo (adoro chiamarvi così, con la "u" che fa tanto ecclesiastico!). Avevo, in un certo senso, rimosso tale colloquio. E ora che tu me lo riproponi ricordo anche perché. Quando pronunciai tali parole, quando vi consigliai di non credere più e vi lanciai la certezza del nulla, correva l'anno 1933. Hitler prese definitivamente il potere in Germania e accadde quello che accadde. Insomma, come ben capirai, l'esperimento del nulla vi portò alla rovina. Sterminii di massa, bombardamenti a tappeto, uccisione di civili, campi di concentramento, forni crematori, tortura, insomma: io vi lanciai questo nulla e voi l'avete riempito di merda e dolore. Avete marciato sì, fieramente, anche, ma verso il baratro.
- Sì, ma non credi che forse, oggi, sarebbe il caso di farci riprovare l'esperimento?
- No, non posso. Non me la sento. Ho provato una volta ed è venuto fuori un macello. Capisco perfettamente il bisogno che avrebbe l'umanità di smettere di credere a me. Ma non devo essere io a indicare a voi umani la strada. Non devo essere io a lanciare certezze del nulla o del tutto. Non deve essere nessuno, in realtà. Non ci si risveglia che da soli. Come nascere e morire anche il credere è un fatto puramente individuale. Così come è sbagliato inculcare la fede, è altrettanto ingiusto estirparla. Non vi devo certo insegnare io quando avviene la vera, autentica percezione di essere umani. Quando ci si percepisce come individui. Come unità. La percezione dell' io è la sola fede legittima. Non la sua idolatria, non la sua denigrazione. Percepirsi come esseri al mondo, nel mondo. Per un certo lasso di tempo. E questo è tutto per stasera.
- Grazie Signore. Sempre tu sia lodato.
- Non lo dire, per carità. Lascia stara i lodi che io mica ce li ho tutta quella barcata di euri.


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