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Diario africano/13 - Morsi

Creato il 08 ottobre 2014 da Mapo
Come è ovvio sto leggendo Kapuscinski. Dico "ovvio" perché in questo momento una coppia di "Ebano", una serie di reportage dal continente nero di uno dei giornalisti in prima linea più famosi del mondo, è appoggiata sul comodino della pressoché totalità della rappresentanza italiana nella Guesthouse del Lacor Hospital.Il sottoscritto; Laura, una fisioterapista di Milano appassionata di cucina e con l'intelligenza pratica che conviene a queste situazioni e Paola, pediatra di Modena con i capelli corti, il terrore di ingrassare a furia di cucchiaiate di burro d'arachidi e un sorriso contagioso. Un gruppetto di tutto rispetto, di quelli che piacerebbero molto a Beppe Severgnini, impareggiabile cantastorie di italians lontani da casa.Diario africano/13 - Morsi
A pag. 49 il nostro eroe sta per entrare in Uganda. Proprio stasera, che qui saranno le 21, c'è afa e tra due giorni si festeggia la ricorrenza dell'indipendenza, la stessa occasione che 61 anni fa aveva spinto quel giovane corrispondente polacco ad attraversare l'Africa per scrivere delle sue roboanti evoluzioni socio-politiche.
"In realtà non si poteva parlare di una vera e propria frontiera: era un casotto sulla strada con la scritta "Uganda" incisa a fuoco sopra la porta. Era vuoto e sprangato. Le vere frontiere, quelle per cui scorrono fiumi di sangue, sarebbero venute più tardi.Andammo avanti. Si era fatta notte. Le fasi del giorno che in Europa chiamiamo crepuscolo e sera qui durano pochi istanti, anzi praticamente non esistono. È giorno: un attimo dopo è notte, come se qualcuno girasse l'interruttore spegnendo di colpo il sole. Qui la notte è subito scura, e in men che non si dica sprofondiamo nel suo cuore più nero. Se ci sorprende mentre camminiamo nella boscaglia l'unica cosa è fermarsi: non si vede più niente, come avere la testa infilata in un sacco. Si perde l'orientamento, non si sa più dove si è. Le persone si parlano nel buio senza vedersi, si chiamano a gran voce ignorando di essere vicine. Il buio crea una separazione, rafforzando il bisogno di stare insieme, in gruppo, in compagnia. In Africa le prime ore della notte sono il momento della massima socialità. Nessuno vuole stare solo"
Ce n'è abbastanza per trovarsi in una stanza e, con un po' di musica e un microscopico sorso del preziosissimo amaretto di Saronno che mi sono portato dall'Italia, leggere un po'."Stare soli? Che disgrazia! Che condanna".Diario africano/13 - Morsi
Sono un tipo suggestionabile e a pagina 58 mi imbatto in una di quelle storie che a pensarci bene fanno un po' accaponare la pelle per come siano grottescamente lontane dalla nostra quotidianità. Si parla di leoni. In particolare i più anziani, non più così agili e scattanti da correre dietro a gazzelle e compagnia bella.
"A quel punto non gli resta che una via di uscita: assalire l'uomo. Un leone così viene comunemente chiamato mangiatore di uomini e diventa lo spauracchio della popolazione locale. Si apposta dove i ruscelli dove le donne lavano i panni, presso i viottoli per i quali i bambini vanno a scuola (un leone affamato caccia anche di giorno)".
"Ci pensate - interrompo il silenzio dal pulpito della mia poltrona - che siamo in un posto dove andando a scuola la mattina rischi di essere sbranato da un felino che pesa venti volte più di te?"
Non sarà una riflessione molto originale, ma perlomeno fa sembrare un privilegio avere avuto a suo tempo, quali uniche preoccupazioni sulla strada verso la scuola i ritardi dei mezzi pubblici, l'aria frizzante mattina, i compiti di matematica da finire all'ultimo minuto. Se non altro una serie di cose che, anche se ficcate in una coscia, non ti portano ad ampie falcate verso lo shock emorragico.
Attendo una reazione. Paola alza gli occhi dal suo libro:"Una volta - racconta con trasporto - mentre andavo a scuola mi ha morso un cagnolino. Mi ha anche strappato i jeans."
Si vede che lei sta leggendo Tre uomini in barca (per tacer del cane).

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