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Diario africano/21 - Serata al cinema

Creato il 29 ottobre 2014 da Mapo
Lacor Hospital, 25 ottobre 2014
L'altra cosa che è successa oggi, che poi è stato qualche giorno fa, è che siamo andati al cinema.Gulu city è uno di quei placidi e dolcissimi lidi al riparo dalla dittatura dei multisala fosforescenti che dominano i lati delle nostre tangenziali. Qui, ahimè, prendono la faccenda talmente sul serio che nemmeno hanno pensato a mettere un piccolo cinema, magari di quelli con una sala sola e le poltrone di legno che fanno un rumore impossibile ogni volta che scatta il sedile. Di quelli in cui, all'intervallo tra il primo e secondo tempo (esiste ancora!) c'è un signore in pensione che abita al piano di sopra e scende a vendere pop-corn e bicchieri di estathe.
Diario africano/21 - Serata al cinemaCosì, se proprio si vuole vedere un film senza essere costretti alla solitudine della propria camera, l'unica valida alternativa è andare in reparto. In ospedale, esatto. Quello di pediatria, per essere precisi. E' un ambiente spazioso e accogliente, ampie vetrate per avere tutto sotto controllo e un grosso tavolo al centro, dove siede il medico di guardia pronto a visitare i piccoli in fila. Si disinfetta le mani tra un bimbo e l'altro, parla animatamente con i genitori, pesa i figli, appoggia il fonendoscopio un po' ovunque e scrive in cartella. Alcuni vengono rimandati a casa con una terapia, altri ammessi in reparto, magari dopo qualche dolorosissimo prelievo.Nessuno che litiga, spintona, pretende. La capacità di sopportazione di questa gente impressiona di continuo. Mi viene in mente il triage del pronto soccorso del mio ospedale, sorrido. Le urla dei bambini, da questo punto di vista, sono a volte quasi un sollievo. "Siamo qui, e siamo vivi", direbbe Vasco Rossi, un cantante italiano che non ha niente a che fare con l'Africa.
Qui, oltre ad aver abbellito i muri con dei bei disegni che fanno distrarre i più piccoli, hanno pensato di installare una televisione. L'hanno messa in alto, attaccata a una delle colonne portanti, un po' come a dire che se mai dovesse cadere sarebbe giusto perché è crollato tutto. A guardarla qualche volta viene il torcicollo, ma ne vale la pena.Arriviamo che il film è già cominciato, mannaggia! Mi viene in mente la scena di Annie Hall in cui un allora giovane Woody Allen arriva con la fidanzata alla biglietteria del cinema. La proiezione è iniziata da due minuti, troppi per decidere di entrare lo stesso ("è già a metà"). Ma Gulu non è New York e io, anche se continuo a perdere i capelli, non sono Woody Allen; significa che non è il momento di fare gli schizzinosi.Prendiamo posto sulle lunghe panche di legno senza schienale che hanno sistemato qui, di fianco ai pazienti e alle loro famiglie. Il pavimento tutto intorno è teatro di una scena che, nella notte, diventa subito surreale: decine di persone assopite a terra, incuranti della luce e del rumore. Una massa informe e colorata che, al contrario di un quadro puntinista, acquista un senso quando osservata da vicino: sono i parenti dei ricoverati che si riposano dopo una giornata massacrante passata ad accudire i malati, cucinare e lavare vestiti per loro.
Diario africano/21 - Serata al cinemaIl film, se uno volesse essere proprio sincero, è terribile. Una commedia demenziale ambientata in un non meglio specificato paese africano in cui una coppia di Muzungu tenta di sopravvivere a mille incidenti grotteschi, dal rinoceronte alla carica fino alle scimmie che rubano l'acqua appena estratta dal pozzo, passando per un improbabile viaggio sopra la savana a bordo di un mini-elicottero che si avvia con una rincorsa a piedi, stile macchina dei Flinstones.Ma se uno ha un blog ed è sotto il Sahara l'ultima cosa che ha voglia di fare è essere cinico. Mi racconto di una gradevole commedia in stile Pozzetto, con il pregio non indifferente di dare l'impressione di essere ambientata proprio qui fuori. E alla fine ci credo.Lei: impeccabile donna in carriera nelle sue scarpe con il tacco e il tailleur rosa fosforescente nonostante gli evidenti 40 gradi all'ombra. Lui: una sorta di Mitch Buchannon dei poveri con gli occhiali da sole a goccia e una camicia di jeans con le maniche tirate su e i primi bottoni slacciati, a lasciare intravedere un po' di peli scuri.Non sarà un Ozpetek, ma il fatto che il volume è tenuto volutamente bassissimo (praticamente inesistente), impreziosisce la scena. Nelle scene accelerate in post-produzione, una su tutte quella in cui i nostri disperati, affamati, tentano di distrarre uno struzzo (ma ci sono gli struzzi in Africa?) per rubargli le uova, le urla divertite dei bambini fanno l'effetto delle risate fuori campo delle commedie americane. Sembra di essere davanti a un ibrido Chaplin-Fantozzi. Come riesca ad essere bello è una specie di magia, del resto qui a molte cose manca una spiegazione.
Diario africano/21 - Serata al cinemaQualche momento di (ingiustificata) tensione fa capolino nel momento in cui un impacciato militare bianco minaccia con un fucile un uomo di colore che, per fortuna, riesce infine a impadronirsi dell'arma e inseguirlo in mezzo ai leoni. E' uno egli spezzoni più acclamati, ci diamo di gomito scoprendoci tutti a tifare per i felini.Qui al Lacor Hospital, retorica o meno, l'ospedale è una cosa che si vive 24/24 h, come scrivono qui. Nel bene e nel male. La mattina fai il giro visite e dopo cena ti ritrovi davanti alla TV seduto di fianco a un bambino con un tumore grosso come un pallone da calcio un po' sgonfio. Si chiama Aron, ha 5 anni e ride perché sullo schermo quei due deficienti bianchi hanno appena pestato la coda a una puzzola (ma ci sono le puzzole in Africa?). Ride anche la mamma, seduta di fianco.E rido anch'io di questa felicità che appare improvvisa; scontata, persino.

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