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D(i)ario Argento, la mia storia d'amore con il Re del Giallo (N°5): Suspiria

Creato il 08 febbraio 2015 da Giuseppe Armellini
D(i)ario Argento, la mia storia d'amore con il Re del Giallo (N°5): SuspiriaQuinto appuntamento con la rubrica di Miriam (questo il suo blog).
Siamo arrivati a quello che lei, ma non solo lei, considera il vertice più alto della filmografia argentiana.
Buona lettura :)
Suspiria, o La morte si fa bella.
Chi mi conosce lo sa che ho un’autentica adorazione per il buon Dario Argento. Ormai lo sapete anche voi e sono ben quattro puntate che sto facendo tutto quello che è in mio potere per convincervi della sua grandezza. Dario Argento è un genio. Punto. Quanti registi horror vi vengono in mente che siano riusciti a partorire più di cinque capolavori? Nessuno (per quanto riguardo il di lui declino, sono ospite di chi, a ragione, nemmeno riesce a concepire che l’autore di Do you like Hitchcock? e Il gatto a nove code siano la stessa persona, quindi sono su terreno amico). Il regista horror che è anche un serial masterpiecer non esiste. A meno che non sia un unicorno, come Dario Argento. Un angelo del focolaio. Puro di spirito. Un cantore della morte. Un artista che con la sua spiccata immaginazione – e con tanto, tantissimo sangue – dipinge scenari che hanno un punto in comune, un punto che fa funzionare tutto anche quando – qua e là – c’è qualche buco di sceneggiatura e qualche imperfezione.
Tra quelli che considero i capolavori di Dario Argento (L’uccello dalle piume di cristallo, Quattro mosche di velluto grigio, Il gatto a nove code, Profondo a rosso, Suspiria, Tenebre), il mio preferito è, sicuramente il suo quinto film e quinto capolavoro (fino ad ora, ricordiamocelo, non ha sbagliato un colpo), Suspiria. Una caramellona horror. Un red velvet di morte. Glassato di sangue (okay, la smetto).
Susy è una ballerina che si trasferisce in una suggestiva accademia di danza a Friburgo, dove viene accolta da una ragazza urlante cose incompresibili che fugge sotto la pioggia e dalla direttrice che le dice che non potrà passare la notte in accademia e che dovrà essere ospitata in città da un’altra ballerina della scuola. Ma questo conta fino a un certo punto. Di certo non quanto il fatto che, quando Susy scende dall’aereo e sale nel taxi, Dario Argento la filma all’interno di quello che appare come un ambiente pop, coloratissimo, straniante, tutto impostato sui toni del blu, del vermiglio, dello smeraldo e dell’ocra e che questi colori non ci abbandoneranno per tutta la durata del film – un effetto ottenuto utilizzando delle inibizioni particolari, una pellicola a bassissima sensibilità che aumentava di molto la profondità di campo e lenti anamorfiche. Quello che conta, insomma, è sì la storia, ma, soprattutto, come Dario ce la racconta. E come fa morire la gente. Come Pat, una ballerina che non facciamo in tempo nemmeno a conoscere, perché muore nella celeberrima scena della finestra, che fa impallidire tutte le altre scene della cinematografia contemporanea. La scena della finestra è un piccolo corto a sè stante, perché ha salvato la vita a un sacco di ragazzini sbadati che si sporgevano dalle finestre tenendoli lontani da esse con il potere del terrore e, soprattutto, perché dà il via a una delle morti più spettacolari del cinema horror. Pat viene infatti colpita da una misteriosa mano che sbuca dalla finestra – la rompe proprio -, sventrata con un coltello e, infine, fatta precipitare attraverso un coloratissimo lucernario di vetro. Uccisa, insomma, con una tigna che manco i cospiratori di Rasputin.  Quello che conta, è che Dario Argento mette tra le alte sfere della scuola dell’Accademia il personaggio di Miss Tanner, un’ Alida Valli così accapponante-la-pelle che-neanche-in-Occhi senza volto. O che lo psicologo (Mandelli) che rivela la storia di magia nera di cui l’accademia è permeata sia interpretato da Udo Kier, che sta bene dappertutto. Dario Argento ci conduce per mano in una galleria degli orrori, lasciando la presa proprio quando si fa buio e abbiamo più paura – altrimenti che maestro della suspence sarebbe? – verso un finale spettacolare e spaventoso, dove forse c’è la migliore sintesi tra la sua transizione verso l’elemento soprannaturale – e questo è il primo film in cui veniamo introdotti a questa tematica – e la propensione per il thriller truculento dalla trama intricata, tutto giocato sull’indizio risolutivo pizzato lì all’inizio, quello che ci fa sentire un po’ svampiti perché non l’abbiamo notato, quello che ci fa essere felici perché il regista ha giocato con noi e ci ha – amabilmente – preso in giro fino alla fine - e, quando funziona, non c’è nulla di meglio. Per tutto Suspiria abbiamo la sensazione di girare per un bellissimo museo del terrore, dove ogni inquadratura costituisce un lugubre quadro dalle tinte sgargianti (solo Dario può tenere in piedi un ossimoro del genere), fino a rendere il film stesso una spaventosa opera d’arte.

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