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Diario di bordo: l'immagine, la parola muta, la videosfera, l'itinerario

Creato il 02 agosto 2011 da Ghostwriter

snakeofjuneIn questo periodo sto finendo di leggere il grande libro di Regis Debray, Vita e morte dell'immagine, mi sto persuadendo di aver perso per strada una parte della nostra cultura audiovisiva grazie ad una sorta di "anestesia globale" chiamata scrittura. Il problema non è la "letteratura", sempre più rara sui nostri scaffali, al limite inesistente e poco vincolante nel mondo dei media. Ma semmai la scrittura come analisi della realtà che abbiamo imparato a scuola, prima ancora di leggere narrativa o poesia. Molto prima, l'occhio ha imparato a sbarazzarsi di ciò che l'immagine può portare con sé? Come se tra il segno (alfabetico) e l'oggetto non ci fosse niente, mentre invece c'è qIualcosa...Qualcosa che i registi e i videomaker - e forse più questi ultimi che non i primi- conoscono bene: è la visione, questo evento "passivo" (attivo o reattivo, in realtà) che molti lettori di romanzi - specialmente quelli buoni- trovano ancora difficile da valorizzare. I poeti, invece, conoscono questa zona transitoria e spesso l'hanno esaltata (Rimbaud, Char, Montale, etc.) Comincio, dunque, un percorso all'indietro a caccia di fantasmi "reali", quelli di carne filmata o riprodotta, piuttosto che di fantasmi irreali a patto di essere ricondotti al sacro Verbo, alla consueta pastorizia del Senso (interiore).  Ma tutto ciò non ha a che fare con una "fine della letteratura" nella quale non credo (come non credo nell'argomento apocalittico), piuttosto si tratta di provare a vivere quel limbo tra i discorsi che spesso viene omesso, con l'aiuto di chi ha saputo vedere - anziché guardare- meglio di me. La questione è meno pacifica di quanto sembri, dato che il dominio del codice verbale è molto esteso e, naturalmente, inaggirabile (sto scrivendo, in fondo, anche dal "punto di fuga" che descrivo...) Dominio della narrativa, in primo luogo. Dominio della prospettiva, molto ben raccontato da Debray, e della "linea maestra".   Strumenti da portare con sè: una fotocamera, il libro di Debray, la rassegna di Michael Rush, la posta elettronica del network di Colonia (palinsesti preziosi, fetival, etc.), alcune riproduzioni che dominano la memoria (Manet, Godard, Rodin, Cahen, etc.), il bellissimo libro di Raymond Bellour (Entre images) - e naturalmente una manciata di siti web di pura "strategia visiva" e culturale. Prossimamente.  Mentre faccio tali programmi avventurosi devo confermare che comincio ad allontanarmi dal cinema narrativo, dalla narrazione in genere, e da certe retoriche culturali che, ormai, divorano anche i registi più in gamba: un esempio recente è Cronenberg con questo "pasticcio" appena sformato su Freud e Jung. Ci ritornerò quando avrò visto il film (esce il 30 settembre) ma fin da adesso sento l'operazione mediatica - la stanchezza infinita di Cronenberg- sotto il manto fin troppo elegante del "film d'epoca". Per non parlare del "morboso triangolo"...Ugualmente mi distacco volentieri dalla poeticità lacustre e morente di un Philippe Garrel, dall'eterno adolescente che è rimasto (la nuit, la nuit)...Basta, proprio non se ne può più (specialmente di un attore mediocre ma blasonato come Louis Garrel). Aria. Acqua, al limite. Il cinema liquido.  

 


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