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Dieci motivi per non parlare di Kazakistan

Da Icalamari @frperinelli

Ci giravo intorno da un po’, a questa porcheria italo-kazaka. Ogni giorno c’è tanto di quel materiale sul quale già si stra-pontifica nelle pubbliche piazze, che il più delle volte soprassiedo senza nemmeno considerare l’ipotesi di scriverci sopra pure io. Sono sicura che il mondo sopravviva meravigliosamente senza doversi sorbire la mia inutile campana.

E mettiamoci pure che una volta, da privata cittadina, mi sia trovata in mezzo a un pasticcio internazionale per il quale sono stata costretta a entrare più volte a Palazzo e diventare consapevole di certe pratiche ufficiali e non ufficiali che regolano i rapporti tra gli Stati europei ed extraeuropei, quelli tra le istituzioni italiane, tra le correnti interne alle coalizioni tra i diversi partiti e movimenti, tra i cittadini e i loro rappresentanti parlamentari, tra cittadini e cittadini di differenti appartenenze culturali, di censo, geografiche e/o parrocchiali (in senso lato), tra componenti di una stessa famiglia e, complicazione delle complicazioni, tra singoli elementi ufficialmente scollegati da una qualsiasi definizione di famiglia, non de jure né de facto quindi, perpetui migranti tra Stati europei ed extraeuropei.

Vi ho persi alla seconda riga, lo so.

Allora semplifico: mettiamo che a sentire di nuovo la frase “rimpatrio forzato” per di più di una minore -anche se in compagnia della sua mamma- mi si siano rizzati i peli. Ecco, questo è il motivo numero uno per il quale avrei voluto scrivere qualcosa sulla questione kazaka. Ho subito il mio primo e finora unico herpes labiale, per non parlare di altre conseguenze, a causa di un rimpatrio forzato di minore.

Numero due, il governo delle larghe intese. Il governo delle larghe intese. Che, tra i tanti lussi, si concede pure questo, circonfuso com’è di un’aureola bipartisan così smaccatamente propensa a illuminare il popolo italiano sulla indiscutibile inconsistenza delle proprie ragioni davanti alla legge del più forte.

Terzo motivo, l’indiscutibile inconsistenza delle ragioni dell’Italia davanti alla legge del più forte, ovverosia dello Straniero. Italia, terreno di conquista da sempre, paese completamente ignaro di democrazia, dove l’ultima organizzazione in forma di repubblica che si ricordi risale al tempo dei romani. Ma dove le parole democrazia e repubblica abbondano sulla bocca dei vari politici e dei politicanti. Lo si ricordava giusto qualche giorno fa, in un cenacolo di amanti delle belle lettere: dove si abusa dell’espressione di un concetto è proprio lì che di quel concetto non ce n’è alcuna traccia.

Quarto. Perché proprio adesso se ne parla, se i fatti risalgono a un mese e mezzo fa? Chi o cosa ha impedito la diffusione tempestiva della notizia, o al contrario, l’ha dirottata ad arte fino a questi giorni? E perché? Smarrimento. Ditemi che non è vero quello che fantasticavo intorno ai nove anni, che negli angoli tra muri e soffitto non ci sono delle telecamere e che dietro le apparenti casualità delle nostre vite non c’è una regia e neppure una sceneggiatura occulta. E che non mi ritroverò di nuovo a parlare in codice a una mosca invisibile di nome Puccia.

Quinto. Questa storia è così tipicamente imbrogliata, qui ognuno si azzanna col vicino e si rimangia a più riprese quello che aveva detto in precedenza e tutto il suo contrario, che, accidenti, non può davvero esserci una strategia occulta. Ci troviamo al solito nelle mani di illusionisti da tre soldi, pasticcioni e incompetenti. E non c’è realisticamente all’orizzonte nessun nuovo che avanzi.

Sesto. Che sta facendo Letta? Si rende conto del fatto che osserviamo perplessi la disparità di trattamento che opera, a pochissimi giorni di distanza, tra il caso Calderoli/Kyenge e quello del rimpatrio della famiglia del dissidente kazako?

Settimo. Della frustrazione parte 1. Possibile che -anche su questa vicenda- mi sia davvero sentita pensare -per la seconda volta in pochi mesi- che “ci voleva (in questo caso) un Renzi (che proprio non direi il mio pupillo, e prima fu la volta, ahimé, di Grillo – il distico è assolutamente involontario) a dare sganassoni alla porzione di centro-sinistra dell’esecutivo che, altrimenti, nemmeno avrebbe fatto lo sforzo di cercare meschinissime scuse per i risultati di questi ultimi larghi intendimenti?

Ottavo. Della frustrazione parte 2. Sì, vabbé. Sganassoni de ‘sto cavolo. Ne riparliamo al termine della votazione su Alfano.

Dieci motivi per non parlare di Kazakistan

Nono. In realtà, la mia è una bieca questione di principio, mentre del Kazakistan continuo a non saperne quasi nulla. Ero rimasta ferma al film Borat, della cui profanazione culturale del Kazakistan avevo riso solo a mezza bocca, perché avevo appena conosciuto la moglie di un mio collega, una ingegnera Kazaka tanto intelligente, tanto carina e pure tanto a modino. E adesso mi ritrovo appena pochi passi più in là, esattamente nel punto in cui devo reprimere un inopportuno sbotto di malevola ilarità, leggendo che il consigliere dell’ambasciatore kazako fa di nome Khassen. Un consigliere del Khassen. Che storiaccia del Khassen.

Decimo. Perché si legge ovunque “Casal Palocco”? Ma non si chiamava Casalpalocco? E comunque, chissenefrega. Quel quartiere sarà pure la brutta copia di Peyton Place o una sorta di Beverly Hills di pianura, una Miami Beach de’ noantri senza beach annessa e provincialmente vice, ma, parola mia, resta pur sempre un posto bellissimo dove quella bambina kazaka avrebbe potuto continuare a trascorrere serenamente la propria infanzia.

No, mondo, non me la sento di parlare anch’io di questa storia.


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