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Dios Armando Maradona

Creato il 11 giugno 2012 da Lundici @lundici_it

Si racconta che negli anni d’oro a Napoli, a qualsiasi ora del giorno e della notte, stazionassero di fronte a casa di Diego Armando Maradona decine di persone. Per questo quando Maradona doveva uscire, si metteva   in macchina dentro il giardino di casa sua, accendeva il motore a pochi metri dall’uscita e poi partiva a razzo. Un custode gli apriva il cancello e lui sbucava in strada a tutta velocità. Era l’unica maniera per evitare che la gente fuori non lo lasciasse passare, lo bloccasse, lo soffocasse: se non volevano essere investiti, dovevano scansarsi.

Dios Armando MaradonaDiego Armando Maradona

Ma chi stava davanti a casa di Maradona, era lì proprio per quell’apparizione fugace, per l’emozione di un secondo, per l’illusione di un istante. Non erano tifosi, erano adoratori.

L’imprevedibilità è il sale della vita. Nonostante la nostra ansia di controllo e il timore dell’ignoto ci conducano alla pretesa di voler prevedere ogni cosa, finanche i terremoti, non esiste nulla di più emozionante di lanciare un dado e scoprire su quale faccia cadrà. Una vita in cui tutto è previsto e prevedibile sarebbe terribilmente noiosa.
E poi quasi mai la realtà ci si svela come avevamo previsto: le situazioni sono così complesse e le variabili in gioco così tante che il presente quasi mai si sovrappone alla rappresentazione che ne avevamo fatto quando ancora era futuro.

Alcune volte però, alcuni sogni si realizzano esattamente come li avevamo immaginati. Alcune volte i desideri diventano realtà proprio come speravamo, pezzo dopo pezzo, come se non potesse accadere altrimenti. Ogni tanto, anche se esiste una sola possibilità su un milione, anche se ci siamo lasciati trasportare dalla nostra fantasia, il mondo si costruisce di fronte a noi perfettamente identico al sogno più bello e meraviglioso. Succede, a volte succede.

Dios Armando Maradona
Maradona entra per la prima volta nello stadio S. Paolo. A Napoli si cominciò a cantare una canzone che faceva: "Maradona piensace tu, si mo' nun succere nun succere cchiu'...'Argentina toja sta cca', nun putimme cchiu' aspetta', finalmente ce putimmo vendica'...”

Il 3 novembre 1985 si disputa allo stadio San Paolo di Napoli, la partita Napoli – Juventus. E’ la nona giornata di campionato. La Juve viene da otto vittorie consecutive ed è prima in classifica. Il Napoli va così così, l’anno prima è giunto ottavo e quest’anno vuole di più. Anche perché nel Napoli gioca Diego Armando Maradona, il più forte giocatore del mondo. E’ arrivato l’anno prima e da subito l’intera squadra ruota intorno a lui. Non solo la squadra: tutta la città si è immediatamente identificata con lui. Il giorno del suo arrivo a Napoli, il 5 luglio 1984, fu necessario utilizzare lo stadio per accogliere tutti quelli che volevano vederlo: settantamila persone si radunarono sulle tribune solo per ammirarlo palleggiare pochi secondi e dire una mezza frase in un italiano stentato. Un’apparizione. Non erano tifosi, erano adoratori.

Napoli-Juventus, dunque. E’ inutile sottolineare che allora (come oggi), il Napoli e Napoli sono da sempre, destinati a “perdere” e soccombere di fronte al potere settentrionale del quale la
 Juventus non potrebbe essere rappresentazione migliore.
 La Juve vince. Punto e basta. Ma a Napoli, in quegl’anni, c’è Diego Armando Maradona.
 E questo cambia le carte in tavola. Forse.
 Forse tutto quello che non era mai riuscito a succedere, ora può
 succedere. Tutti lo desiderano, tutti lo vogliono, tutti lo sognano.

La partita è combattuta, il Napoli attacca ed è superiore. Ha fame di vincere ed è spinto dagli ottantacinquemila spettatori sugli spalti. Ma non riesce a sbloccare il risultato, la difesa della Juventus sembra imperforabile. Finisce il primo tempo ed è ancora zero a zero. Le squadre tornano in campo e comincia a piovere: il cielo è plumbeo e la domenica pomeriggio diventa già sera. Si aprono gli ombrelli e forse qualcuno comincia ad aver voglia di tornarsene a casa: il Napoli ci ha provato, è forte, ma la Juve è la Juve…

Ad un certo momento però, a circa quindici minuti dalla fine, l’arbitro fischia una punizione a 
favore del Napoli. E’ una punizione strana, perché il punto di battuta è all’interno dell’area di rigore. Normalmente un fallo in aera è punito con il calcio di rigore, ma in alcuni particolari e rari casi, viene invece concesso un calcio di punizione. E questo è uno di quei casi.

La posizione è difficile, defilata sul lato destro 
del campo ed anche se potrebbe apparire che più la punizione è vicina alla porta, più facile sarà fare gol, in realtà una distanza così corta rende difficoltoso superare o aggirare la barriera di uomini tra il punto di battuta e la porta. Inoltre si tratta di una punizione “a due”, ossia 
non è possibile tirare direttamente in porta, ma è necessario un tocco che preceda il tiro vero e proprio. In altre parole, appena il primo giocatore del Napoli toccherà il pallone, i difensori della Juventus si avventeranno sul tiratore a cui egli passerà la palla in modo da togliergli spazio.

Il tiratore prescelto è, ovviamente, Diego Armando Maradona.
 Il pallone è lì fermo, nel fango.
 Diego Armando Maradona aspetta: ha i capelli ricci e tiene le mani sui fianchi.
 Nell’attesa che la barriera si posizioni correttamente, tutto lo stadio, tutti gli ottantacinquemila spettatori costruiscono nelle loro menti un sogno. Istintivamente ognuno di loro idealizza un preciso desiderio, una fantasia chiara che ogni secondo che passa s’ingigantisce e diventa sempre più meravigliosa.

Maradona fu un bambino prodigio che bruciò tutte le tappe. Si racconta che, quando fece il suo primo provino per una squadra vera (l’Argentinos Juniors), essendo basso di statura, l’allenatore pensò che fosse un nano,perché era impossibile che un bambino di dieci anni fosse così bravo a giocare a pallone: gli chiese anche un documento. L’eco delle sue gesta si sparse in fretta in Argentina ed un giorno una troupe televisiva si recò ad intervistarlo quando era ancora un bambino.

 Maradona è stato l’archetipo della definizione “genio e sregolatezza”, ne ha combinate di tutti i colori e non è stato certo un campione capace di “gestirsi”. Eppure quell’intervista ad un bambino magrolino, timido e sparuto è rivelatrice di chi sia stato Maradona. L’intervistatore gli domanda quale sia il suo sogno. E lui, con adulta lucidità e chiara precisione, risponde: “Io ho due sogni: il primo sogno è giocare i Mondiali di calcio. Ed il secondo è vincerli”. Due sogni. Li vede chiari nella sua mente di bambino in un campetto spelacchiato alla periferia di Buenos Aires.

In porta nella Juve c’è Stefano Tacconi. 
Che, ovviamente, prevede quello che potrebbe accadere e quindi sistema 
una folta barriera davanti alla sua porta. Cinque, poi sei, poi sette
 giocatori.  Stefano Tacconi sa che futuro può attenderlo, ma, in virtù
 delle precauzioni prese, della fiducia nella propria bravura, della 
situazione particolarmente sfavorevole al tiratore, valuta che sarà alquanto 
improbabile che proprio quel futuro si converta in realtà. 
Stefano Tacconi sa che esiste solo una possibilità, solo una 
traiettoria, solo una scena, solo una 
sequenza di immagini, solo un piccolissimo spazio nella sua porta dove egli non potrà arrivare.
 E la stessa cosa pensano tutti gli ottantacinquemila spettatori
. 
Tutti, ma proprio tutti vedono
 quella traiettoria, quella scena,quella sequenza di immagini, quel piccolissimo spazio nella porta. 
Prevedono, desiderano, sognano. Non sono tifosi, sono adoratori.

Stefano Tacconi si
 stringe i guanti e si piega sulle gambe.
 Diego Armando Maradona è a pochi metri da lui.
 Ha i capelli ricci, mancano pochi minuti alla fine della partita e tiene le mani sui fianchi. Sul pallone c’è Eraldo Pecci.Il suo
 compito è solamente quello di toccare leggermente il pallone, in
 modo che 
Maradona possa calciarlo in porta.
 Nonostante la distanza regolamentare sia di 9 metri e 15 centimetri, la barriera della Juventus è a meno di 6 metri. I giocatori del Napoli lo fanno notare all’arbitro, insistono, si lamentano. Ma in barriera ci sono Platini, Scirea, Cabrini, c’è la Juventus…è difficile farli indietreggiare….

Diego Armando Maradona dovrà perciò colpire un pallone in 
movimento, ad una velocità ed in una posizione che ancora non
 può conoscere con esattezza perché 
manca il tocco di Pecci che, per quanto preciso, introdurrà, 
ineluttabilmente, una serie di variabili che Maradona non
 è in grado di considerare con precisione.

C’è solo una possibilità, una traiettoria, un piccolo, unico spazio nella porta difesa da Tacconi, un solo futuro tra i milioni possibili.

Pecci indica all’arbitro la barriera per invitarlo a farla indietreggiare, anche Maradona non guarda la palla e sbraita contro gli juventini. Tacconi piegato sulla ginocchia urla ai suoi difensori di non perdere la posizione, di rimanere fermi dove lui li ha sistemati, c’è grande agitazione, tutti si muovono, nessuno sta fermo, solo la palla è lì, immobile sul prato fangoso. Poi, all’improvviso, mentre ancora sta gridando verso l’arbitro, Eraldo Pecci tocca il pallone. La palla rotola nel 
fango e si avvicina lenta a Maradona che – per un attimo – appare come sorpreso dalla fulminea decisione di Pecci. Sono pochissimi millesimi di secondo durante i quali il tempo sembra fermarsi e forse si ferma davvero, perché tutti gli ottantacinquemila spettatori fanno in tempo a ripassare nella loro mente quel desiderio, quel sogno, quell’unico futuro possibile. Due giocatori della Juve si avventano su Maradona, gli sono di fronte a pochissimi metri, sembra impossibile che la palla che Maradona calcerà tra pochi istanti possa evitarli.

E poi Diego Armando Maradona colpisce il pallone. 
Lo colpisce in maniera strana, anomala, apparentemente balorda, inadeguata e scorretta: con la parte del piede 
più vicina al tacco che alla punta. Ma è
l’unica maniera possibile. 
L’unica maniera possibile perchè il pallone segua proprio quella 
traiettoria e s’infili proprio in quell’esigua ed unica fetta di spazio dello 
specchio della porta dove
 Stefano Tacconi non può arrivare. L’unica maniera possibile per
 far coincidere la realtà con l’esatto desiderio di
ottantacinquemila persone, l’unica maniera per 
realizzare un sogno collettivo,proprio quell’unico sogno.
 Sovrapposizione perfetta tra il 
piano dei desideri e quello della realtà. Come non potesse essere altrimenti.
Gol.
 Gol di Diego Armando Maradona.

Dios Armando Maradona
Esisteva un'unica possibilità, un'unica traiettoria, un unico piccolo spazio nella porta difesa da Tacconi: era ciò che gli ottantacinquemila sugli spalti sognavano....

In quell’unico punto, in quell’unica persona, in quell’unica
traiettoria, si sono uniti, e sono confluiti i
 sogni e i desideri di una moltitudine di persone.
 Ottantacinque mila sogni sono divenuti realtà, passando per Diego 
Armando Maradona.
Dal tutto all’uno.

Questo è stato Diego Armando Maradona: una persona capace di far 
accadere ciò che si può prevedere ma si considera impossibile perché troppo bello e troppo meraviglioso; un uomo in grado di far combaciare
 sogni e realtà, di 
innalzare l’emozione del reale al di sopra della sorpresa, di dare perfetta realizzazione ai 
desideri di migliaia, di milioni di persone.  E chi altri è Dio se non qualcuno o qualcosa capace di fare 
tutto questo? Chi altri è Dio se non qualcosa o qualcuno in grado di 
trasformare in realtà, in maniera esatta, perfetta, totale i nostri sogni più belli e
impossibili? E’ miope stupirsi dell’amore di cui è stato oggetto 
Diego Armando Maradona.  Ed è altrettanto superficiale il giudizio di chi considera stupide le persone che hanno adorato Maradona. Perché questo è stato Diego Armando Maradona: Diego Armando Maradona 
è stato Dio.

 


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