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Diritto di cittadinanza

Da Paritismo @MgFarina

Paritismo - Ius soli sì, ius soli no!
Diritto di cittadinanza

In questo blog sul Paritismo, dedicato, non sempre, ma solitamente, alla denuncia delle violenze sulle donne, alla necessità di un pieno riconoscimento del ruolo e dei diritti della donna, vorrei oggi affrontare un argomento spinoso, che a mio parere ha stretti legami con l’essenza del Paritismo. Un argomento a cui ho pensato spesso in questi anni in qualità di docente in classi multietniche a Milano e che ultimamente è tornato prepotentemente in auge. Si tratta dello ius soli, ovvero il diritto di acquisire la cittadinanza dello Stato sul cui suolo l’individuo nasce.Ad oggi, lo ius soli è riconosciuto in modo automatico solo in alcuni Paesi del mondo, circa 30 su 194, e tra questi ricordiamo gli Usa e il Canada.In Italia, i figli degli immigrati, anche se nati e residenti stabilmente in territorio italiano, devono aspettare la maggiore età per poter fare richiesta della cittadinanza. La domanda fa scattare tutto un procedimento, che in genere porta all’acquisizione della cittadinanza. Il ragazzo non deve essersi mai spostato dall’Italia se non per brevissimi periodi, pena la non ammissibilità della domanda. Per chi non la vive dal di dentro, può sembrare una situazione non grave, eppure posso assicurare che molti bambini e soprattutto adolescenti vivono molto male questa condizione di limbo. Perché di limbo si tratta. Nel momento in cui un bambino nasce e vive in uno Stato, di cui acquisisce lingua (compresi accento e dialetto), storia e abitudini, sente di appartenere a quello stesso Stato. Del Paese di origine dei genitori spesso non sa nulla, se non quel poco che i parenti possono o vogliono raccontare. Molti ragazzi non hanno mai visitato il Paese d’origine, spesso per il peso economico anche di un semplice viaggio/vacanza. Questi ragazzi non sentono, quindi, di appartenere al Paese che, per legge, gli dà la cittadinanza dei genitori, ma che di fatto non conoscono. Intimamente si sentono di dove son nati e alcuni affermano di avere la cittadinanza italiana, quando in realtà non è così perché ancora minorenni. Troppe volte ho assistito in classe al pianto, alla chiusura, all’apatia di ragazzini che si sentono italiani a tutti gli effetti, ma che sono poi vittima, a volte in maniera seria, a volte solo per gioco, degli altri compagni che li dileggiano o li etichettano comunque come stranieri. Sentimenti di rabbia, di frustrazione, di inadeguatezza sono assolutamente comprensibili e in alcuni casi si assiste all’acting out, ovvero alla trasformazione di tali vissuti in condotte aggressive.Ma perché dobbiamo mettere questi ragazzini in questa situazione?Se al Paese d’origine dei genitori non sentono di appartenere e se del Paese dove nascono e vivono non sono, a quale gruppo appartengono? Di chi sono? Stiamo parlando di costruzione dell’identità, roba seria.A tutti coloro che sostengono che non bisogna riconoscere lo ius soli, vorrei chiedere: che danno farebbero questi bambini e questi adolescenti se fossero riconosciuti italiani sin dalla nascita? Perché far vivere loro un sentimento di discriminazione? Perché provocare inutile sofferenza?Se qualcuno vuol rispondermi, gliene sono grata, magari comprendo qualcosa che adesso mi sfugge.Al momento, so solo che questa mi sembra un’assurda mancanza di Paritismo.

Eleonora Castellano, docente e psicologawww.eleonoracastellano.com
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