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Disaccordatore

Creato il 17 dicembre 2013 da Unarosaverde

Gli accordatori, dicono i pianisti, sono gente strana. Hanno l’orecchio assoluto per vocazione. O viceversa. Soffrono di nervi ma sono in grado di concentrarsi per due ore su 88 tasti dai quali pretendono un suono perfetto, né più alto né più basso del dovuto eppure con un certo non so che, diverso da esemplare ad esemplare – umano e strumentale – , che solo loro riescono ad ottenere.

Mettono le mani e le orecchie su un pianoforte malconcio e ti restituiscono uno strumento nuovo di zecca. Si affidano a dispositivi elettronici sofisticati o al puro riverbero delle note all’interno della cassa acustica del proprio corpo. Sono deboli di cuore, dice uno che ne ha conosciuti tanti ma non esistono statistiche a supporto di questa constatazione.

A casa mia alcuni sono passati, ma io me li sono persi tutti: c’è stato il migliore della zona, bravissimo e umorale, che sparisce per anni nel silenzio delle proprie ossessioni e poi ricompare; c’è stato il giapponese moderno e impersonale, programmato per il lavoro in serie; c’è stato qualcun altro che non ha lasciato traccia nella mia immaginazione perché ero ancora troppo piccola per  farmi affascinare da un simile lavoro. Accidenti.

E ci sono stati quelli delle storie, sbucati dalle biografie e nascosti nell’ ombra dei grandi pianisti, dalle cui capacità dipendeva l’esito di un concerto perché – alla fine – tra pianisti famosi e accordatori  sempre del regno della perfezione e delle manie si tratta per chi, come me, osserva incuriosita dal mondo della gente comune.

Fatto sta che qui siamo in emergenza: ci serve un accordatore. Sparito quello precedente, per raggiunti limiti di età, ecco un nuovo nome, raccolto su piazze musicali, raccomandato da chi sa chi c’è in giro e lavora bene. Avrei potuto conoscerlo – dico avrei e non avremmo perché forse stavolta una mezz’ora potrei riuscire ad assistere al miracolo dell’intonazione anche io e perché pare che mio padre lo abbia già incrociato in veste di alunno qualche lustro fa – alla fine di novembre ma si è ammalato e ha dato buca. Ha rimandato. A ieri.

Ieri però non si è palesato né in carne ed ossa né in voce via telefono.” Forse è personale?”, ho suggerito pensando ad antiche ruggini tra maestro e allievo di cui il maestro ignora l’esistenza, cosa che spesso accade. Il proprietario dei pianoforti risponde “impossibile” ma è seccato, non solo perché deve rimanere in casa appeso come un discorso interrotto ad aspettarlo ma anche perché ogni volta deve sgombrare dal coperchio del mezza coda e dal coperchietto del verticale tutta una serie di oggetti che il pianista ama avere accanto mentre suona. Trattasi di spartiti, fotografie, matite spuntate, gommine improbabili, gli occhiali, una sveglia, il metronomo, e la polvere tra loro. E una lampada a braccio spettacolosa e tutta snodata, recente aggiunta della figlia che non ha voglia di cavarsi gli occhi mentre fa finta di studiare. Il pianista vero non ne aveva mai avvertito la necessita’. Tira giù e metti su, fino a nuovo avviso.

Il pianista è seccato, la figlia del pianista – la cui perizia non è sufficiente a farle capire se lo strumento stona, tanto per intenderci – ridacchia insensibile e attende gli sviluppi della storia. Intanto però ha deciso che le voci che i suddetti pianisti fanno circolare potrebbero essere vere: gli accordatori sono gente strana e lei non vede l’ora di conoscerne uno.


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