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District 9

Creato il 06 settembre 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

Questa recensione nasce in seguito ad un dibattito, con il pubblico, dopo la proiezione della pellicola all’interno del cineforum interattivo “(004)Days of summer”.

District 9

District 9” è un film difficile, strano, in cui l’elemento fantascientifico diviene una metafora per parlare di una ferita ancora aperta: l’apartheid in Sudafrica. E’ un film che piace o non piace, senza vie di mezzo. La pellicola, del regista sudafricano Neil Blompkamp, racconta dello sbarco degli alieni sulla terra. Niente “Incontri ravvicinati del terzo tipo” o piccoli omini verdi simpatici, ma solo orrendi e ripugnanti esseri, chiamati in maniera dispregiativa “Gamberoni“. Niente uomini incuriositi, eroi improponibili dagli scopi puramente umanitari, ma solo potere e soldi. In questa realtà, non poi troppo fantascientifica verrebbe da dire, i “gamberoni” vengono ghettizzati nel Distretto 9, che molto ricorda il Distretto 6 istituito durante l’apartheid. Nel distretto, dove vige la totale anarchia e la criminalità più estrema, i gamberoni dovranno essere sfrattati. Il film parte come mockumentary, ossia falso documentario, e sin da subito lascia intontiti e incuriositi, come se si volesse render chiaro che, pur essendo un film di fantascienza, tratta di argomenti veri, vicini o lontani che siano dalle nostre piccole realtà di paese. Basti pensare ad esempio che gli alieni, trovati in condizioni di sudiciume e sporcizia, in condizioni disumane, ricorderanno a noi Italiani gli sbarchi di migliaia di albanesi sulle nostre coste. Probabilmente qualcuno storcerà il naso guardando scene forti, quasi traumatiche (vedasi ad esempio le unghie strappate), oppure guardando effetti speciali volutamente eccessivi (il buon Neil nasce come tecnico di effetti speciali, per cui vede in questa tecnica cinematografica uno strumento indispensabile). Di fatto però c’è che non è un film di fantascienza facile da inquadrare perchè racconta di xenofobia, di specismo, di interessi economici, del potere dei mass media, della poca umanità degli umani. A volte sembra quasi che il film tocchi questi argomenti e poi fugga verso altre direzioni, rendendo il tutto quasi fallace. Però colpisce dritto allo stomaco, raggiunge il suo obiettivo. E lo fa alternando quanto di meglio il cinema del nuovo secolo ha proposto: se il mockumentary (vedasi ad esempio “Joaquin Phoenix – Io sono qui” di Casay Affleck, e non quelle boiate pseudo horror, per farsi un’idea) viene abbandonato dopo poco e poi ripreso nel finale, le sequenze di azione degne dei migliori action-movie americane la fanno da padrone per lunghi tratti, alternandosi alle tecniche più disparate, dalla wescam (la telecamera sull’elicottero) alla steadycam (qui usata un po’ stile videogame, non casuale avendo Blompkamp un rapporto speciale con “Halo“), dalla camera a mano che balla e smuove lo spettatore, al combat film (i documentari girati durante la guerra), dai piani sequenza infiniti alle riprese delle telecamere a circuito chiuso, dei tg e delle videocamere amatoriali. Senza ovviamente dimenticare i già citati effetti speciali realistici. Tutto questo diventa funzionale al film, ma anche allo spettatore, affinché si crei empatia con la popolazione aliena, ripugnante dal punto di vista estetico, in una spirale di xenofobia da perder la testa, e dove l’uomo, bianco o nero, più accettabile esteticamente, crei ribrezzo. Il suocero del protagonista antepone gli interessi economici all’amore per il “figlio”, gli scienziati, o presunti tali, sono persone senza scrupoli, i soldati sono macchine da guerra e pedine volontarie del sistema politico/economico, il ghetto dei nigeriani è affarista e criminale.  La verità è che l’umanità, spesso, è diventata aliena agli umani. Per fortuna ci pensa Blompkamp a ricordarci cosa significa essere umani, e lo fa con un fiorellino costruito con i rimasugli di spazzatura.

Voto 8

 


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