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Ditta Dante & Figli: Buffalo Bill in Colchide

Creato il 26 luglio 2011 da Leragazze
Ditta Dante & Figli: Buffalo Bill in Colchide
l’impresa del “cavalier” Giasone

La scarsa considerazione che un dantista moderno può avere per le Chiose di Jacopo Alighieri, qualche appiglio ce l’ha. Jacopo infatti scrive in un italiano estremamente ricercato, fino all’innaturalezza, anzi con modernissime anti-strutture alla James Joyce… ma poi scivola sulle banalità più clamorose.

Un esempio per tutti: quando parla della spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro in
Colchide (coste della attuale Georgia sul Mar Nero), scrive che avvenne a cavallo! Ora, a parte il fatto che la nave “Argo” è strafamosa, se Jacopo avesse letto con più attenzione la Divina Commedia avrebbe visto che la nave viene espressamente menzionata anche da suo padre. E avrebbe evitato di confondere Giasone con Buffalo Bill. Par di vedere lo scappellotto che gli avrebbe mollato il Sommo, se non fosse defunto prima.

Da rilevare, a proposito, che quando Jacopo scrisse quest’opera doveva avere meno di 25 anni. Nel Medioevo era una discreta età (a 24 anni, nel 1289, Dante aveva già combattuto due volte al fronte; e a 25 anni avrebbe subìto lo shock decisivo della morte di Beatrice), ma era pur sempre una fase giovanile: mancavano altri 10 anni per giungere al “mezzo del cammin di nostra vita”.

Eppure i difetti delle Chiose, da  un altro punto di vista, diventano dei pregi. Quello che Jacopo Alighieri ci restituisce infatti non è il Medioevo ricostruito dagli studiosi dei secoli seguenti, ma quello in presa diretta. Sappiamo bene che NEPPURE Dante possedeva una cultura classica che fosse minimamente paragonabile a quella degli intellettuali del Rinascimento, o a quella dei dantisti dell’Otto-Novecento, i vari De Sanctis, Carducci, Pascoli, ecc.

Ad esempio nel canto 22 del Purgatorio, versi 70-72, traducendo dal latino alcuni versi dell’adorato Virgilio, Dante fa uno svarione così asinino che ancora oggi, dopo sette secoli, i critici si arrampicano sugli specchi per giustificarlo. Scappellotti: uno pari.

La cultura medievale degli Alighieri, padre & figlio, personalmente la trovo affascinante, ed assolutamente “corretta” proprio nella sua “scorrettezza”. Non era ancora subentrata la filologia, che suddivide le epoche, i generi letterari, i contenuti, in compartimenti stagni mai esistiti. La cultura medievale raffigura la Realtà: questo coacervo di pezzi di tutti i tipi, di schegge impazzite di qualunque origine, che si amalgamano nelle maniere più bizzarre. Per voi che state a Roma, basta uscire dalla metro Colosseo, e vi trovate di fronte, tutti insieme, teatri romani, chiese barocche, lampioni elettrici… Questo vale per l’architettura e, a maggior ragione, per la psicologia.

Ma il meglio di Jacopo Alighieri deve ancora venire.

dhr



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