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Diversificazione, l’arma vincente dell’economia africana

Creato il 02 febbraio 2013 da Afrofocus

13485691081L’Africa è il principale fornitore di materie prime al mondo grazie alla cospicua quantità di minerali e metalli custoditi nel suo sottosuolo tra cui oro, platino, rame, diamanti, uranio, manganese, litio, cromo, bauxite, molibdeno, tantalio, tungsteno, niobio, nichel e cobalto. Non è dunque una casualità, se nell’ultimo decennio, l’economia africana sia cresciuta a ritmo sostenuto favorendo uno sviluppo legato in modo eccessivo a questo settore.

Ed è anche singolare osservare che, nonostante le ingenti risorse di cui dispone, la percentuale di produzione del continente corrisponde appena al 2% del commercio mondiale, fondamentalmente perché le sue materie prime vengono cedute a prezzi bassi mentre i macchinari per l’industria, l’edilizia e le telecomunicazioni, vengono venduti a prezzi esorbitanti nonostante i componenti di fabbricazione provengano, quasi tutti, dal continente africano.

Il tema delle materie prime dell’Africa è fondamentale per le imprese europee, per questo negli ultimi anni il Vecchio continente ha dimostrato un rinnovato dinamismo nella corsa all’accaparramento di queste risorse. In quest’ottica, riveste primaria importanza l’intesa sulle materie prime per un partenariato strategico inter pares, raggiunta nel giugno 2010, ad Addis Abeba, nel corso del meeting bilaterale Europa e Africa. Con la firma di tale accordo, l’esecutivo comunitario ha sottoscritto l’intenzione di perseguire una strategia costituita da una politica commerciale e di cooperazione con i paesi africani.

Una strategia consolidata esattamente un anno fa a Bruxelles, in occasione della conferenza di alto livello sul partenariato Africa-Ue per le materie prime, intitolata “Trasformare la ricchezza di risorse minerarie in reale sviluppo per l’Africa”. Nel corso dei lavori è stata ribadita l’importanza delle materie prime e del loro approvvigionamento sostenibile, in grado di offrire un contributo cruciale in numerosi ambiti, che vanno dallo sviluppo alla competitività industriale. La conferenza ha sottolineato che in termini di investimenti e infrastrutture, l’Europa può aiutare l’Africa a migliorare gli investimenti nei corridoi di sviluppo delle attività minerarie e a potenziare il quadro politico e normativo relativo all’impatto ambientale di tali attività.

I buoni propositi di Bruxelles hanno un significato che va ben oltre le nuove relazioni tra i due continenti, perché sottoli­nea la preoccupazione europea di fronte all’assalto di Cina e India alle risorse minerarie e ai mercati del continente africano. Per troppi anni, la parte sub­sahariana è stata guardata e trattata dai suoi interlo­cutori esterni come un bacino da sfruttare dominato da leader autoritari e corrotti.

Negli ultimi tre lustri abbiamo assistito allo sviluppo dell’India, la più grande democrazia del mondo, e della Cina, che sotto la bandiera del comunismo si è lanciata alla conquista del mercato mondiale come ogni altro paese capitalistico. L’effetto della crescita di questi e altri paesi cosiddetti emergenti, l’aumento vertiginoso della richiesta di materia prima, dal petrolio al ferro, dai fosfati all’uranio, con conseguente lievitazione dei prezzi, hanno fatto dell’Afri­ca il secondo continente in più rapida crescita.

Una crescita che, per ora, va a beneficio di un’elite costituita da chi è al potere e da una nuova classe d’imprenditori giudicata la vera speranza di sviluppo economi­co e sociale. Senza dubbio molti regimi autoritari dovrebbero scomparire per lasciare spazio alla modernizzazione, ma sarebbe errato non capire che la penetrazione cinese e indiana è il risultato della politica miope degli ex paesi colonialisti.

La Cina maoista era presente nei primi anni della decolonizzazione, quando arrivava con decine di migliaia di tecnici e operai per costruire strade e ferrovie. Oggi l’ex Impero di mezzo compete con l’Occidente usando i metodi della concor­renza: decisioni rapide, maggiore disponibilità all’investimento, prezzi più bassi.

Per l’Africa invece il discorso è diverso, come spiega Nicolas Imboden, presidente della Camera di commercio Svizzera – Africa, “la crescita del continente è in gran parte dovuta all’aumento dei prezzi delle materie prime, settore che insieme a quello delle infrastrutture attira il maggior numero d’investitori stranieri, in questo modo i tassi di crescita potrebbero dunque trarre in inganno e nascondere il reale stato di sviluppo dei paesi africani”.

Dunque, l’idea di fondo di Imboden è che un’eccessiva dipendenza dalle esportazioni di materie prime o da singoli settori dell’economia rappresenta un ostacolo decisivo allo sviluppo. A confermare le più che condivisibili opinioni dell’economista svizzero, c’è lo studio “Economic diversification in Africa”, elaborato in maniera congiunta dall’Osaa (Ufficio del Consigliere speciale sull’Africa presso le Nazioni Unite) e dal progetto di sostegno per l’iniziativa d’investimento in Africa del Nepad/Oecd (Nepad è il Nuovo partenariato per lo sviluppo dell’Africa, il piano strategico globale per la gestione dello sviluppo economico e sociale, messo a punto nel 2001 dall’Unione africana. Oecd è l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico con sede a Parigi).

Il rapporto evidenzia che molti paesi africani sono “vulnerabili alle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime, alle oscillazioni della domanda e a eventi meteorologici estremi come siccità o inondazioni”. Mali inevitabili se si vive di un solo prodotto, sia il cotone, il cacao, il rame o il petrolio. Mali da curare diversificando o, almeno, provando a gestire i processi di trasformazione.

La diversificazione può rappresentare l’arma vincente per un continente ancora sottorappresentato nelle istanze internazionali che contano. Un continente che deve cominciare ad inserirsi nei processi di globalizzazione giocando un ruolo alla pari con gli altri soggetti mondiali, non più come fornitore di materie prime ma come protagonista del proprio sviluppo.

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