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Doccia scozzese: la vittoria di Pirro di Londra

Creato il 21 settembre 2014 da Albertocapece

scozia3Come sempre dopo. Quel che resta della sinistra in Italia, non riesce a liberarsi dai propri riflessi condizionati che fanno aggio su qualsiasi realismo, salvo a posteriori scuotersi dal torpore e cominciare a scorgere quello che fino a un attimo prima pareva invisibile. Giorni fa (vedi qui) sostenni che l’indipendentismo scozzese aveva poco a che fare col nazionalismo e molto invece con la questione sociale, col desiderio di sottrarsi al liberismo selvaggio della city e al fondamentalismo di mercato. E naturalmente giunsero pernacchie urbi et orbi.

Oggi, a qualche giorno dal voto, in alcuni siti della sinistra, tramite Micomega, ci si chiede se gli indipendentisti escano davvero sconfitti, visto che il voto dei giovani e dei ceti popolari è andato in grande maggioranza alll’indipendenza, che ha scelto il sì  anche un 37% di votanti del Labour il quale ha fatto una capillare campagna unionista, che il 55% dei no è una cifra piuttosto misera se si tiene conto che tutti i giornali (salvo  il Sunday Herald) e i media televisivi hanno condotto un’intensa e forsennata battaglia per il no, che le banche e le multinazionali hanno minacciato di andarsene, che sono state diffuse ad arte previsioni di morte e distruzione in caso di indipendenza, che Bruxelles ha fatto la voce grossa contro gli scozzesi, che il protestatario Ukip, tanto vituperato, abbia tuonato contro l’indipendenza, che anche Obama si è schierato con gli unionisti e non solo a parole perché il partito indipendentista che è maggioranza in Scozia, vuole uscire dalla Nato. Dulcis in fundo che persino la regina da sotto il vaso di gerani che ne sottolinea lo squisito gusto, ha indebitamente fatto sentire la sua ovvia contrarietà a qualcosa che tra l’altro avrebbe come effetto quello di diminuire l’appannaggio per il sostentamento dei reali cappellifici.

Non mancano in tutto questo elementi così acefali e grotteschi da mettere in luce la sottostante trama di potere suggeritore, come quando il Daily Mail, una quindicina di giorni fa, ha paragonato la minaccia di indipendenza della Scozia a quella di Hitler. O come quando Rupert Murdoch ha tentato di scambiare l’appoggio dei propri giornali all’indipendenza in cambio di una detassazione completa delle sue aziende (il cui centro si sarebbe trasferito in Scozia), offerta ritirata quando il magnate si è accorto che lo “Scottish National Party non parla di indipendenza quanto di welfare, di ecologia (lo Snp è antinuclearista e contrario alle leggi di svendita dei beni ambientali alle corporation. ndr) di recupero di sovranità rispetto a Bruxelles. Questa non è un’osservazione, ma un avvertimento, se il partito non cambia rotta i miei giornali lo distruggeranno”.

Così oggi qualcuno a sinistra scopre che l’indipendentismo cresciuto di fronte al saccheggio di beni che vanno quasi tutti in direzione della City o dei possidenti locali, è in realtà la richiesta di un nuovo modello economico, la volontà di  opporsi «all’eredità di Margaret Thatcher, le cui politiche di deindustrializzazione prima e di tagli poi non sono mai state contraddette, negli ultimi decenni, nemmeno dal New Labour» come ha scritto assai prima del voto lo storico Tom Webster dell’università di Edimburgo. Caratteristiche che del resto sono presenti anche fra gli indipendentisti catalani alla cui testa, non per caso, ci sono ormai formazioni di sinistra radicale, al contrario di quanto accade con il vacuo secessionismo italiano, inseparabile, anzi consustanziale alle politiche padronali, all’opacità del piccolo capitalismo di relazione. E si riconosce che la sconfitta sul filo di lana avrà comunque un effetto non indifferente sulle politiche di Londra che dovrà procedere a una intensa devoluzione di politica, di legislazione, di beni e di attività per tentare di disinnescare la mina rivelatasi assai più pericolosa di quanto non si pensasse non tanto per il Regno Unito in sé quanto per le politiche messe in atto. E in questo senso il referendum è stata la prima vittoria lungo un processo di riassestamento britannico.

Dunque meglio tardi che mai cominciare a rivedere certi automatismi di giudizio. Ma del tutto inutile se certe lezioni poi non si traducono anche in un altro modo di vedere i rapporti col feticcio europeo, divenuto molto simile a una santa alleanza della restaurazione. Con i suoi Murdoch in fila indiana.


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