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“Doing God’s work”, ovvero il grande equivoco di essere Charlie

Da Paolominucci @paolo_minucci

10931416_843835585674487_9123322211951587597_n-620x360Da quando è accaduto il terribile attentato di Parigi, e l’incredibile vicenda del supermercato preso in ostaggio, ho provato più volte a cercare di imboccare un cammino col pensiero in grado di tirarmi fuori dall’impasse mediatica in cui, inevitabilmente, si scivola in questi casi.
L’emozione, la scossa violenta a cui di colpo pare impossibile sottrarsi ci ha catapultati in un comprensibile stato di angoscia e terrore, una sensazione già provata in passato, che però sembra ora aver raggiunto l’acume massimo. Ci sconvolge questa tragedia perché in fondo, ad essere stati colpiti, stavolta sentiamo di essere stati proprio noi, non i passanti sfortunati deflagrati con una bomba, non il giornalista finito suo malgrado nelle mani di aguzzini lontani, ma noi, ovvero un obiettivo ben preciso della nostra società, eliminato come da programma, senza difficoltà, senza possibilità d’opposizione.
Trascorsa qualche ora, ho però iniziato a domandarmi se, una volta di più, l’emozione non mi avesse portato su di un sentiero contorto e fuorviante rispetto alla ricerca dell’obiettività di giudizio, e ci sono alcuni punti, nello specifico, che mi piacerebbe analizzare con un po’ di lucidità.

Siamo tutti Charlie
L’attentato ha scatenato la corsa alla solidarietà e all’unione (come sarebbe giusto per qualsiasi tragedia, a qualsiasi latitudine), ma ha anche portato tutti a rivendicare il diritto alla tanto declamata libertà d’espressione. Eppure quando Charlie Hebdo pubblicava vignette

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contro il Papa o contro le gerarchie cattoliche (immagine a lato) non mi pare di aver sentito politici nostrani (mi limito a quelli) difendere l’operato del giornale. Vignette considerate blasfeme e che io non sono sicuro di condividere nella loro forma, ma che formano parte di quel complesso mondo rappresentato dalla libertà d’espressione. Oggi siamo tutti Charlie, ma forse avremmo dovuto esserlo sempre, l’avremmo protetto di più. Perché libertà di manifestare il proprio pensiero vuol dire soprattutto permettere a chiunque di esprimere un’opinione contraria alla nostra (e non solo a quella degli altri).

 

I sicari degli dei
Possibile che gli dei del monoteismo, onniscienti e onnipotenti abbiamo sempre bisogno di un vendicatore in carne ed ossa sulla Terra? Non potrebbero una buona volta venir giù e darsele di santa (pardon) ragione? Trovo ridicolo che al mondo ci sia ancora chi agisce nel nome degli altri ma del resto è un’abitudine ben nota anche al mondo occidentale. Senza andare troppo in là (non tirerò fuori nuovamente la storia delle crociate), Dio è presente nel discorso di guerra alla Somalia di Bush senior, “Doing God’s Work! È presente in quelli di suo figlio, prima dell’attacco in Afghanistan e in Iraq, solo per citare alcuni esempi. Guerre che hanno desertificato culturalmente intere aree geografiche ancor più di quanto non lo fossero con i loro regimi e che ora si ritrovano ad essere porzioni ingovernabili del pianeta, svuotate da ogni possibilità di democrazia e perfetto focolaio di estremismi di ogni tipo.
Oggi si tende a sottolineare la matrice islamica degli attentati alla prima occasione possibile, eppure pochi anni fa lo stesso risalto non fu dato alla matrice cristiana dell’attentatore norvegese Breivik che uccise, nel nome di Dio, 77 giovani in un paio d’ore.
La religione, che del resto oggi è una ideologia più che una fede, se imposta agli altri è sempre un pericoloso fondamentalismo sociale. Poi, è chiaro, ognuno fa la guerra con le proprie armi ma io, in tutta sincerità, la coscienza non me la sento così pulita se è vero come è vero, che le politiche della mia porzione di mondo non cessano di causare scontri, frazionamenti e povertà ad altre popolazioni (approfondirò volentieri il tema in un altro pezzo).

Guerra all’occidente, o forse no
Molti in questi giorni si sono svegliati con pagine dei giornali che aprivano in modo feroce, con le immagini dell’uccisione del poliziotto di guardia alla sede dell’Charlie Hebdo, e con parole che nella migliore delle ipotesi indicavano uno stato di assedio del “nostro” mondo occidentale e delle nostre culture. L’attentato dell’altro giorno è avvenuto a Parigi, nel cuore dell’Europa, di uno dei luoghi più democraticamente avanzati. Tuttavia i terroristi di matrice fondamentalista islamica (ma che, come detto, con l’islam vero hanno poco a che fare), normalmente seminano terrore e morte soprattutto nei territori orientali. Oltre alla Siria, vi sono altre zone caldissime da questo punto di vista. Circa un mese fa, a metà dicembre, un attacco kamikaze in Pakistan, a Peshawar, ha compiuto una vera e propria strage in una scuola: circa 150 morti di cui più di 130 erano bambini. L’attacco, rivendicato dai talebani, non ha destato troppo scalpore mediatico alle nostre latitudini, non siamo scesi in piazza, non eravamo “tutti cittadini di Peshawar” e non siamo andati a manifestare alle ambasciate pakistane del nostro paese per testimoniare solidarietà. Non l’abbiamo fatto noi, non l’hanno fatto i francesi e, soprattutto, nessun quotidiano ha titolato “Guerra all’innocenza dei bambini in Pakistan” o qualcosa del genere. Semplicemente la nostra indignazione è durata 10 minuti, tra una forchettata e l’altra durante il telegiornale. Questo per dire che ogni giorno questi stessi criminali uccidono decine e decine di persone (parliamo di migliaia di morti in totale), per lo più musulmani come loro, ma che con il terrorismo, ovviamente, non hanno niente a che fare. In un mondo globale, se non impareremo ad avvicinarci alle tragedie che accadono dall’altro lato del mondo, non saremo in grado di difenderci quando le stesse cause le porteranno a casa nostra. Un problema globale va affrontato nella sua totalità.

Not in my name
Se da un lato c’è chi si serve schifosamente del Dio della guerra, dall’altro c’è chi, in queste ore, sta provando a prendere le distanze da una strumentalizzazione globale dell’attacco di Parigi per la quale musulmano=terrorista. La comunità islamica internazionale, e quindi ogni singola rappresentanza locale, sta provando a ribadire ancora una volta che queste azioni violente nulla hanno a che fare con la fede in Allah. Per sintetizzare il madornale errore in cui ci lasciamo trasportare ogni qual volta accade un episodio simile, voglio ricorrere ad un post di un mio collega di Pronews, il quale dalla sua pagina facebook scriveva: Se per 3 assassini riuscite ad odiare 1.6 miliardi di musulmani nel mondo non dovrebbe sembrarvi strano che per i 3 assassini di Stefano Cucchi si possano odiare tutte le 300 mila unità delle forze dell’ordine italiane. Lo sforzo logico è ben meno oneroso, il fatto è che non funziona proprio così. L’assurdità dell’assioma si riassume in queste poche righe (grazie Andrea!). In fondo sarebbe come se ogni italiano venisse considerato mafioso dagli altri, e vi assicuro che la percentuale di mafiosi in italia è ben superiore a quella dei terroristi musulmani.
Altrettanto evidente è, comunque, che più saranno le autorità del mondo islamico a schierarsi apertamente e con forza contro le correnti fondamentaliste, più i terroristi resteranno senza alibi. Più noi sapremo dialogare con il mondo arabo e più faremo fronte comune contro chi minaccia il vivere civile delle nostre popolazioni. Possiamo quindi scegliere se provare ad ammazzare le mosche con le granate, o togliere gli elementi che le attirano, consapevoli del fatto che chiudere le finestre non ci salverebbe.

Cavalcare l’onda dello sgomento
Ci stanno provando in tanti, ci stanno riuscendo in moltissimi. Le destre xenofobe trarranno un indubbio “vantaggio” da questi giorni di terrore. In Francia la presidente del Fronte Nazionale, pur sforzandosi di controllare la propria vena xenofoba – le elezioni si avvicinano, cliccare qui per credere – ha proposto di effettuare un referendum per introdurre nuovamente la pena di morte per atti di terrorismo. Non sarà difficile ribattezzarla “Le Pen” de mort, se continua con le sue politiche terroristiche (generando terrore nei cittadini).
Dal canto nostro, il perennemente verde di rabbia e non solo, Matteo Salvini, ha iniziato ad inveire sui social e attraverso i media tradizionali, contro qualsiasi cosa gli ricordi un musulmano o un immigrato. Ha iniziato a rilasciare dichiarazioni di una banalità e un’inesattezza sbalorditive che persino la sua proverbiale faccia da duro leghista, è parso non potesse trattenere le smorfie.

 

salvini
Tra le panzane di più successo, c’è quella secondo cui l’immigrazione contribuirebbe fortemente al terrorismo. Oltre a ignorare il fatto che sia nell’attacco di Parigi sia in quello di Londra di qualche tempo fa, i terroristi erano cittadini dei rispettivi paesi, cittadini europei nati e cresciuti nel nostro continente, Salvini finge di non sapere che l’odio maturato verso “il diverso” è frutto anche dei seminatori di paura come lui, in grado di spaccare le categorie sociali su valori identitari. Oltretutto, volendo approfondire, basta dare un’occhiata al rapporto tra immigrazione e omicidi nel nostro paese (ad esempio in questo articolo ben fatto) per capire che non esiste alcuna relazione tra violenza omicida e immigrazione e che, anzi, nelle regioni con maggior flusso migratorio, il tasso di omicidi è minore.

Staremo a vedere se passata l’onda emotiva (che molto spesso porta con sé cattive idee e valutazioni erronee) si inizierà a ragionare sul serio sulle vere ragioni che alimentano il terrorismo internazionale. Non bisognerà quindi soffermarsi solo sulla favoletta dello scontro fra culture e religioni. Non bisognerà far finta di ignorare che l’Europa e l’occidente tutto, da decenni alimentano queste cellule impazzite con politiche scellerate e accordi indicibili che, spesso, armano letteralmente i terroristi (in questo senso consiglio un ottimo libro sull’argomento di Roberto Biancotto).
Sogno una tavola rotonda, magari semestrale, tra leader politici occidentali e rappresentanti del mondo islamico, per discutere sulle azioni comuni da adottare per prosciugare le sacche del terrorismo internazionale, ma ho smesso di credere nella politica, o meglio nei politici. Mi affido dunque ai miracoli, laici, della modernità. Alle mobilitazioni spontanee in grado di formarsi attraverso la rete e di accomunare milioni di giovani, diversi per religione, paese e cultura per lottare uniti contro ogni sopruso, per denuniciare ogni abuso di libertà altrui. Perché sarebbe bello poter affermare sempre  je suis musulmane, chrétien et juifs, ils sont particulièrement Charlie!

[In alto il vignettista tunisino “Z” racconta a modo suo l’attacco del 7 gennaio]

Post di @Paolo_Minucci [scritto per Pronews.it]


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