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DON GIOVANNI ovvero FILIPPO TIMI

Da Vale
Filippo Timi l'ho visto la prima volta al cinema in Come Dio comanda di G. Salvatores.
Mi aveva impressionato molto la sua interpretazione, in particolar modo mi aveva colpito la sua voce e la sua fisicità, forse anche a causa delle riprese molto ravvicinate di Salvatores, mi sembrava una roccia granitica questo padre.
Quando un attore mi incuriosisce così, non lo mollo facilmente.
L'ho visto in Vincere di M. Bellocchio e mi ha sempre più convinto.
A teatro non ero mai riuscita a vederlo, perché il Teatro Parenti a Milano era sempre strapieno e insomma non era cosa.
Quando un bel giorno la mia amica L. mi fa una proposta e io l'accetto e lei trova i biglietti e noi andiamo a vedere il Don Giovanni di e con Filippo Timi.
DON GIOVANNI ovvero FILIPPO TIMI
Naturalmente noi siamo brave ragazze e studiamo. La L. mi passa il libro di Timi Tutt'al più muoio, libro dal titolo meraviglioso, mapponazzo da 600 pagine, la sua vita. E di anni ne ha 40. Bhe, in effetti non è stata propriamente una passeggiata questa sua vita, piena di problemi fisici (Timi balbetta, ma non in teatro,  e ha una malattia agli occhi che non gli permette di vedere le immagini nitide) non da poco, ma soprattutto colma di voglia di emergere, ma non di emergere sugli altri, da di emergere da se stesso.
Ecco, lo spettacolo è la stessa cosa. Togliamoci subito di mezzo le cose che mi sono piaciute meno: di sicuro la seconda parte, quella del sentiero che porta alla morte del protagonista. è la meno interessante e perde un po' il ritmo. Ma tre ore di spettacolo vogliono fisiologicamente dei momenti di rallentamento. Ma soprattutto mi pare che Timi ceda nei momenti che lui cuci come quelli più lirici o per lo meno più catartici. Il Timi che mi piace rimane quello dell'emersione della passione per la vita, del piacere che provoca in noi spettatori nel vederlo così dentro quelle spoglie. Della voce profonda e rauca che segna il passo con un'energia fuori dal comune. Del piacere che ha nello sfoggiare quei costumi meravigliosi, dell'altalenanza tra sacro e profano in modo buffonesco. Davvero passa sia nello spettacolo che nel libro il suo attaccamento feroce a questa vita che a volte vede come una maledizione, un amore folle e senza limiti, un amore sudato davvero. Lui ha nella provocazione la sua energia vitale, che però perde peso, a mio parere, nel momento in cui Timi cerca di forgiarla in pensiero razionale.  Timi è un corpo (senza vista), una voce (che balbetta) che già col solo esserci provocano reazioni, non ha bisogno di altro, non ha bisogno di spiegarcela troppo la fatica che ha fatto, perché ce l'ha disegnata su se stesso.
E poi, non so se a lui farà piacere, ma a me ieri sera è venuto in mente un altro uomo e un altro libro che sempre mi ha regalato L.: Alfabeto Poli si intitola, dove Paolo Poli si racconta in brevi aneddoti. Me lo ricorda non solo perché Poli ha fatto del costume la metafora perfetta del suo teatro eccessivo, ma per l'atteggiamento:
Io do ancora scandalo. A ottant'anni suonati! Il vescovo di Barletta (...) in un'omelia ha tuonato ai suoi parrocchiani: "Non andate a vedere gli spettacoli di quello lì".  Ma non è meraviglioso?
E soprattutto nella frase così Timiana:
Finché il cuore sanguina, è ancora vivo.
Qui le prime dieci righe dei libri di Timi e Poli.

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