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Don Ross – Don Ross (1990)

Creato il 22 agosto 2011 da The Book Of Saturday

Artista/Gruppo: Don Ross
Titolo: Don Ross
Anno: 1990
Etichetta: Duke Street Records

Don Ross – Don Ross (1990)

Certe cose però non sappiamo di non conoscerle e sicuramente non le conosceremo se qualcuno non ci illumina. È quello che è accaduto al sottoscritto quando è stato consigliato l’ascolto di Don Ross, chitarrista che si inserisce nel solco virtuoso del genere fingerpicking. Si tratta di un canadese ormai cinquantunenne che ha conosciuto il successo dopo aver vinto due National Fingerstyle Guitar Championship nel giro di otto anni. Il che non è cosa da poco per chi segue anche i festival.

Ho scelto di parlarvi dell’album omonimo, Don Ross appunto, secondo disco pubblicato per l’etichetta canadese Duke Street Records. Premetto: Ross non è un chitarrista molto considerato nel panorama musicale se non in America e dintorni, è quello che definiremmo il cronico artista di nicchia. In Italia almeno è così, non ha neanche una pagina su Wikipedia mentre i suoi video nel web si riducono a un concerto tenuto alla Trinity United Church in Cannington, qualche session in studio e alcuni duetti con Andy Mckee.

Ciò non deve però distogliere da una valutazione globale del suo operato. La mia sarà anche criticabile ma certamente scevra da ogni pregiudizio.

Il disco si apre con Groovy Sunflowers e lo dice il titolo del brano, una piece con un groove coinvolgente e caldo. Ross gioca (e lo farà lungo l’intero percorso) con la corda di mi basso a darsi la ritmica con il pollice della mano destra, per poi scendere sulla tastiera con la sinistra con perentori e secchi colpi a mano distesa sulla chitarra, proprio a mano morta, direi. Il brano sembra quasi un incipit, un allenamento a ciò che arriverà poi. Ma intanto culliamoci su quei leggeri trillati che fanno la loro comparsa al minuto 1’30”: gioca con i pull-in/off con una pacatezza che contrasta in modo piacevole dal resto del pezzo, tutto invece aggressivo, che altrimenti non sarebbe groove.

Zarzuela ci addentra in una delle passioni di Don Ross, la chitarra spagnola. Che poi la Zarzuela sia il palazzo del Re di Spagna, l’omonimo genere teatrale, la pietanza culinaria, o ancora uno dei tanti paesi iberici, questo non ha importanza. Ognuno sarebbe comunque spagnolo. Così come la melodia, che però Ross non ricalca pienamente (come farebbe un Di Meola), ma ci costruisce attorno uno stile proprio che – tolte le sequenze spagnoleggianti – resta personale e comunque occidentale. Con una breve suspense centrale.

Thin Air (aria sottile): sono dei passaggi di scale eseguiti in sequenze di picking regolati e corde a vuoto. Inizia anche a comparire l’altro cavallo di battaglia di Don: le schicchere sugli armonici. Il brano finisce con l’adagiarsi su un campionario di terzine e note quasi impercettibilmente sorrette da un accenno di bending. Finisce così, all’improvviso.

L’inizio di Bluefinger è un passaggio molto abusato, ricorda per certi versi qualcosa che somiglia molto allo standard della Pantera Rosa. Si tratta di una ballata, con marcati accento in blues (vedi l’ultima strofe di chiusura) e accordi che se suonati con un altro stile sarebbero anche banali. Ross riesce però a decontestualizzarli e ne esce fuori uno dei più bei passi del disco.

Carolan’s Quarrell è il primo struggente lento, che conserva comunque un’aurea di freschezza. Dentro ci sono la musica classica (anche quella antica), la spagnola e il folk britannico, memore il Ross delle sue origini scozzesi. Dopo 3′ il ritmo cambia e anche la melodia, con il chitarrista che inizia a divertirsi anche con le corde basse che ancorano le basi di ritmica, mentre le ultime tre dita della mano destra ricamano accordi, frustate e barocchismi di maniera. Il brano cambia ancora e sembra accennare a un blues, prima di abbandonare lo scherzo e tornare quasi subito ai precedenti passaggi.

Avrei preferito presentarvi un video di Carolan’s Quarrell, ma in mancanza di quello, credo sia interessante anche questo di Lucy Watusi. Performance eseguita in Ontario nel 2001.

Don Ross – Don Ross (1990)

Il brano live non si discosta troppo da quello che troverete nell’album registrato in studio, se non per la lunghezza (quasi 5 minuti contro i 3 e mezzo dell’album, gap colmato con fraseggi ritmici quasi metal) e la dispersione acustica inevitabile in un concerto dal vivo in una chiesa costruita per altri tipi di musica. Si nota l’assoluta padronanza dello strumento che Don Ross assimila come se fosse una sua appendice naturale, ci fa tutto, svaria lungo tutta la tastiera, si diverte con gli armonici, che qui riesce anche a far parlare in melodia e non solo a livello ritmico. Belle anche le varianti tra uno standard e l’altro.

Wall of Glass. Si tratta della prima traccia in cui, con Ross, compaiono anche altri strumenti, almeno un violino, un basso e una tastiera. Trattandosi di un disco molto raro e poco discusso (rispetto ad esempio ad altri) è difficile reperire i nomi degli altri esecutori. C’è anche una voce, che dovrebbe essere dello stesso Ross, la quale ricalca similmente le note di chitarra. Tonalità, scale e armonizzazione si ispirano a un jazz fresco e brillante, di stampo sudamericano. Ritengo sia una delle tracce più belle e coinvolgenti dell’intero album, in cui Ross, agevolato dall’accompagnamento, riesce a soffermarsi di più sulle parti solistiche. La parte finale, grazie alle note di violino, è un’ascesa leggera verso l’alto.

Può capitare che gli inizi dei brani di Ross risultino un po’ ostici, così si fatica a comprendere la tonalità. In Enka questo scarto sonoro si compensa dopo pochi secondi di brano, e una volta sistematici sulla stessa lunghezza d’onda della chitarra di Ross, colpiscono subito una scelta dei passaggi di giuntura tra gli accordi oltre che a un blues latente che per gli appassionati è boccata d’aria fresca. Alcune scelte melodiche qui sembrano tradire una maggiore aderenza alla musica rock, ma i “soletti” a corde alte evidenziano senz’altro grande tecnica e bravura.

August in the Island, titolo emblematico visto che chiunque, come me in questo momento, si trovi in città in questo caldissimo agosto italiano, farebbe carte false per trovarsi su un’isola circondato da mare e bibite gelide. Vediamo come interpreta Ross questo caldo agosto sull’isola. È un rondò che forse più di tutti si avvicina allo stile di Kaukonen (provate a fare un salto su Quah dell’ex chitarrista dei Jefferson Airplane). Tecnicamente potrebbe essere anche accostato a grandi passi di pianoforte ragtime. Velocità abbinata a precisione, e lascia di stucco la quasi totale assenza di rumore della mano sinistra che scivola lungo la tastiera, che tuttavia a molti piace.

Little Giants è la traccia apparentemente più anonima, e forse solo perché essendo l’ultima abbiamo già saziato la nostra sete di fingerstyle. Però Little Giants è connotata da arrangiamenti ottimamente costruiti, e anche in questo caso Ross trasgredisce una certa inclinazione a rendere gli accordi in blues. E non poteva non chiudere questo album con un armonico finale.

L’omonimo Don Ross è un album ancora pienamente rudimentale, occorrerebbe sperimentare il confronto con altri postumi usciti in diverse etichette. Le sensazioni sono però tutte positive, anche se a voler essere maligni, per trovare proprio il pelo nell’uovo, si potrebbe dire che la bravura non sopperisce alle uguaglianze con gli altri che si cimentano nello stesso genere. Che richiede certo grande tecnica, e infatti nell’olimpo del fingerpicking ci stanno in pochi, Tommy Emmanuel, ma anche Bruce Cockburn, John Renbourn, Pierre Bensusan, Keith Jarrett, Egberto Gismonti e Pat Metheny, tutti citati dallo stesso Ross. Potremmo anche accostare certi passaggi a Paco De Lucia, ma il confronto sarebbe esagerato e fuori luogo. Nel complesso però è un album che si presta all’ascolto, credo anche per orecchie poco allenate, quindi il mio giudizio è molto oltre la sufficienza con un 7,4.

Track listing

  1. Groovy Sunflowers
  2. Zarzuela
  3. Thin Air
  4. Bluefinger
  5. Carolan’s Quarrel
  6. Lucy Watusi
  7. Wall of Glass
  8. Enka
  9. August on the Island
  10. Little Giants

Personnel

Don Ross – guitar



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