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Donne d’Algeri nei loro appartamenti

Creato il 11 maggio 2013 da Davideciaccia @FailCaffe

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Il 25 giugno 1832, Delacroix sbarca ad Algeri per un breve soggiorno di tre giorni. Tra il 1954 e il 1955, anche Picasso frequenterà gli stessi luoghi. Entrambi produrranno dei capolavori dell’arte, ispirate dalle donne prigioniere nella propria casa. Entrambi ne daranno un’interpretazione  personale, legata alla propria esperienza soggettiva e al contesto storico-culturale in cui vivevano. Testimonianze affascinanti che ispirano la riflessione su argomenti ancora attuali. Testimonianze affascinanti che solo l’arte può darci.

Il 25 giugno 1832, Delacroix sbarca ad Algeri per un breve soggiorno di tre giorni. Era solo di passaggio, dopo un viaggio in Marocco. Grazie ad una fortunata serie di coincidenze, un funzionario del porto di Algeri, tale Poirel, fan del famoso pittore francese, dopo lunghe discussioni, permette all’artista di entrare nel suo harem. La cosa non è da poco. Delacroix, che fino ad ora aveva conosciuto un Oriente fatto di uomini guerrieri e virili, per la prima volta si intrufola, attraverso un corridoio buio, nella casa sconosciuta. Alla fine del corridoio scuro, un bagno di luce inaspettato e irreale lo travolge. Cournault, un amico che fungeva da interprete tra i due, ci racconta che l’artista era come “ubriaco” dinanzi a questo spettacolo. Donne e bambini che vivevano in questa parte segreta della casa, lo affascinano. Lo affascinano i colori, i decori, i tessuti, e improvvisamente vuole sapere tutto di questo mondo nascosto, invisibile e meraviglioso.

Delacroix dirà: “È bello! È come ai tempi di Omero! La donna nel gineceo si occupa dei figli, fila la lana, o ricama meravigliosi tessuti. È la donna proprio come la intendo io!”

Prende qualche appunto sulla sua visione: tonalità, movenze, usanze e, addirittura, i nomi delle donne: Mouni,  Zora e Kadoudja Tarboridji. Inoltre, da questa breve visita, ha bisogno di portarsi via qualche oggetto tangibile che lo costringa a convincersi che la sua non era una trance onirica, ma un’incursione in un’esperienza fugace ma reale, e irripetibile. Al suo ritorno a Parigi, il pittore lavorerà ben due anni sull’immagine del suo ricordo, fino a presentare, nel 1834, Femmes d’Alger dans leur appartement.

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Capolavoro indiscusso di luce, colore e dettagli, che, diversamente dalle altre opere spesso considerate scandalose, viene accolto con grande entusiasmo nei salotti parigini, forse anche sulla scia dell’esotismo romantico di quegli anni. Tre donne, una in primo piano, quasi stesa, le altre due accovacciate vicino ad un narghilé, sono le donne del padrone di casa. Una quarta di spalle, girata a tre quarti, probabilmente una serva, fa un gesto come per scostare un tendaggio e aprire il sipario dello spettacolo sotto gli occhi dell’artista. Queste donne, ritratte nel loro spazio, non si donano né si sottraggono, all’occhio estraneo. Non  vogliono o forse non possono. Prigioniere della loro propria casa, non possono sfuggire ai desideri dell’uomo-padrone. Quello che affascina di questo dipinto, oltre la sensualità delle pose e il lusso esotico dei decori, è la consapevolezza inconscia di chi guarda, di stare guardando qualcosa di vietato, di velato, di segreto, qualcosa che normalmente non avremmo il diritto di guardare. Ed ecco che, forse, la serva non sta aprendo i tendaggi, ma li sta chiudendo, per impedirci di violare questi luoghi di calma, silenzio e sensualità.

Nessuno può guardare le donne chiuse nell’harem, sono prigioniere, private di sguardi e parole. Non solo lo straniero, o il voyeur, ma chiunque non sia padre-marito-figlio-fratello delle donne. Solo questi uomini hanno il diritto di guardare le donne imprigionate. Sono loro che le posseggono, parlano al loro posto, decidono tutto per loro. Nessun’altro ha il diritto di vederle “s-velate“. In arabo per dire che la donna è senza velo, si dice che è denudata, nuda. E quindi ancora più vulnerabile. Il velo è la protezione dagli sguardi, è la sicurezza di rimanere sotto la protezione dell’uomo. Le due donne ritratte vicino al narghilé sembra siano state sorprese in una confidenza sottovoce. Ma in realtà non c’è voce. La donna è muta, la parola è vietata. Le donne non parlano. Tuttalpiù bisbigliano, cantano, urlano ma non parlano, mai. 

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Tra il 1954 e il 1955, Picasso si ritrova in Algeria per la guerra, e si confronta con il capolavoro di Delacroix. Produce quindici tele e due litografie sullo stesso tema: Donne d’Algeri nei loro appartamenti. Picasso però, capovolgerà l’impotenza in potenza. Le sue donne sono ferme, forti, con lo sguardo fisso puntato negli occhi di chi guarda, sguardo fiero. I loro corpi sono davvero nudi questa volta. Mostrati volontariamente, esposti allo sguardo nella loro rinascita. Picasso libera le donne dall’harem, ridona loro il proprio corpo, e loro danzano, seni al vento, risvegliate dal torpore, per riprendersi la propria libertà. Improvvisamente la donna prigioniera è libera, la donna mutilata e muta è padrona del proprio corpo e della propria voce. Intuizione d’artista. Capolavori dell’arte.

Etuttounsogno


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