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Dopo 150 anni è ora di fare gli italiani.

Creato il 03 febbraio 2011 da Cultura Salentina

Dopo 150 anni è ora di fare gli italiani.

L’Unità d’Italia concretò, nel 1861, il sogno di una ricongiunzione degli stati preunitari italiani in un’unica entità giuridica e territoriale. Saliva al trono Vittorio Emanuele II di Savoia e di fatto, nello stesso anno, nasceva ufficialmente il Regno d’Italia e il popolo italiano. Si era realizzato, quindi, il risorgimento del popolo italiano che, risuscitando dalle ceneri del passato, guardava al futuro con più fiducia e nel nuovo re poneva tutte le speranze per un maggiore rispetto della libertà e della dignità umana. Finiva il tempo dei retaggi feudali, del potere latifondista e del sopruso borghese. I progetti di quotizzazione del latifondo, la liquidazione dell’asse ecclesiastico, le pensioni per gli arruolati nelle file dell’esercito regolare ecc. costituivano i presupposti per porre fine alla diffusa povertà. L’Unità nazionale e il moderatismo politico di Cavour mettevano in atto un cambiamento radicale dell’apparato statale italiano e ciò con grande adesione dei maggiori esponenti politici del tempo. Il termine Risorgimento, coniato dal romanticismo, ben sintetizzava lo spirito di questa risurrezione nazionale votata a favore del popolo e delle sue libertà e Vittorio Emanuele II, che non restò «insensibile al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva», era il sovrano nel quale si ripose ogni speranza.

Nel tempo, lo studio del periodo risorgimentale è stato sottoposto a un processo di revisione storica. La rilettura degli eventi ha fatto emergere nuove evidenze e, per quanto inimmaginabile, le figure dei grandi padri risorgimentali diventano meno gloriose di quanto sino ad ora creduto. Tuttavia, l’Unità d’Italia rappresenta un momento importantissimo della storia d’Italia poiché, anche se la liberazione del Sud fu una vera e propria guerra contro il Regno delle Due Sicilie, permise la nascita della Nazione italiana e l’unificazione del suo popolo che, condividendo il suolo peninsulare, non poteva non considerarsi unico e indivisibile. Restando al di fuori della polemica revisionista che punta, come scritto, alla revisione storica degli eventi risorgimentali accaduti nel Sud Italia, è importante invece capire se il programma risorgimentale sia stato completamente compiuto o se, a distanza di 150 anni, si sia conseguito solo un risultato parziale.

Lo scopo principale delle annessioni era di costituire una realtà territoriale unificata dal Nord al Sud Italia. Storicamente, tutti i territori pre-unitari avevano avuto uno sviluppo sociale e culturale differente. Questo significa che non sarebbe bastato unificare i vari stati per avere un popolo ma anche integrare quelle subculture che sono, tuttora, l’identità regionale. Per questo motivo alle conquiste territoriali doveva seguire un programma per la costituzione di un’identità nazionale unitaria. Ciò, non significa che l’identità nascente doveva cancellare le subculture regionali bensì fonderle senza che alcuna di esse fosse predominante sulle altre. La paura di una piemontisizzazione, ossia un processo col quale i territori conquistati si sarebbero dovuti adeguare al modello del Piemonte, era già nota al tempo dei primi plebisciti. Difatti, una frangia della cultura politica del tempo aveva già compreso come l’integrazione tra popoli e territori si sarebbe potuta ottenere esclusivamente tenendo conto delle differenze e dello stato di sviluppo economico al quale sarebbe dovuto seguire un programma di tutela o di incentivi su misura. La Destra Storica, dopo la morte del Cavour, non esitò invece a fare il contrario estendendo lo Statuto Albertino a tutti i nuovi territori e imponendo tassazioni che, colpendo ancor più le aree che avevano bisogno di assistenza, contribuirono a impoverire maggiormente le popolazioni e, specialmente, quelle meridionali.  Mancando di equità e di equilibrio economico, tutti i territori si trovarono scompensati rispetto ad aree che, per spirito fazioso del Savoia, furono incentivate a sviluppare l’imprenditorialità e il mercato dei capitali. Il Sud spogliato del tesoro reale borbonico, i cui capitali confluirono nel Piemonte, e con una forza lavoro che, se non trucidata nelle battaglie emigrava all’estero, si trovò ben presto in condizioni di assoluta povertà.

A questo punto della storia sarebbe difficile comprendere quale sia stato il processo d’integrazione culturale successivo a quello territoriale ed è più facile pensare che quest’ultimo non si sia mai attuato. Di certo, traspare un’incomprensione storica tra gli idealisti dell’Unità d’Italia e il governo savoiardo. I primi crederono nel valore dell’Unità come mezzo di liberazione dei popoli, il secondo mirò esclusivamente ad espandersi e drenare ricchezze senza tener conto che un territorio senza popolo è governabile solo con la repressione. Di fronte alle ribellioni popolari, quali può essere considerato il brigantaggio, il Governo rispose con la forza e ciò, di certo, non ha potuto portare alla maturazione di una coscienza e di una identità unitaria nazionale.

Ancor oggi, la disparità esistente tra il Nord e il Sud è sintomo di una mancanza di obiettivi comuni tra differenti territori e ciò per mancata nascita di una cultura unitaria capace di esprimere un’identità condivisa nella quale ognuno sa riconoscersi. Conseguentemente, ogni territorio annesso sente ancor oggi l’appartenenza a un retaggio culturale e storico non condiviso col resto della penisola e, in tal modo, pericolosamente prolificano idee indipendentiste e scissioniste. Le espressioni leghiste, la discriminazione sociale tra italiani stessi, le spinte scissionistiche di alcuni partiti, la convinzione di un Sud economicamente trainato e sostenuto dal Nord ecc., non possono dirsi frutto di una coscienza unitaria e nazionale condivisa. Per tale presupposto, allora, non è errato affermare che l’Unità d’Italia ha mancato quell’obiettivo che, per usare le parole di Massimo D’Azeglio, aveva per fine quello «di fare gli italiani». L’eterogeneità delle culture e delle storie regionali, sono tutt’oggi intese come qualità discriminanti tra aree geografiche più avanzate e civili rispetto ad altre più povere e, di conseguenza, delinquenziali. Incapaci di comprendere la potenzialità dell’integrazione culturale, si tende a evidenziare ancor più questa linea di demarcazione che, a un certo punto, si legittima irresponsabilmente nel consenso popolare ed è anche capace di esprimere una classe politica mirata a scindere ciò che nel 1861 si è unito.

Nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia è necessario, allora, riflettere sul pericolo delle ideologie fondate su programmi che vogliono spaccare l’Italia in tante piccole realtà territoriali. La degenerazione di queste convinzioni sfocia in ribellioni e discriminazioni sociali che impattano sulle coscienze civili come senso di protesta nei confronti di un paese il cui Governo non è più garantista dei diritti e delle libertà civili.

Il valore dell’Unità d’Italia è assoluto e solo la nascita di una coscienza nazionale e la condivisione delle nostre eterogeneità territoriali può creare quell’Italia e quel popolo che tutti i grandi pensatori sognarono. E’ questo il momento per riflettere e far si che nella nostra cultura si faccia strada quel grande ideale di fratellanza che sommamente l’inno di Mameli, da sempre, fa vibrare nel nostro spirito di Patria.


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