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Dossier Renzi/1 - Lotta alla burocrazia. Tutto il potere al Sovrano

Creato il 05 settembre 2014 da Tafanus

L'Espresso pubblica oggi un "Dossier Renzi" composto da 5 articolesse di Massimo Cacciari, Tito Boeri, Michele Ainis, Salvatore Settis ed Eugenio Scalfari. Ognuno tratta del renzismo da un'angolazione particolare. Il quadro complessivo che ne emerge non sembra essere lusinghiero. L'impressione che ci si fa leggendo il complesso dei cinque articoli è che la intellighentzia nostrana stia scaricando il Mr. Bean 'de noantri alla velocità della luce, e questa è già una discreta notizia.
Pubblicheremo i 5 articoli separatamente, per non appesantire il post. Inizieremo oggi con l'articolo di Massimo Cacciari.
Dossier Renzi/1 - Lotta alla burocrazia. Tutto il potere al Sovrano
(di Massimo Cacciari)

Massimo-Cacciari
Qual è il disegno politico di Renzi? Dare all'esecutivo quella capacità di decidere che oggi manca. O è impedita dai freni imposti dalla pubblica amministrazione. Problema reale, che però non si risolve subordinando ogni cosa al governo.
Credo sia ancora prematuro, e anche ingeneroso, giudicare il governo Renzi sulla base dei risultati ottenuti,  almeno quanto troppo benevolo apprezzarlo per la buona volontà e gli ottimi annunci. Ma alcune considerazioni di ordine generale sulla "cultura politica" che in qualche modo esprime, e quindi sulle prospettive strategiche che da essa possono derivare, sono forse già possibili.
Poiché si straparla di riforme e riformismo l'esercizio appare, inoltre, indispensabile; riformismo non significa, infatti, sommare leggi, leggine e decreti, più o meno dettati dall'emergenza, ma comprendere il "male radicale" di un determinato assetto istituzionale e proporre idee e mezzi adeguati al suo superamento. Ora questo "male radicale" sembra consistere, nella visione di Renzi, in quella che un tempo si sarebbe definita "democrazia senza scettro": è necessario il "sovrano" perché la sovranità del popolo possa realizzarsi; la madre delle riforme starebbe, allora, nel garantire al cosiddetto "esecutivo" quella capacità di decisione rapida e efficace che oggi manca.
È da questa visione che discendono le convergenze obbiettive tra la retorica di Renzi e quella di Berlusconi, personalità per altro verso addirittura opposte.
L'opposizione (interna o esterna, non cambia) è certamente composta di "honourable men", tuttavia saggio sarebbe che mai venisse posta nelle condizioni di bloccare o sovvertire le decisioni del governo; chi dubita della loro efficacia e delle grandi speranze che esse suscitano, non critica o discute, ma "gufa"; "poteri forti", corporazioni professionali e sindacali, burocrazia incombono insonni sull'azione del governo, impedendo che se ne adempiano le promesse. Renzi non può ormai aggiungere all'elenco l'invadente "partitocrazia", avendo ultimato la conquista del Pd, come dimostra la nomina del "ministro degli esteri" europeo. Non vi sono più neppure dei Casini o dei Fini a infastidire la guida.
Dio solo sa se il problema della decisione non sia reale. Chi scrive, con pochi altri, mise in discussione il modello parlamentaristico puro quarant'anni fa, e figurarsi se possono stupire o apparire rivoluzionarie le proposte in materia di rafforzamento dell'esecutivo. Ma in quale senso e sulla base di quale idea di democrazia e di politica vengono oggi ripresentate? Il loro senso è quello di riaffermare una sorta di "primato del Politico" e di subordinazione al suo comando di ogni articolazione dello Stato. Ma una decisione politica davvero riformistica non dovrebbe procedere, in questo Paese, e in base a tutta la sua storia, in una direzione esattamente opposta? Il "male" italiano non è stato sempre quello di una pervasiva presenza di "volontà politica" all'interno di ogni settore della nostra vita civile e amministrativa? Ovvero, proprio quello della subordinazione degli apparati e delle funzioni amministrative al politico? Che la nostra pubblica amministrazione sia inefficiente risulta da dati di fatto incontestabili: giustizia, costi per fare impresa, addirittura per pagare le tasse, per ottenere ogni sorta di servizi. Ma ciò non dipende forse, oltre che dal coacervo e sovrapposizione di leggi illeggibili (perché non si è partiti dalla "semplificazione"?), proprio dal fatto che non si è mai voluto una burocrazia preparata, intelligente, responsabile, e se ne è
sempre auspicata la "obbedienza"?
Sono immaginabili intelligenza e responsabilità senza autonomia? L'idea di un apparato amministrativo capace ed efficiente eterodiretto è una contraddizione in termini, o una vecchia idea fordista applicata a sproposito. Segno di una vecchissima concezione del Politico e dello Stato. Una politica nuova sa quanto relativa sia nel mondo globale la sua autonomia, e sa di doversi avvalere sempre più di competenze che non possono essere decise attraverso il voto e di uomini che non possono andare e venire a seconda di governi e maggioranze. Lo Stato moderno si è sempre affermato come un centauro fatto di volontà politica e apparato burocratico. Il problema non consiste nel ridurre quest'ultimo alla prima, ma nel fare in modo che abbiano entrambi senso dello Stato e quindi riconoscano reciprocamente la propria necessità e relativa autonomia. Demonizzare il ruolo ostacolante-frenante del potere burocratico è patetico. Questa, infatti, è la sua funzione storica. Il potere politico dovrebbe, piuttosto, orientarsi nel garantire con ogni mezzo la selezione di una classe burocratica, a tutti i livelli, dotata di senso dello Stato e perciò di responsabilità nei confronti della stessa autorità politica. E invece parrebbe che l'ideale fosse quello di avere a disposizione gli apparati amministrativi, come sempre più spesso accade con giovani ministri, deputati-nominati o con la pletora metastatica di consiglieri di amministrazione in partecipate o enti di Stato.
Un colossale limite della politica italiana, in tutta la sua storia, consiste appunto nel non avere mai voluto formare una vera classe burocratica. Autonomia non è corporativismo. La democrazia futura, se mai vi sarà, maturerà invece dalla cooperazione tra una burocrazia competente e in grado di esercitare una funzione critica positiva nei confronti del progetto politico, garantendo la continuità dell'amministrazione, da un lato, e, dall'altro, una politica consapevole dei propri limiti in un mondo nel quale la complessità dei problemi rende necessarie conoscenze e esperienze che nessuna elezione può garantire e nessuna retorica sostituire.
Tutti i messaggi di questo ventennio, consapevolmente o no, ripetono il refrain: è necessario ridurre l'autonomia dei poteri burocratici. Solo all'inizio degli anni Novanta balenò, per spegnersi subito, l'idea giusta: è necessario formare-educare. Selezionare una classe burocratica autonoma proprio per rendere efficiente e continuativa l'azione amministrativa e perciò promuovere l'autorevolezza stessa dello Stato. Le occasioni per mettere alla prova su questo banco decisivo il governo Renzi sono arrivate: scuola e giustizia. Vorrà il governo continuare con il modello sovietico della nostra scuola, dove da Roma si deliberano offerte didattiche, tasse, stipendi, procedure di reclutamento, dove commissioni centralistiche decretano sulla bontà dei progetti e sui finanziamenti alla ricerca, o si deciderà finalmente per un'effettiva autonomia? Il governo Renzi procederà nella direzione anti-autonomistica e anti-federalistica, che esige burocrazie "al servizio" perpetuandone l'inefficienza, o punterà sulla responsabilità e preparazione di ogni funzione dello Stato? Purtroppo l'ardua sentenza non spetterà ai posteri.

Massimo Cacciari

(continua)

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