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Dragon Age: Inquisition – Il ritorno di BioWare, quella vera

Da Videogiochi @ZGiochi
di Luca "Neuromante" Paternesi

Siamo appena arrivati nella Costa Tempestosa, con il nostro party, alla ricerca di notizie su alcuni Custodi Grigi; imponenti strapiombi rocciosi flagellati dalle onde si fondono con gigantesche architetture ancestrali e relitti semidistrutti di sfortunate imbarcazioni lasciate lì, a marcire a riva, dalla furia del mare in tempesta come carcasse di cetacei spiaggiati. Camminiamo un po’ sulla spiaggia mentre l’incessante pioggia infuria e, dopo aver raccolto vario materiale da crafting, aggiriamo un costone per poi passare sotto un imponente arco di roccia ed è qui che lo spettacolo si fa maestoso: un enorme drago sta combattendo una lotta all’ultimo sangue con un imponente gigante. Le due possenti creature in lotta sembrano poter far tremare la terra stessa oltre che il sangue nei polsi ma, dopo qualche istante di timore reverenziale, ci facciamo coraggio e ci avviciniamo. In quell’attimo l’alata creatura vola via lasciandoci di fronte al gigantesco umanoide ferito e decisamente furioso con cui dovremo ingaggiare battaglia. Lo spettacolo fornito dalla lotta è decisamente fantastico: finalmente come anni prima, mentre combattevamo il flagello della prole oscura, abbiamo di nuovo il controllo di tutti i nostri compagni e possiamo condurre la tenzone con la dovuta strategia. L’enorme bestia è estremamente potente ma altresì goffa e lenta e mentre il nostro tank lo tiene impegnato con spada e scudo e l’arciere lo colpisce dalla distanza senza sosta il mago si premura di proteggere il party castando incantesimi difensivi… e noi? Beh noi siamo un rogue armato di doppi pugnali quindi svaniamo nell’oscurità mentre la bestia è impegnata nel conflitto per riapparirgli alle spalle e cominciare a trafiggerla di colpi critici alla gamba sinistra. Dopo qualche istante la creatura urla di dolore, segno che i nostri colpi al suo arto inferiore hanno sortito l’effetto sperato: perde l’equilibrio e crolla a terra ed è qui che, dopo una provvidenziale pausa tattica, l’ordine è categorico e tutto il gruppo si lancia in un attacco furioso nei confronti dell’enorme bestia caduta che tenta di scacciarci con le mani come si fa con uno sciame di insetti.

Perché questa lunga (e forse tediosa) introduzione? Beh perché se siete giocatori avvezzi al genere e vi è capitato di imbattervi nel sistema di combattimento di Dragon Age II, allora dopo la descrizione di cui sopra starete sicuramente abbozzando un sorrisino compiaciuto. Ebbene sì, signore e signori, BioWare, quella vera, è tornata e Dragon Age: Inquisition è la sua scintillante dichiarazione di intenti sul come ridare al gioco di ruolo classico il lustro che merita (pur non rinnegando la modernità, infatti più di qualcosa potrà far storcere il naso ai puristi più fondamentalisti), come andremo a vedere nel prosieguo dell’articolo.

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L’ERA DEL DRAGO

Dragon Age: Inquisition, a livello temporale, si colloca poco dopo (circa un anno) gli eventi finali del secondo capitolo in un Thedas tutt’altro che tranquillo a causa della solita eterna lotta tra maghi e templari, e per giunta in preda a una nuova minaccia: dalla misteriosa esplosione del Tempio delle Ceneri si sono generati vari squarci nel velo che divide il mondo terreno dall”Oblio e da queste fenditure escono demoni di ogni sorta. Dopo la creazione del personaggio tramite un editor decisamente completo (oltre a sesso, razza e specializzazione ci troveremo di fronte a un’inusuale, per la serie, completezza di personalizzazioni del volto), ci troveremo nei panni del principale sospettato dell’esplosione che alla fine si ritroverà a dover come al solito salvare il mondo intero da forze che vanno ben oltre l’umana comprensione. Non vi sveleremo assolutamente nulla della trama del gioco in questione per due evidenti motivi: il primo, di natura più pratica, è che essendo legata a doppio filo alle scelte compiute nei precedenti capitoli (ricostruibili e importabili comodamente nella loro totalità con l’apposito sito DragonAgeKeep) non c’è “una” storia generale bensì “la vostra” storia, mentre il secondo, di natura decisamente meno tecnica, è semplicemente legato al fatto che compiremmo un peccato mortale nell’accennarvi anche solo qualche semplice stralcio della meravigliosa ed epica avventura che vi si parerà davanti.

Oramai da tempo sapevamo che BioWare aveva pensato a qualcosa di estremamente diverso dal solito per questo terzo capitolo dell’Era del Drago: messa da parte la linearità di fondo del secondo capitolo l’intenzione era chiaramente quella di proporre un open world con tanto di mappa sterminata e liberamente esplorabile. Non nascondiamo che ciò aveva instillato in noi più di qualche dubbio in quanto se una soluzione simile è perfetta per giochi à la The Elder Scrolls, difficilmente la immaginavamo funzionale se applicata a un ruolismo ben più “narrativo” come quello proprio della software house canadese. Il rischio era quello di proporre un’impalcatura di gioco estremamente vasta e “libera” ma che altresì avrebbe finito per sacrificare l’estrema profondità narrativa che da sempre è punta di diamante delle produzioni BioWare. Fortunatamente alla prova dei fatti possiamo tranquillamente ammettere che i nostri dubbi erano decisamente infondati: Dragon Age: Inquisition è si assolutamente immenso e completamente aperto, tanto da far apparire le mappe della stragrande maggioranza dei GdR occidentali come dei piccoli appezzamenti di terreno poco più grandi del giardino di casa, ma non preoccupatevi, la componente narrativa propria di BioWare è presente e anzi, paradossalmente, lo è anche più che in passato. Gli sceneggiatori canadesi hanno compiuto un lavoro titanico e in Inquisition sono presenti milioni di linee di testo e dialogo e una qualità della scrittura assolutamente inaudita: a livello di approfondimento del mondo di gioco e dei personaggi che lo popolano siamo su livelli fuori scala anche per produzioni come Mass Effect o i precedenti capitoli della stessa saga, andando ad avvicinarsi a produzioni d’altri tempi come Planescape: Torment o i due Baldur’s Gate tanto che non sarà assolutamente difficile che vi succeda di perdere tonnellate di tempo solo a parlare con qualcuno delle abitudini sessuali dei Qunari, delle controversie morali e sociologiche dell’Impero del Tevinter o dei rapporti commerciali degli Antiviani.

La trama principale di Dragon Age: Inquisition è immensa, avvincente e legata magnificamente agli eventi dei precedenti due capitoli ed è quindi in grado, con le scelte che propone (molte più che in passato e assolutamente più sottili e controverse), di plasmare e modificare in maniera rilevantissima gli eventi dell’intero plot narrativo della saga. Consigliamo infatti caldamente di giocare i capitoli precedenti, se non l’avete già fatto, e di importare i salvataggi in questo Inquisition in quanto la rilevanza delle scelte fatte in precedenza e di quelle future non è mai stata così presente, anche negli altri lavori della software house canadese. Sarete in ogni momento della vostra avventura investiti da continui rimandi a eventi e personaggi dei precedenti capitoli e il peso delle scelte fatte in passato e di quelle che state per compiere sarà sempre presente come una spada di Damocle sulle vostre spalle. La trama principale, come detto, è di livello assoluto e mantiene sempre vivo l’interesse del giocatore tramite una scrittura eccellente e colpi di scena ben congegnati, ma è nell’ultimo quarto di avventura che gli eventi “esplodono” letteralmente in un continuo ripetersi di situazioni epiche ed emozionanti anche grazie a una caratterizzazione dei personaggi, sia principali che secondari, di livello eccezionale come da sempre tradizione per BioWare.

Sia ben chiaro però che Dragon Age: Inquisition non è solo una meravigliosa main quest: le missioni secondarie sono qualcosa di sorprendente a livello narrativo e quasi mai si limitano all’essere un semplice “passatempo” per allungare il brodo: la quasi totalità delle millanta side-quest che andremo ad affrontare sono parte integrante della lore e vanno ad intrecciarsi mirabilmente con gli eventi principali e secondari, presenti e passati, contribuendo a tessere un’intelaiatura narrativa affascinante, complessa e soprattutto vasta come mai prima d’ora.

VECCHIO E NUOVO SI FONDONO

Poco sopra ponevamo l’accento sulla trasformazione della saga in open world quindi cerchiamo di vederci un po’ più chiaro. Dragon Age cresce, si espande e, pur mantenendo inalterate tutte le caratteristiche della serie, va ad avvicinarsi (e a superare di gran lunga in alcuni casi) a giochi enormi come i The Elder Scrolls. Dall’interno della vostra fortezza principale avrete accesso a un “tavolo della guerra” che vi permetterà di gestire i vostri agenti sul territorio applicandoli in vari compiti/missioni, stringere nuove alleanze, reperire risorse e sbloccare nuove aree. Tenete conto che solo la prima zona che andrete a sbloccare contiene qualcosa come almeno una quindicina di ore di contenuti tra esplorazione, quest principale e secondarie e oggetti\luoghi da scoprire ma ciò che lascia veramente basiti lo si scopre sbloccando progressivamente le altre zone e scoprendo che ne offrono almeno altrettanti. Dragon Age: Inquisition appare da subito come un’opera titanica, quasi fuori scala, ma è dopo una ventina di ore che si diviene consapevoli della reale immensità ludica del prodotto: una concatenazione di eventi vi porterà a scoprire una nuova (immensa, in continua evoluzione e estremamente personalizzabile) base operativa ed è da qui che vi sarà chiara la gargantuesca portata della realizzazione della software house canadese. Da questo momento, in pratica, l’avventura si dipana in tutta la sua grandezza (mantenendo intatta la possanza della narrazione ovviamente, ci teniamo a rimarcarlo) e si sarà finalmente consci di essere di fronte a qualcosa di mai visto prima in ambito ruolistico occidentale.

Come accennato a inizio articolo però, Dragon Age: Inquisition ha ottime nuove da darci anche quando si parla di gameplay nudo e crudo andando a sdoganarsi dal semplicismo becero del secondo capitolo e proponendosi come una mistura estremamente interessante di classico e moderno che magari non farà la felicità dei ruolisti più fondamentalisti ma che si dimostra decisamente funzionale ed appagante. Torna finalmente la possibilità di avere pieno controllo di tutti e quattro i membri del proprio party, con visuale tattica annessa, come nel primo capitolo e tutto questo va ad intrecciarsi mirabilmente con tratti del sistema di controllo “action” del secondo capitolo: potremo in qualsiasi momento della battaglia, tramite la pressione di un singolo tasto, decidere dal passare da un sistema di controllo votato all’azione pura a una visuale strategica con pausa tattica indispensabile ai livelli di difficoltà più elevati dove i nemici pestano come fabbri e dove la totale assenza di incantesimi di cura, se non nel limitato numero di pozioni curative che possiamo portare nella bisaccia, inizia a creare una buona dose di problemi. Purtroppo però non è tutto oro quello che luccica e il sistema di controllo presenta anche qualche problema: la visuale tattica, seppur insostituibile a certi livelli di difficoltà, non si presenta particolarmente rifinita e propone delle rigidità strutturali che stridono non poco con la bontà di tutto il resto. Ancora più stridente è il fatto che tale problema sovvenga anche su PC, piattaforma sulla quale il tatticismo del sistema di controllo di Inquisition avrebbe potuto raggiungere una ben diversa grandezza, a causa di una pessima calibrazione dei comandi che non tiene conto quasi per nulla del mouse, quasi inutilizzato nella visuale tattica costringendo l’utente a muovere il cursore con i tasti WASD e in grossa difficoltà con un comando di auto-fire pensato evidentemente per i grilletti di un pad, oltre a una telecamera che non riesce a dare una visione d’insieme del campo di battaglia e altri dettagli. Piccolezze comunque nell’immensità del quadro totale, ma piccolezze che speriamo vengano sistemate con una patch (almeno su PC, come detto) in quanto brutta stonatura in un insieme di tale classe.

Anche dal punto di vista del crafting e degli inventari si torna al passato ed è finalmente possibile equipaggiare (a tutti i personaggi del party) una quantità mostruosa di armature, armi e oggetti di ogni sorta, sia reperiti nel mondo di gioco che creati da zero tramite progetti e materiali grezzi. La stragrande maggioranza dell’equipaggiamento poi è modificabile ed upgradabile tramite svariati slot di espansione in cui inserire potenziamenti e rune a loro volta reperibili o creabili da zero tramite progetti. Quel che ne esce è un crafting finalmente adeguato a un gioco di ruolo degno di questo nome. Altro rimando al passato (questa volta più remoto) lo abbiamo nelle mappe di gioco: una volta sbloccata una nuova zona questa sarà completamente oscurata e ci si rivelerà passo passo che procederemo nell’esplorazione in maniera assolutamente analoga ai vecchi Baldur’s Gate. Questo è stato uno dei ritorni al passato che abbiamo apprezzato di più in quanto fornisce una maggiore immedesimazione esplorativa e soprattutto contribuisce non poco allo stupore del giocatore quando viene a scoprire l’immensità della mappa della zona nel suo complesso. Decisamente singolare, invece, si presenta la gestione delle abilità: se i punti delle abilità sono rimasti praticamente inalterati rispetto al passato altrettanto non si può dire delle skill dei personaggi. Scordatevi di spendere punti in destrezza, forza, volontà e quant’altro perché in questo capitolo la gestione dei suddetti è totalmente automatizzata. Prima che i fan più fondamentalisti partano con torce e forconi ci teniamo a precisare che comunque il tutto ha una sua logica e funziona estremamente bene: le skill dei personaggi verranno plasmate automaticamente in base alle abilità che decideremo di sbloccare e in base all’equipaggiamento che indosseremo, quindi va da sé che lo sbloccare una abilità da arciere plasmerà parametri come la destrezza, sbloccare le abilità furtive ci dirigerà verso l’astuzia e via discorrendo così come ogni singola arma, armatura o oggetto di qualsiasi tipo, quando equipaggiato, dona differenti plus alle statistiche contribuendo a potenziare il personaggio. Conveniamo che forse non sarebbe stato male mantenere il vecchio sistema manuale ma dobbiamo assolutamente ammettere che questo nuovo sistema “automatizzato” funziona egregiamente e sarà quasi impossibile che i personaggi non si evolvano secondo la logica che noi imporremmo in quanto comunque legata alle abilità e agli oggetti che noi decideremo di fornirgli.

Come avrete ben capito, questo terzo capitolo dell’Era del Drago è un’opera di proporzioni monumentali che anche se affrontata (eresia) tirando brutalmente diritti non potrà essere terminata in meno di 40 ore. Se invece, come è giusto che sia in un’opera simile, deciderete di godere della totalità dell’offerta ludica risolvendo le quest secondarie, conquistando fortezze, bonificando intere aree per avere accesso ad altre e più in generale plasmando l’intero mondo di gioco a vostro piacimento, il tempo di completamento non potrà che facilmente raddoppiare o più e superare ampiamente le 100 ore di gioco nelle quali, caso estremamente raro, i tempi morti e di scarso interesse saranno praticamente assenti anche per merito di una sfida (soprattutto alle difficoltà più elevate) sempre appagante e stimolante e una rigiocabilità estremamente elevata.

Menzione ultima a livello di gameplay la si deve al multiplayer, novità per la saga: la modalità multigiocatore online di Dragon Age: Inquisition non si rivela poi così diversa da quella vista nell’ultimo Mass Effect e si presenta quindi come una naturale evoluzione e miglioramento di quest’ultima. In pratica dopo aver creato il proprio alter ego (estraneo a quello della campagna principale) si verrà catapultati insieme ad un massimo di quattro giocatori in vari scenari in cui fare mattanza di nemici esplorando e raccogliendo tesori in dungeon in realtà nemmeno troppo complessi ma impreziositi da zone accessibili solo se si ha nel party una certa tipologia di personaggi (porte chiuse per i ladri, muri da sfondare per i guerrieri, barriere d’energia per i maghi e via dicendo). La buona differenziazione delle abilità di classe (potenziabili come nell’avventura in singolo) e la formula che ricorda da vicino quella di molti MMO rende il multiplayer di Inquisition insospettabilmente godibile anche se un po’ ripetitivo, ma vien da sé che va inteso come null’altro che una simpatica aggiunta e che difficilmente appassionerà l’utente anche solo la metà dell’avventura in singolo per cui ci limitiamo a vederlo come un gustoso diversivo e non gli dedicheremo ulteriore approfondimento.

THE BEAUTY AND THE BUG

Parlando del comparto tecnico estetico è francamente difficile giudicare questo Dragon Age: Inquisition (almeno su console come andremo a vedere) in quanto è un titolo che vive di discrete contraddizioni. Se ci soffermiamo sul lato artistico non possiamo che tessere immense lodi al lavoro svolto da BioWare: il nostro peregrinare tra il Ferelden e l’Orlais ci mostrerà scorci memorabili di pura bellezza fantasy, sia che si tratti di barocche e pompose architetture orlesiane, di imponenti e razionali costruzioni fereldeniane o di mistiche e affascinanti rovine elfiche memori di un mondo ancestrale che non esiste più. Inquisition offre un’eleganza estetica di livello assoluto rilevabile tanto negli scorci naturalistici quanto nell’architettonico e sarà impossibile non rimanere completamente rapiti dalla bellezza del sottobosco in una foresta elfica o degli imponenti costoni di roccia di una baia in tempesta tanto quanto dall’imponenza di una fortezza umana o di antichi e immensi santuari elfici oramai in rovina. Purtroppo però tutta questa meraviglia estetica va a scontrarsi con una realizzazione tecnica non eccellente e decisamente “cross gen” e con le bizze di un motore di gioco (il Frostbite 3 di DICE) decisamente prestante ma altrettanto bizzoso che fa pagare al gioco lo scotto di numerosi bug grafici, caricamenti non proprio velocissimi e cali di frame rate, soprattutto nelle cutscene, tanto che in alcuni casi (fortunatamente non proprio frequentissimi) siamo stati costretti a ricaricare il precedente salvataggio causa l’impossibilità di proseguire. Eccezionale invece si presenta il comparto sonoro con musiche epiche e suadenti che accompagnano alla perfezione tutto l’immenso viaggio che ci troveremo a percorrere. Altrettanto di livello assoluto sovviene il doppiaggio, in lingua inglese, che tiene anche conto dell’accento dei vari popoli (gli orlesiani ad esempio sono chiaramente ispirati ai francesi, gli antiviani agli spagnoli e così via) mentre per l’italiano è presente un ottimo e curatissimo e completo lavoro di traduzione di testi, menù e sottotitoli dei dialoghi.

Oltre alla versione Xbox One che è oggetto di test in questo articolo, abbiamo avuto modo di passare un numero elevato di ore sulla versione PC del gioco e dobbiamo doverosamente ammettere che, avendo l’hardware necessario a disposizione ovviamente, è la versione nettamente preferibile. Non c’è “next gen” che tenga: con un PC di fascia medio-alta l’impatto estetico di Dragon Age: Inquisition muta considerevolmente tanto nella texturizzazione della vegetazione e delle superfici che nella magnifica resa dell’acqua e delle superfici bagnate da essa. Sovvengono estremamente migliorati anche fluidità generale (che a noi non è mai scesa sotto i 40 fps al massimo dei dettagli) e i caricamenti. Sono presenti purtroppo anche su questa versione diversi bug e glitch grafici anche se in maniera minore rispetto alla controparte console, ma fortunatamente alcuni di essi (come quello delle cutscene che si bloccano) già ampiamente risolvibili tramite fix più o meno ufficiali. In definitiva questa versione PC è assolutamente preferibile a quella console in caso si possegga l’hardware necessario, ma necessita anch’essa di ulteriore ottimizzazione sia nella risoluzione dei vari bug sia nell’eccessivo stress a cui il Frostbite 3 sottopone configurazioni hardware anche abbastanza prestanti.

Dragon Age: Inquisition – Il ritorno di BioWare, quella vera


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