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Draymond Green: il segreto, neanche troppo nascosto, dei Warriors

Creato il 05 febbraio 2016 da Basketcaffe @basketcaffe

Vincere 45 partite e perderne 4 l’inizio della stagione successiva alla vittoria dell’Anello NBA è una cosa che in poche squadre sono riuscite a fare (una sola, i 76ers del 1966-67) nella storia della Lega; per riuscirci c’è bisogno che moltissimi fattori vadano nella stessa direzione e che la fortuna assista da vicino la franchigia, ma soprattutto è questione di chimica di squadra, e di come i giocatori riescono a sposare il progetto tecnico dello staff.

In NBA poi c’è bisogno anche di una o più Superstar e ai Golden State Warriors in linea di massima una, e al momento più splendente di tutte le altre nella Lega, ce l’hanno: Stephen Curry. Le sue prestazioni sono sotto gli occhi di tutti e così anche il suo impatto sui pazzeschi parziali che ammazzano le partite dei californiani. Con lui, poi, c’è l’altro Splash Brothers, Klay Thompson, altra impressionante macchina da canestri che nella metà campo difensiva poi spesso prende in custodia le guardie avversarie. Nell’era dei Big Three, nata con gli Spurs di Duncan-Ginobili-Parker, portata avanti dai Celtics di Garnett-Pierce-Allen prima e dagli Heat di James-Wade-Bosh poi, però, secondo molti esperti per poter primeggiare c’è bisogno di almeno 3 giocatori capaci di fare la differenza in campo (senza ovviamente sottovalutare un supporting cast lungo, prolifico e con tanti specialisti).
Se già lo scorso anno ci si era accorti che Draymond Green potesse essere questo tipo di giocatore, in questa stagione è arrivata la definitiva consacrazione, non solo per il contratto ricchissimo firmato in estate per restare a Golden State, ma soprattutto per l’impatto che l’ex Michigan State è in grado di dare quando scende in campo, sera dopo sera. Le statistiche sono ovviamente ottime: 14.5 punti, 9.5 rimbalzi (1.7 offensivi, 7.8 difensivi), 7.4 assist, 1.4 recuperi e 1.4 stoppate, con il 48.9% dal campo (50% da due e 41.9 da tre) e una percentuale reale del 58.6%. Ma questi numeri non dicono quasi nulla del gioco di Green.

La sua energia e la sua fame (che a volte vanno anche oltre il lecito sia con gli avversari che con gli arbitri) sono diventate ormai contagiose per i compagni. Se è indubbio che a livello tecnico l’ago della bilancia siano Curry e le sue giocate al limite della fantascienza a livello tattico-emotivo è Green il giocatore che cambia le partite a Golden State. Con lui lo staff tecnico ha potuto creare un quintetto piccolo, perfetto per giocare la cosiddetta small-ball mettendo in difficoltà tutte le diverse avversarie e non subendo troppo difensivamente, anzi, mettendo ulteriore pressione sugli attaccanti; il perché è presto detto, l’ex Michigan State in attacco può permettersi anche di fare l’iniziatore del gioco o è in grado di iniziare lui la transizione, permettendo così a Curry e Thompson di giocare lontano dalla palla dove al momento sono letteralmente infermabili. La sua crescita come passatore è dimostrata dalle 10 triple doppie stagionali, uno sproposito rispetto a qualsiasi altro giocatore NBA, il suo assist percentage è il 28.3%, quindi quasi un terzo degli assist di squadra li fornisce lui, a tutto questo vanno aggiunte la sua pericolosità dall’arco, soprattutto nei tiri frontali che costringono la difesa a uscire aggressivi su di lui o comunque a fare una scelta importante e rotazioni sui p&r giocati tra lui e Curry, e l’aggressività che mette andando a rimbalzo che spesso gli permette, non di prendere il pallone ma di tenerlo vivo.

#NBA i 51 di Curry fanno passare sotto silenzio la decima tripla doppia in stagione di @Money23Green (12+10+12) pic.twitter.com/RKPl5IWnzt

— Basketcaffe.com (@Basketcaffe) February 4, 2016

Nelle scorse Finals NBA i problemi avuti dai Warriors nelle prime partite erano dovuti soprattutto dal fatto che le sue scelte offensive non erano di alto livello, spesso tirava troppo presto facendo calare le sue percentuali o andava a schiantarsi contro la difesa che lo aspettava al ferro; la sua capacità di cambiare letture diventando più solido e sicuro però hanno permesso ai gialloblu di punire Cleveland, che non è più riuscita a trovare un antidoto al quintetto piccolo di Steve Kerr, guidato da Green come centro.
Quest’anno il miglioramento nelle scelte è ancora più evidente e il fatto di vincere sempre ha liberato ulteriormente la mente di Green. Nei 35 minuti di media con lui in campo Golden State ha un pace factor di 103.72, un offensive rating di 117.5 e un difensive rating di 95.2: la differenza dice +22.3, cifre obiettivamente incredibili per quello che è il terzo violino della squadra.

La sua crescita è tangibile anche per i voti arrivati dai tifosi per farlo partire nel quintetto della Western Conference al prossimo All-Star Game di Toronto (alla fine non sarà nello starting five ma è stato giustamente selezionato dagli allenatori come riserva), ma a goderselo sono soprattutto i tifosi dei Warriors, sicuri che con il suo rinnovo (oltre a quelli scontati di Curry e Thompson) la franchigia possa creare una dinastia. E al momento, risultati alla mano, difficile pensare il contrario.

 

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