Magazine Cultura

Dream Theater – Images And Words (1992)

Creato il 27 gennaio 2014 da The Book Of Saturday

Dream-Theater-Images-and-Words

Come ripartire dopo tre anni di concerti e nessun altro disco sulla schiena se non quello scomodo When Dream And Day Unite. Esonerato Dominici, acquistato dal Canada LaBrie, i Dream Theater nel 1992 scriveranno la storia del rock anni ’90, dando vita, con Images And Words, a un genere del tutto nuovo. Senza accorgersene, senza averne nemmeno percezione, con il loro secondo lavoro entrarono nella storia. Poi sarà tutta un’ascesa, che farà dei DT uno dei gruppi più seguiti dagli amanti del nuovo metal.

STORIA. Avevamo lasciato i DT dopo il primo, controverso When Dream And Day Unite, disco che produsse inevitabilmente la fine della storia tra il cantante Charles Dominici e il resto del gruppo. Dopo quasi due anni di ricerche, la scelta del sostituto ricadde sull’allora frontman dei Winter Rose, il canadese James LaBrie. Poco prima i Dream Theater cambiarono anche etichetta, passando dalla Mechanic Records all’Atlantic Records. Images And Words rappresenta dunque il disco d’esordio sotto la nuova casa discografica, nonché un’evoluzione in senso pieno dello stile. Il disco fu inciso in tutto il 1991 e pubblicato l’anno successivo, per la precisione il 7 luglio ’92.

Under A Glass Moon: uno dei riff più famosi di Petrucci, altri sette minuti che gettano le basi per una leadership incontrastata nel regno del prog metal (Metallized.it)

IMPORTANZA. Secondo la critica e i fans del genere, Images And Words rappresenta uno dei primi esempi di progressive metal, oltre ad essere annoverato come uno dei dischi heavy metal più rappresentativi degli anni Novanta. Questo per via di uno stile volutamente barocco (come il prog rock di King Crimson, Yes, ma anche Pink Floyd) e allo stesso tempo iper-tecnico (come l’heavy metal o neoprogressive stile Rush, Marillion e IQ), una rilettura in chiave metal del rock progressivo. Nasce così, dalle ceneri di un termine, “progressive”, che fino ad allora era sopravvissuto all’ombra di quanto già riproposto e campato di rendita centinaia di band noiose e ripetitive, un disco che – senza previsioni – lascerà per sempre un segno e rilancerà tale genere nell’alveo del metal.

SENSAZIONI. Non sono in pochi ad aver notato, come il sottoscritto, il riferimento a testi e musica nell’inside di copertina. I Dream Theater scelgono di segnalarli con “Images” e “Words”, immagini e parole. Dunque visione e poesia. Ed è da qui che si parte per comprendere l’estetica di questo album, forse il più bello dei Dream Theater, sicuramente superiore al successivo Awake e all’altrettanto celebrato Falling Into Infinity. Di estetica si parla anche in copertina, una riproduzione riadattata di un quadro di stile fiammingo, e che restituisce chiaramente al fruitone un’immagine evidente di una raffinatezza fino ad allora quasi ignota al metal. Fin dalla prima traccia, Pull Me Under, si nota lo stacco netto rispetto ai prematuri Dream Theater in salsa Dominici. Colpisce il suono netto, deciso, pulito (merito dalla Atlantic?) in cui si incastona la batteria di Portnoy.

Take The Time: ovvero il nuovo significato della parola “progressivo”. Gli strumenti si amalgamano in una sinfonia perfetta e dalle molteplici cromature, che giunge all’orecchio sorprendentemente leggera e dannatamente piacevole (Truemetal.it)

Images And Words vede i DT lavorare finalmente come una squadra (la musica l’hanno sempre composta tutti assieme in improvvisazioni e jam session), l’alta qualità vocale è affidata interamente alle prestazioni dell’eccezionale LaBrie e i tanti cammei che ne derivano, sono l’occasione per gli strumentisti per esibirsi in lunghi assoli, tecnici e precisi. Tra un riff e l’altro, arrivano anche i lenti, come Another Day, una predisposizione marcata di LaBrie che connoterà sempre i successivi lavori dei Dream Theater. Devo tuttavia smontare la pretesa di alcuni ad assurgere Images And Words a rock opera. Ignoro l’intenzione della band, ma pure se fosse, l’intento sarebbe riuscito a metà. Un disco bello dall’inizio alla fine, una pietra miliare, che però non possiede quella continuità tale da poterlo considerare una rock opera a tutto tondo. E forse è anche in questo che risiede la sua forza e allo stesso tempo la capacità di fondare un nuovo genere.

Another Day: Brano dedicato da John Petrucci al padre che stava per morire di tumore cerebrale, chiedendogli di vivere ancora un altro giorno

CURIOSITA’. Il disco si apre con Pull Me Under, testo ad opera del tastierista, Kevin Moore, e ispirato all’Amleto di William Shakespeare. Se qualcuno si fosse domandato come il brano si possa interrompere all’improvviso lasciando interdetti, beh, la risposta non è nel vostro cd guasto. La fine di questa traccia infatti non esiste, è così. Volutamente shockante come l’arrivo improvviso della morta, che è anche il tema del testo. Nei Dream Theater le citazioni sono la regola e un’altra perla in questo senso è la citazione dal film Nuovo Cinema Paradiso, nel bel mezzo di Take The Time: «Ora che ho perso la vista ci vedo di più». E sicuramente colpisce soprattutto noi italiani, visto che la frase è riprodotta proprio nella nostra lingua originale.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :