Voi ci credete nel destino? Avete mai pensato al fatto che, ogni tanto, c’è il suo zampino negli avvenimenti della nostra vita? Soprattutto per quelli importanti? Probabilmente una buona parte di voi non sarà d’accordo col mio pensiero. Altri ancora, più semplicemente, li attribuiscono nomi differenti senza saperlo, come coincidenza o casualità. Ma, a parer mio, fanno parte sempre del destino quest’ultime.
Mi chiamo Laura Button ho 24 anni e ho cominciato a credere nel destino 14 anni fa. E’ successa una cosa che ha stravolto il mio modo di pensare, di vedere le cose. Insomma, ha sconvolto la mia vita. In meglio. Perché, che ci crediate oppure no, questa è la mia storia.
Era caldo quel giorno. Maledettamente caldo. Era giugno e avevo 10 anni. Me lo ricordo bene quel giorno, erano le nozze d’oro dei miei nonni. Loro, per me, erano l’amore. Rappresentavano tutto ciò che volesse dire “amare una persona”. Amarsi per cinquant’anni. Tra alti e bassi continuare sempre ad essere presenti l’uno per l’altra. Li ho sempre ammirati. Mi ricordo che dicevo sempre: “Un giorno voglio essere felice come i miei nonni.” Forse, la felicità, non era poi così lontana quel giorno. Per celebrare quella fantastica festa, organizzammo un mega party in giardino dove invitammo tantissima gente. Alcuni non li conoscevo nemmeno, ma non importava. Quel giorno si respirava aria di festa. Per un giorno, tutti conoscevano tutti. Per quel giorno. Musica dal vivo, buffet, brindisi… I miei occhi non avevano mai assistito a tanta bellezza tutta insieme, fino a quel momento. Mi ricordo che c’erano anche altri bambini e passammo l’intera giornata a giocare tutti insieme come se ci conoscessimo da una vita. In fondo, da piccoli, basta poco per instaurare nuove amicizie. Come per distruggerle e, subito dopo, ricostruirle. Da piccoli è tutto più semplice. E’ tutto più sorprendente. Basta davvero poco per essere felici. Dopo una giornata stremante, piena di giochi collettivi arrivò il momento dei saluti. La parte più triste. In quell’istante sembra che tutto ciò che hai costruito venga distrutto dagli “impegni degli adulti”. Io, dalla mia parte, avrei voluto che quella giornata non fosse mai finita. Quando ti fanno assaggiare la felicità è difficile rinunciarci poco dopo. Ma quella volta non furono così traumatici gli addii mascherati dagli arrivederci. Mi ricordo con precisione che mio padre, per non farmi cadere nella tristezza più profonda, mi diede un palloncino dorato insieme ad un biglietto e mi disse: “Scrivi un pensierino su questo biglietto e fai volare il palloncino nel cielo.” Immediatamente quella che stava per diventare una curva triste diventò un sorriso a 32 denti. Allora presi una penna e comincia a pensare a cosa potessi scrivere, poi mi venne l’idea. “Mi chiamo Laura Button, chiunque trovi e legga il biglietto di questo palloncino, mi risponda.” In fondo scrissi il mio indirizzo, dopodiché lasciai andare il palloncino. Rimasi ad inseguirlo con lo sguardo, finché non lo vidi sparire all’orizzonte. Guardai negli occhi mio padre e ci sorridemmo a vicenda. Nel frattempo, incuriosito, mi si avvicinò il nonno che con voce sarcastica mi disse: “Sei fortuna se non si impiglierà tra i rami di qualche albero..” Anche con lui scattò un sorriso d’intesa.
Quella sera non riuscivo a prender sonno, mi giravo e rigiravo ma nulla da fare. Pensavo a quel palloncino e a dove mai sarebbe finito. Se veramente qualcuno l’avrebbe mai trovato. O se, invece, era già scoppiato da un pezzo. Passarono un paio di giorni e io persi la speranza di ogni ipotetica risposta. D’altronde, un palloncino dove vuoi che arrivi da solo? Vuoi per la pressione dell’aria, vuoi per qualche ostacolo lungo il percorso… Insomma, è impossibile che sopravviva a lungo. Decisi di mettermi l’anima in pace, in fondo era solo un palloncino.
Quello che successe nei giorni successivi, cambio radicalmente la mia vita e il mio modo di vedere le cose. Dopo una decina di giorni, quando ormai avevo archiviato il tutto, mi arrivò una lettera. Rimasi con la bocca aperta a guardare la busta per circa dieci minuti: il nome del mittente era identico al mio. Pensai ad uno scherzo di qualche mio parente o amico. Poi, dopo qualche istante di assenza, mi decisi a leggere.
Carissima Laura,
non crederai mai a quello che stai per leggere. Qualche giorno fa un contadino mentre lavorava nel suo orticello ha avvistato un palloncino sgonfio sopra delle sue verdure. Stava per buttarlo via ma, poi, ha notato un bigliettino. Quando ha letto il nome, Laura Button, s’è recato a casa mia per consegnarlo ai miei genitori. Questo perché anch’io, come te, mi chiamo Laura Button. Quando ho letto il tuo biglietto ho provato la stessa sensazione che, molto probabilmente, stai provando tu ora. Ti prego rispondimi appena ricevi questa lettera, mi piacerebbe sapere di più della tua vita.
Rimasi sconvolta. Dentro di me avevo un fuoco, una specie di scossa elettrica che mi attraversava tutto il corpo. Scoppiai ad urlare per la felicità e cominciai a correre per la casa come una matta. Corsi subito dai miei per far leggere anche a loro la lettera. Mi ricordo la loro espressione, quell’espressione negativa degli adulti. Non si fidavano, non ci credevano. Erano convinti che fosse uno scherzo di qualche parente o di qualche mio amico. Però io decisi di non ascoltarli. Non avrei permesso a niente e nessuno di rovinarmi quello stato di estrema allegria. Mi rinchiusi in fretta in camera mia, presi carta e penna e cominciai a scrivere la mia risposta alla lettera appena ricevuta.
Cominciò, così, la nostra amicizia fatta di inchiostro. Ma era intenso quell’inchiostro. Capimmo da subito che, oltre al nome, avevamo molto in comune. Tra una lettera e l’altra venni a conoscenza di cose che mi diedero ulteriore conferma che non fu un “incontro” casuale. Entrambe avevamo 10 anni, un labrador nero di circa due anni e due coniglietti grigi e un porcellino d’India. Tutto questo vi sembrerà assurdo, lo so. Lo è stato anche per me. Per tanto tempo ho creduto che tutto ciò fosse solo uno “scherzo” o addirittura un “sogno”. Ma, fidatevi, era tutto vero. Era tutto incredibilmente e straordinariamente vero. Passò qualche mese, quando i nostri genitori cedettero alle nostre infinite richieste d’incontro. Abitavamo a 200 chilometri di distanza. Ci incontrammo a metà a strada. Mi ricordo che, quello, fu il giorno più bello della mia vita. Fu amicizia a prima vista. Ci osservammo a lungo in un silenzio quasi imbarazzante, poi ci abbracciammo. Senza dire una parola. O meglio, senza sprecare una parola.
Mi chiamo Laura Button e questa è la mia storia di come ho cominciato a credere nel destino. Ovviamente vi chiederete che fine ha fatto l’altra Laura. Un’amica così non si può lasciar scappare via. E’ una sorta di anima gemella per me. Siamo in contatto da quando abbiamo 10 anni, per un totale di 14 anni di amicizia. Appena i nostri impegni coincidono ci vediamo e ci aggiorniamo sulle nostre vite. Passiamo un po’ di tempo insieme appena possiamo. E, ogni giorno, è come se fosse il primo. Ogni tanto qualcuno quando sente la mia storia mi chiede: Ti sei mai chiesta come e perché sia successo? Il come non ve lo so spiegare, ma il perché si. Semplicemente perché doveva succedere. Perché il destino ha permesso che ciò avvenisse. Ora, io non so se credete nel destino. Io posso garantirvi che esiste. Perché una cosa così può succedere solo grazie a lui. E da oggi, forse, avrete un motivo in più per crederci anche voi.
Quarto racconto per la raccolta Lifestories. Come al solito, tengo a precisare, che in questa raccolta esprimo il mio punto di vista su storie di cui ho sentito parlare, altre che ho visto con i miei occhi ed altre ancora vissute in prima persona. Questa è una storia di cui ho letto un articolo navigando su internet. Stavo cercando spunti per nuove storie da raccontare, quando ho letto un piccolissimo articolo che ha attirato subito la mia attenzione. Ho deciso allora di raccontarla dal punto di vista della ragazza aggiungendo qualche mio dettaglio. Non potevo non condividerla con voi, penso che meriti davvero una notizia del genere. Io in effetti ci credo nel destino, questa può essere un’ulteriore conferma. E voi? Che ne pensate? Fatemi sapere lasciando un commento qui sotto il vostro punto di vista sia sulla vicenda che sul mio racconto, magari anche lasciandomi nuove tracce per nuovi racconti.
A presto,
come sempre tra una riga e l’altra.
Rif
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