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Due Giovani a Londra

Creato il 05 novembre 2011 da Albix

Due Giovani a LondraCAPITOLO QUINTO

Il figlio di Mr. Winningoes

 

Guidai come un pazzo nelle strade ormai deserte. Ero un medico e il mio dovere era cercare di salvare quella giovane vita dalla morte. Ma, avendo anche di già valutata la gravità della sua ferita, sentivo dentro di me che quell’uomo, rantolante nel retro della mia vettura, era la vittima designata dal destino per l’inizio del grande esperimento che avrebbe trasformato il mondo e la storia dell’uomo.

Non vi sembri spietato il mio pur colpevole animo, amici miei, ma la vita di un uomo vale poco nei disegni misteriosi e preordinati del Cosmo. Nessuno nel mondo muore per caso, eppure centinaia e migliaia di morti al giorno, lasciano immutato il corso dell’umanità e sono, in qualche modo, previsti e studiati, perché questo corso si compia nel modo dovuto.

Deciso a tutto pur di procedere nei miei alti programmi, io, che dovevo per sommo incarico, compierli, venni esentato dal compiere il più atroce dei crimini, il più nefando dei mali. Il Fato uccise per me, attraverso l’incosciente mano di un giovane diseredato.”

Mr Winningoes tacque un attimo, come a cercar  conferma nei nostri occhi ai suoi nobili sentimenti. I toni esaltati ed enfatici con cui aveva introdotto prima gli scopi dei suoi studi, avevano lasciato il posto al tono tranquillo e regolare di un narratore, appassionato e partecipe della sua storia ma, nello stesso tempo, compassato e imparziale. Dal canto mio, mi ero già scordato della folle luce che avevo intravisto nei suoi occhi, poco prima, durante il suo racconto. Ed ora, rassicurato da quelle nobili parole, percepivo l’animo di un vecchio equilibrato e savio. Mi sembrò che anche Giorgio gli esprimesse con gli occhi le mie stesse sensazioni, cosi che l’uomo, dopo aver bevuto ancora avidamente un bicchier d’acqua, riprese a narrare nello stesso tono tranquillo di prima. Noi lo ascoltavamo ormai affascinati.

-“ Durante l’angoscioso viaggio verso casa mia, il giovane feritore, che si chiamava Adam, mi raccontò, fra singhiozzi di disperazione ed inutili accorati appelli alla sua vittima, di essere figlio di immigrati portoricani e di essere venuto alle mani prima e ai coltelli poi, con quel suo compagno di sventura, per futili motivi.

Come avevo previsto, ogni sforzo per salvare la vita al ferito, si rivelò inutile. Quando il suo giovane cuore emise l’ultimo fievole battito chiesi ad Adam, che lo aveva assistito con me in quella notte di agonia, che cosa volesse fare.

 

Adam si disse disposto a pagare fino in fondo per la sua colpa, ma io seppi convincerlo della inutilità di marcire in una cella per il resto dei suoi giorni, o peggio, di finire stupidamente sulla sedia elettrica.

Gli prospettai, senza scendere in particolari incomprensibili, i grandi accadimenti che lo avrebbero visto protagonista dei futuri destini dell’Umanità, e, seppure non senza qualche resistenza, alla fine egli accettò di sottoporsi all’esperimento di trasmissione del “ nouchefalon”, incoraggiato anche dal fatto che forse il suo compagno sventurato sarebbe rivissuto in lui, attraverso l’essenza della vita, e maggiormente ancora, dal fatto che gli promisi una forte ricompensa in danaro. Ciò che il giovane accettò volentieri, non tanto per sé stesso, quanto per la famiglia dell’ucciso.

Quale mirabile esempio di superiorità e di eccellenza d’animo! Nel mondo vile della materia e del danaro, quell’uomo, poco più d’un ragazzo, figlio di miseri emigrati, cresciuto in una famiglia numerosissima ai margini della disgustosa opulenza americana, rinunciava a dei soldi che la sorte gli offriva, a vantaggio di altri.

Piano, piano, presi a cuore la vita del giovane Adam. Il mio interesse scientifico si congiunse ad un altro, indefinibile sentimento, affatto nuovo per me.

Ogni tanto spedivo un cospicuo assegno alla sua famiglia e a quella del suo amico, involontariamente offeso, per lenire la vita di quei miseri profughi almeno un po’.

Anche nella scelta del giovane, il Fato si era mostrato avveduto. E come avrebbe potuto essere altrimenti?

Il capostipite della nuova,  futura razza, quella che avrebbe condotto l’uomo sui retti binari del progresso materiale e spirituale, colui che sarebbe stato il capo della nuova grande tribù del popolo eletto, poteva forse non avere un animo eccelso?

Senza indugio alcuno, con trepidazione, ma con lucidità e perizia estreme, ricavai, con un apparecchio da me stesso costruito e di già collaudato, il prezioso liquido e lo trasfusi nell’uomo prescelto dagli Astri, il giovane Adam, attendendo con viva emozione i risultati.

Nel frattempo lo avviai agli studi, mentre andavo sempre più affezionandomi a lui.

Il giovane apprendeva con incredibile prontezza e, giorno dopo giorno, lo vidi crescere in sapienza e intelligenza, inarrestabile come il sorgere del sole. Ma mi sarei fermato, ormai, soltanto al culmine, soltanto alla perfezione.

Così in quegli anni, la stampa, con allarme e indignazione, riportò numerosissime notizie di orride mutilazioni di cadaveri, che altro non erano se non mere amputazioni encefaliche; macabro ma necessario olocausto al prosieguo dei miei esperimenti. Gli ignari giornalisti non riuscivano a spiegarsi come mai i cadaveri deturpati fossero tutti appartenuti a giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni, morti per cause accidentali, e soprattutto perché ne venissero asportate solo le teste.

Naturalmente i poliziotti attribuivano i singolari furti ad un pazzo, e messi alle strette da un’opinione pubblica sempre più allarmata e timorosa (sciocchi son gli uomini si sa, che invece di preoccuparsi delle minacce ai vivi, si allertano per dei morti senza più anima), predisposero dei controlli sempre più rigorosi sino a che, dopo un periodo di soste forzate, non escogitai di asportare alle inermi cavie, soltanto il loro prezioso cervello, ricucendone poi alla perfezione le scatole craniche. Ciò che permise a me di continuare a lavorare indisturbato al mio progetto, ed ai poliziotti di vantarsi di un altro, millantato successo.

Il lavoro però procedeva a rilento. Mi apparve evidente quindi che la reversibilità del “nouchefalon” umano era più lenta e laboriosa di quella degli altri animali. Del resto, come già detto, andavo affezionandomi  al giovane Adam sempre più, ed assieme ai successi scientifici perseguivo anche quelli di padre, e questi ultimi implicavano il compimento di immancabili impegni e doveri, che poi erano anche dei piaceri.

All’improvviso, proprio mentre il padre sembrava avere avuto il sopravvento sullo scienziato, mi resi conto che avevo fatto centro.

Il mio allievo, il mio pupillo, volava ormai sulle ali della più limpida e pura intelligenza. La geometria euclidea, l’Algebra, il pensiero di Galileo, Newton, Maxwell, il periodismo di Mendelèev,  Einstein, per lui erano divenuti patrimonio di sicuro apprendimento e di immediata esposizione. Anzi, egli era già in grado di criticarne i difetti, metterne a nudo i limiti, indicarne i necessari sviluppi evolutivi. Così fu per la Filosofia, le Lettere, le Scienze Sociali, la Biologia, la Medicina. Qualsiasi branca dell’umano scibile, cui egli rivolgesse la propria mente, cedeva a lui ogni suo più intimo segreto. Già trovavo io, con i miei numerosi lustri spesi sui libri, qualche difficoltà a confrontarmi con lui. Era quanto!

Volli adottarlo, così che egli potesse portare il mio nome ed un domani il mio titolo, e sul mio patrimonio costruire il nuovo mondo. Egli avrebbe detto basta alle violenze, alle guerre, alle sofferenze. Egli avrebbe assommato nelle sue mani il potere del mondo intero e avrebbe dominato per l’Arte e per la Scienza, conducendo l’uomo alla scoperta dell’Universo infinito ed al  suo dominio assoluto. Egli ne sarebbe divenuto il Signore incontrastato. Oltre le meschinità quotidiane, oltre le mediocri rivalità tra gli uomini, oltre il misero terrestre potere, ben altro vi era da conquistare!”

Questo nuovo accesso finale, quasi declamato in tono profetico e delirante, mi riportò alla realtà. Mi ritrovai a pensare, ancora una volta, come potesse quell’uomo accomunare lucidità e follia in maniera così naturale. Come potessero convivere nella sua mente sentimenti così profondamente umani insieme ad altri diabolici e perversi. Ma oramai il mio interesse per la sua storia era al culmine e, comunque, il mio animo sereno. Ripresi quindi ad ascoltare.

-    ”Volli, amici miei, che la riscossa del mondo partisse dalla verde Irlanda, dalla terra che tanto mia madre aveva amata, da sacrificarle la sua libertà e la sua stessa vita. Ci trasferimmo quindi in Irlanda, mio figlio ed io; in Irlanda, che ancora soffriva divisa in due. Ci trasferimmo nella parte libera, in una villa del centro di Dublino, da sempre proprietà dei Parnell. Da lì, come vi dicevo, sarebbe partito il nuovo corso del mondo. Sposai Adam ad una dolce, gaelica  fanciulla, di nome Eva, che doveva divenire la madre della nuova, illuminata prole. Immaginate perciò, amici, il mio grande giubilo, quando seppi che la ragazza, la moglie di Adam, era stata concepita. Le mie fatiche! Com’erano state ben ripagate!!! Ero felice al punto che tutte le mie sofferenze passate, caddero nel dimenticatoio. Ma ahimè! Che rio destino mi attendeva, me tapino, me ignaro! Mio figlio, il mio amato Adam, in un accesso di follia, uccise sua moglie proprio poco prima della data prevista per il parto, e poi si tolse la vita. Solo un breve, arido messaggio restava a giustificazione del suo insano gesto: ‘ Caro Padre, abbiamo troppo osato. Dio ci perdoni.’, nient’altro. Che cos’era successo? Che cosa aveva determinato in lui la folle decisione? Forse un morbo? Un raptus improvviso? Un presagio? O forse io, pazzo incosciente, gli avevo inconsapevolmente trasfuso dei geni malati di follia???

Come avrei voluto fossero falliti i miei esperimenti!!! Avrei rinunciato a una vita di studi e di ricerche, al successo che mi aveva arriso, seppure nell’ignoranza degli accademici e della scienza ufficiale, pur di avere ancora  con me il mio Adam, la mia cara, amata famiglia. Come avrei voluto, allora, essere morto anch’io!”

Questa volta non ebbi dubbio alcuno. Furono proprio delle lacrime, delle vere lacrime a luccicare in quegli occhi intelligenti e stanchi. Ma anche stavolta l’uomo, con un gesto repentino della mano, ne cancellò ogni traccia col tovagliolo. Commosso  e imbarazzato pensai a quanta forza   dovesse esserci nell’animo di quello strano vecchio. Anche Giorgio parve imbarazzato. Si accese ancora una sigaretta e, dopo averne offerta una anche a me, ci  accingemmo  a seguire la storia di Mr Winningoes che volgeva al termine.

“ Vissi innumerevoli giorni di mestizia e pene profonde, meditando di porre fine alla mia oramai inutile e vuota esistenza. E lo avrei certamente fatto se un giorno il destino non avesse guidato i miei stanchi passi verso una nuova aurora.

Me ne stavo seduto in una solitaria panchina dalle parti di O’Connol street, nel centro di Dublino, ad osservare il traffico intenso della città, considerando dentro di me quanto sia vano l’umano vivere,  quando un’improvvisa folata di vento mi gettò addosso un foglio di giornale vecchio e sgualcito. Lo presi in mano e, quando stavo per accartocciarlo, un titolo a caratteri in grassetto attirò la mia attenzione. L’articolo riportava la notizia che due biologi americani, tali Watson e Crick, erano riusciti nella mirabile e rivoluzionaria impresa di isolare il DNA, l’acido nucleico responsabile della trasmissione dei geni nelle specie animali. La notizia mi colpì come un fulmine, ridandomi quell’energia e quella voglia di vivere che avevo considerate per sempre perdute. Se ogni uomo aveva un codice genetico e se questo codice genetico veniva trasmesso con l’acido nucleico DNA, sarebbe stato possibile, ora, grazie alla nuova scoperta, isolare il patrimonio genetico degli individui più dotati e trasmetterlo ad altri esseri, sino a formare la nuova super-razza, la nuova classe dominante, l’èlite del nuovo mondo! Per Adam, per me, per i miei avi materni e per l’umanità intera, sentii di dovere riprendere i miei studi. Quella nuova scintilla aveva fatto riaccendere in me il sacro fuoco della Scienza. La mia missione sulla terra poteva, doveva essere  ripresa e condotta a termine!”

Mentre narrava questi avvenimenti, Mr Winningoes si era trasformato nuovamente. Da quell’uomo mesto e vinto che piangeva la morte dei suoi cari e la fine della sua stessa vita, era ridiventato un uomo battagliero e convinto, rizzando la schiena e sprizzando una nuova e potente  energia dai suoi occhietti verdi. Lo immaginai nella medesima metamorfosi, in quella solitaria panchina del centro di Dublino mentre si ridestava dal pietoso torpore dell’angoscia, ergendosi a nuove battaglie e a nuovi traguardi.

-“ Il resto,  amici miei, è tutto un filo unico con le odierne vicende, anche se si tratta di un filo lungo e contorto. Lasciai quindi l’Irlanda, dove niente più mi tratteneva, e tornai di nuovo ai miei studi, ancora una volta negli Stati Uniti.

All’inizio  non avevo un piano preciso. Mi buttai nella direzione indicatami dai due studiosi americani che erano riusciti ad isolare il DNA, materia nella quale ero comunque già abbastanza avanzato, collegando tali nuovi studi a quelli vecchi sul ‘nouchefalon’, mantenendomi sempre a livello di studio teorico.

In quegli stessi anni, un’altra grande   frontiera del sapere si apriva alla conoscenza umana: l’Intelligenza Artificiale! Dapprima vagamente, poi con sempre maggiore insistenza e precisione, si pronosticava la creazione di macchine capaci di pensare, macchine intelligenti che avrebbero, poco a poco, sostituito l’uomo nei compiti più complessi e difficili.

Era quello il campo in cui i miei studi teorici avrebbero potuto e poi dovuto, trovare pratica applicazione. Per la mia mente, anche se stanca e sfruttata, non fu difficile acquisire quella nuova, ulteriore branca della scienza. Anzi, per me più facile che per altri studiosi, in quanto il mio studio non conosceva né distrazioni, né condizionamenti di qualsivoglia natura. Fu una nuova fulgida giovinezza a guidarmi in quei meravigliosi meandri, alla scoperta di insperati, mirabili orizzonti. Non posso certo spiegarvi qui, in quattro parole, tutti i passaggi del mio complesso programma, che prevedeva nuove prove e nuovi studi.  Sappiate però che avevo concepito di costruire una macchina, intelligente e perfetta, capace non solo di analizzare, dedurre, sintetizzare; capace non solo di pensare, ciò che l’avrebbe comunque posta al di sopra perfino delle più attuali e progredite generazioni di computers, ma capace bensì anche di riprodurre esseri a sé somiglianti. Mi mancava solo una tecnica di laboratorio capace di consentirmi la duplicazione all’infinito del DNA. Poi,  aggregando e sviluppando questi doppioni di cellula, sarei stato in grado di procreare e di generare i perfetti, gli infallibili, gli invincibili padroni del futuro del mondo,  destinati a porre fine a ogni guerra e  ad ogni violenza in questo nostro pianeta malato. E quando in ciò io fossi riuscito, avrei potuto veramente dire di avere in mano la chiave per aprire la porta che conduce a una Nuova Era della Storia dell’Uomo sulla Terra!”.

…continua…

 


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