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Due giovani a Londra

Creato il 12 febbraio 2012 da Albix

Due giovani a LondraIl testamento di Mr Winningoes- Parte Seconda

Cominciai con l’analizzare la richiesta di Eva da un punto di vista logico. Se l’uomo desiderato da Eva era originario di un paese del bacino del Mediterraneo, ma doveva amare l’avventura più del potere, non poteva trovarsi nei suoi luoghi natali, poiché così fanno in genere o coloro che amano troppo il potere o coloro che non amano l’avventura. D’altro canto l’accenno alla libertà che proviene dal non possesso, da un lato mi confermava appunto che l’ideale di Eva doveva per forza trovarsi lontano dal suo paese d’origine, dall’altro aggiungeva un altro probabile elemento al mio identikit: doveva trattarsi di un giovane la cui famiglia, nel suo paese d’origine, godeva di una condizione agiata. Inoltre doveva avere intrapreso, ma non concluso, degli studi universitari di carattere giuridico o filosofico, altrimenti Eva non gli avrebbe attribuito la contrapposizione tra due fonti diverse di verità (scritta e non scritta), nè avrebbe potuto fare riferimento al diritto naturale ed al diritto positivo, entrambi concetti giuridici di natura specialistica e filosofica. Infine, a parte i requisiti esteriori o comunque esteriorizzabili, relativamente facili da riscontrare, mi preoccupai dei requisiti caratteriali: Eva concludeva il suo ritratto ideale stigmatizzandolo con la bramosia d’amore in antitesi all’autorità, concludendo che egli avrebbe dovuto vedere nei figli la sete di conoscenza e libertà in antitesi alla continuazione della sua esistenza.
Fu abbastanza facile, ne converrete, circoscrivere il luogo della ricerca. Alla fine degli anni sessanta c’era solo un posto, in Europa (per ovvi motivi escludevo che Eva potesse guardare all’America, dove io avevo sofferto la mia prigionia della prima giovinezza, né gli altri continenti potevano avere le caratteristiche da lei descritte), dove un giovane tra i venti e i trent’anni, amante della musica rock, della poesia contemporanea e delle arti in genere, desideroso di libertà e assetato di conoscenza del mondo, potesse trovarsi, lontano dal Mediterraneo: questo non poteva che essere Londra, approdo dei giovani di tutta Europa amanti di musica e poesia, desiderosi di pace, di amore e di conoscenza.

Assai più difficile si presentava la risoluzione del problema della discendenza: a quale delle genti antiche del Mediterraneo si era riferita Eva? Come avrei potuto identificare con esattezza un giovane, passando attraverso gli ascendenti di una particolare gens mediterranea?

Ammesso e non concesso che io fossi riuscito a ricostruire o a rinvenire il DNA di qualche essere umano appartenuto ad una di quelle numerose, antiche genti, oppure discendente con certezza da loro, a cosa mi sarebbe servito confrontarlo con il DNA dell’aspirante fidanzato di Eva?

Sapevo infatti benissimo, dai miei studi avanzati di bio-genetica, che il DNA dell’uomo, nella sua basilare essenza, è identico per tutte le specie umane, almeno negli uomini esenti da vizi genetici. Le sue molecole risultano infatti composte dagli stessi elementi di base: i quattro nucleotidi fondamentali. E’ pur vero che questi composti chimici di base sono disposti diversamente nei preziosi filamenti cromosomici, tali che risulta praticamente impossibile rinvenire due esseri umani geneticamente identici (si consideri che ogni cellula di DNA contiene circa 40.000.000.000 di nucleotidi); ma è altrettanto vero che né dalla loro disposizione, né tantomeno dallo studio sostanziale del patrimonio genetico di un uomo si può risalire alla razza, al popolo, alla nazione o addirittura alla gens di appartenenza. Questa certezza mi convinse ancora di più che in natura non poteva esistere alcuna razza superiore.
Era possibile che Eva avesse sbagliato nella sua elaborazione?
Ricontrollai tutta la rete neuronica di silicio che componeva l’apparato cerebrale di Eva. La collaudai con nuovi e complessi esercizi di matematica binaria, di algebra e di geometria; con sottili argomentazioni di logica e filosofia riverificai le sue capacità di ragionamento e deduzione; le sottoposi la elaborazione di nuovi, complessi e impegnativi calcoli di astronomia e di fisica: il cervello di Eva era perfetto!

Non restava quindi che un’altra soluzione: Eva, con la sua intelligenza e la sua sensibilità, era andata al di là delle mie stesse conoscenze! Essa era pervenuta cioè, attraverso le mie identiche conoscenze, a valutazioni critiche ed a conclusioni diverse dalle mie.
Avevo infatti studiato abbastanza di storia e di antropologia, per non sapere quali antiche, libere genti avessero abitato il bacino del Mediterraneo o, quantomeno, per sapere a quali genti, Eva, con il suo bagaglio culturale di conoscenze, fosse stata in grado di riferirsi.
Eppure il suo oracolo appariva alquanto contraddittorio, e quantomeno insanibile su un punto. In effetti, se con la mente andavo alle antiche genti del Mediterraneo, pensavo senz’altro alle eroiche figure della Grecia e di Roma antica. Ma questi eroi, com’erano a me noti allora, apparivano in genere amanti del potere e della proprietà; fautori del più accentuato autoritarismo; duri, violenti e, non di rado, anche crudeli. E soprattutto essi avevano le idee chiare su ciò che doveva fare un figlio come suo dovere principale nei confronti del padre: continuare la sua opera di affermazione, potere e proprietà.

E non era certo l’unico punto oscuro della sua richiesta. Come potevano risolversi tutte le contraddizioni apparenti o meno evidenti che si celavano nel pensiero di Eva? Naturalmente intrapresi con Eva un serrato dialogo, per farmi spiegare meglio ciò che sembrava poco chiaro. Ma invece di facilitarmi la soluzione dei dilemmi, quei colloqui, o meglio, quegli scambi di idee, parvero complicare ancora di più la già difficile ricomposizione del quadro indiziario.

Eva infatti fu irremovibile. Per lei, amore e autorità, libertà e potere, fantasia e proprietà, ricchezza di spirito e avidità, sincerità e durezza d’animo, forza e violenza, verità e scrittura, erano tutte delle antinomie inconciliabili.
Se insistevo con domande tese a farla cadere in errore, mi ripeteva con ostinazione che solo e sempre quello sarebbe stato il suo ideale d’ amore. Se, più umilmente, le aprivo con sincerità il mio cuore, mi ribadiva spietatamente che la mia fiducia incondizionata nella Storia era mal riposta, quantunque soltanto attingendo alla sua fonte sarei riuscito a risolvere l’enigma.

Ah! I giovani! Con quale presunzione e crudeltà frappongono le loro barriere di incoscienti certezze al dialogo coi padri! E con quanta forza e determinazione! Alla mia età, ormai tarda, avrei dovuto dunque rimettere in gioco le mie certezze e le mie convinzioni? Avrei dovuto ridiscutere il risultato di una vita di studi e di ricerche?

Amavo troppo la mia piccola Eva per non farlo, tanto più che per lei io ero l’unico sostegno, l’unica sua finestra aperta sul mondo esterno. Ed anche se mi sentivo stanco e desideroso di portare a termine i miei disegni, ebbene, l’amore filiale doveva avere la precedenza assoluta su tutto. Per di più, considerate, oh voi che leggete, che alla futura attività riproduttiva di Eva era legato il successo del mio grandioso progetto. A quel punto sarebbe bastato un figlio, un unico discendente di quell’essere perfetto, perché esso potesse realizzarsi nel migliore dei modi possibili. Avevo infatti messo a punto una tecnica di clonazione che mi avrebbe consentito di replicare ogni discendente di Eva in tanti esemplari quanti me ne fossero occorsi per mettere in atto i miei programmi.

Visto che Eva ormai non mi esplicitava alcuna spiegazione convincente, mi convinsi che la risoluzione dipendeva solo da me e decisi che sarei arrivato sino in fondo.

Una cosa mi colpì in particolare, esaminando e rileggendo i numerosi tabulati di risposta che Eva mi aveva dato sull’argomento: la pretesa antinomia tra verità e scrittura. Che cosa significava per lei scrittura? E che cosa invece verità? Notai che questa antinomia era emersa, nelle argomentazioni di Eva, soltanto in un secondo tempo. Esattamente essa era apparsa nel momento in cui io, superato lo sgomento che mi procurava vedere la mia creatura rinnegare i capisaldi del mio insegnamento, le chiedevo una chiave di lettura e di comprensione dei suoi sentimenti, delle sue idee, della sua visione filosofica della vita.

Capii ad un tratto che quell’antinomia era da interpretare come traccia di risoluzione dell’enigma e soltanto relativamente ad esso.

Se Eva mi rimandava alla Storia, pur affermando che la mia fiducia in essa era mal riposta, e pur ribadendo l’antinomia tra verità e scrittura, era di tutta evidenza che io attribuivo alla Storia un contenuto più ristretto rispetto a quello che le riconosceva Eva.
Non la Storia, in quanto tale, era errata o falsa, ma lo erano il mio modo di interpretarla e, soprattutto, il significato che io le davo. Infatti Eva non riconosceva affatto la distinzione tra storia e preistoria; distinzione che, se si prescinde dall’invenzione della scrittura, è in effetti del tutto arbitraria. ‘La Storia non può arrestarsi sul confine tracciato dal fatum librorum’, mi scriveva in una delle sue appassionate risposte.

Fu proprio la rilettura di quel riferimento fatto da Eva alla casualità delle fonti storiche scritte che mi fornì la chiave di risoluzione che tanto avevo cercato! Il mio errore era stato di prendere in considerazione soltanto le genti e le civiltà mediterranee di cui la Storia, attraverso le fonti scritte, ci ha tramandato la memoria e le gesta. Ma quale errore madornale esso si rivelava ora! E pensare che Eva, collegando in maniera più corretta e opportuna, le mie stesse, identiche, conoscenze, era riuscita ad andare oltre il mio orizzonte visuale. Io avevo studiato i grandi eroi dell’epopea greco-romana, senza trascurare di indagare anche sui popoli che al predominio ellenistico prima e a quello romano poi, si erano gagliardamente opposti; avevo tenuto ben presenti le mirabili vestigia delle dinastie faraoniche; non avevo neppure tralasciato le civiltà sumeriche e babilonesi; conoscevo insomma tutti i popoli del mediterraneo; li avevo studiati direttamente, attingendo tutte le informazioni dalla penna dei loro storici, per poi ripassarli e rivederli da altri punti di vista, non da ultimo attraverso l’analisi storica dei testi di letteratura sacra antica, sanscrita, ebraica, buddista, cristiana, islamica, induista e tibetana. Ma la mia indagine, pur vasta e approfondita, grazie al contributo di Eva, si mostrò errata: io l’avevo svolta osservando le vicende umane attraverso la lente delle fonti scritte e non avevo saputo andare oltre. Mia figlia aveva avuto il coraggio e l’intuizione di spingersi oltre, a vedere quali civiltà animassero il mondo mediterraneo, quali gruppi etnici lo abitassero, prima dell’invenzione dell’alfabeto. E non solo li aveva scoperti, ma ne era rimasta a tal punto affascinata, da indicarmi quell’antico ideale di vita, trasformandolo nel suo ideale di amore. Con l’aiuto delle apparecchiature in dotazione ad Eva mi fu facile approfondire quell’affascinante tema. Fu come squarciare il velo su un mondo fantastico, neppure mai immaginato prima. Società basate sul disinteressato amore materno, piuttosto che sul retorico affetto paternalistico; sul reciproco rispetto piuttosto che sull’autorità costituita; sulla proprietà comune piuttosto che su quella egoistica e individuale; sulla fantasia, sulla forza, sulla sincerità, sulla libertà, da tutto e da tutti! Scoprimmo che agli albori della civiltà, nelle ere antecedenti l’invenzione dell’alfabeto, altri dei governavano le sorti degli umani destini: le dee Madri! Era lì che Eva voleva portarmi! E quella discendenza, che lei aveva individuato col suo ideale d’amore, era una discendenza culturale, ideologica, antropologica e non biologica, come avevo erroneamente pensato in un primo tempo.
Identificato il luogo e focalizzati i caratteri del suo uomo ideale, Eva mi confermava la validità e l’attualità della sua richiesta, nonostante il gran lasso di tempo trascorso. Era alfine giunto il momento di entrare in azione.

…continua…


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