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Due parole su Stamina

Creato il 25 novembre 2013 da Hodyjean

Vorrei avere la calma, per discutere pacatamente di queste cose. Vorrei, ma alla mia età è facile infiammarsi e urlare, quindi posso solo promettere che proverò a non farlo. Casi come quello del metodo Stamina possono sembrare nuovi e controversi; come fare a stabilire chi ha ragione, quando uno scienziato afferma ciò che altri scienziati negano categoricamente? Innanzitutto dobbiamo chiarire un paio di cose: Davide Vannoni, colui che ha inventato questo metodo, non è un medico, bensì un professore di psicologia, che grazie alla sua agenzia pubblicitaria è riuscito ad arrivare alla ribalta. La sua è una storia di viaggi nell’est europeo, di campagne pubblicitarie, di ricorsi al tribunale e di cure compassionevoli, non una storia di medicina.

Ricordo quando per la prima volta sentii parlare di del metodo Stamina, era quasi ora di pranzo e, mentre preparavo da mangiare, sentivo in sottofondo un servizio del telegiornale. Sentivo voci discordanti: alcune si battevano per l’idea, altri sollevavano dei dubbi; insomma una scena vista e rivista. Ricordo però che tendevo a fidarmi di Vannoni: il nome del metodo era “Stamina”, qualche base scientifica doveva pure avercela! Mi sbagliavo.

Bisogna riconoscerlo, almeno come psicologo Vannoni se la cava. E’ riuscito a fare in modo che si creasse una sorta di corto circuito cognitivo nella mente di chi sentiva parlare per la prima volta di questa “terapia”: insomma Stamina=staminali, no? Beh, realtà non proprio. Il cosiddetto “metodo stamina” dovrebbe basarsi sulle cellule staminali mesenchimali (tessuto connettivo, per farla breve): una volta prelevate, queste si differenziano e poi vengono iniettate di nuovo nel paziente. Vannoni però glissa sempre sul fatto che quelle mesenchimali sono staminali multipotenti, che cioè possono trasformarsi solamente in alcuni tipi di cellule, a differenza di quelle omnipotenti, che invece si ricavano dal cordone ombelicale dei neonati e possono diventare qualsiasi cellula. Quindi le cellule staminali mesenchimali non possono diventare neuroni.

Ma Vannoni afferma di aver trovato un metodo per farcela, che bello! Se io avessi in mano una tale novità, pubblicherei subito la mia scoperta su PubMed e andrei a comprarmi un vestito da sera in vista del Nobel! Pare invece che Vannoni sia un tipo molto timido: prima rivendica la proprietà intellettuale del metodo, poi invoca il segreto aziendale grazie alla StaminaFoundation, una società fondata nel frattempo (capita proprio a fagiolo, eh?). Ancora oggi questo imprenditore si rifiuta di condurre test a doppio cieco sull’efficacia della sua cura, cioè non vuole sapere se la terapia è solo un costosissimo placebo. Il nostro timidone, pur giurando che il metodo funziona, non è interessato a dimostrare scientificità della sua terapia, tutto il contrario: si affida a Giulio Golia delle Iene per farsi pubblicità, usa la pressione di piazza, dice: “andate a guardare i malati uno ad uno”, dice “ascoltate la loro opinione”. Innanzitutto, guardando attentamente i primi servizi delle Iene sul caso stamina e leggendo ciò che loro non evidenziano, si capisce che i malati versano in condizioni pressoché uguali, se non peggiori di prima; poi come sempre vale la regola “ripeti una bugia cento volte e diventerà verità”, segue come corollario la mobilitazione della piazza; ultimo ma non ultimo, sembra che qualcuno debba ragguagliare Vannoni sull’esistenza delle cartelle cliniche.

L’unica cosa che mi preoccupa è che quest’imbroglione ha un potente alleato: la mentalità italiana. “Lascia che si curino come hanno voglia”, “vuoi togliere anche l’ultima speranza a quei poveretti?”, “Se per loro funziona, cosa te ne frega?”. Allora scusatemi se penso che una medicina debba essere efficace a prescindere dallo stato d’animo di chi la usa, scusatemi se penso che dare una falsa speranza sia disonesto (direi criminale, se si è un medico), scusatemi se all’estero non voglio essere visto come l’italianotto pressapochista, che, anche se una cosa non va bene, lascia correre. Io mi scuso ma non lascio correre.

Naturalista Digitale

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