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Dylan Dog, il film. Ogni cinefilo ha il suo incubo.

Creato il 17 gennaio 2013 da Valentina Orsini @Valent1naOrs1n1
Dylan Dog, il film. Ogni cinefilo ha il suo incubo.

Licantropi e vampiri, direi che ne abbiamo fin sopra ai capelli di queste trovate alla Meyer, almeno nel mio caso, il primo pensiero finisce inesorabilmente lì. Non so quanto e come poi, questo abbia influenzato il mio giudizio. Solamente posso dire che, quando decisi di vedere Dylan Dog, il film, non immaginavo (al di là delle comuni perplessità) che avrei avuto a che fare con quello che, a tutt'oggi, io considero: il peggior film della mia vita!!!
Abbandoniamo il rimando al film di Giovannesi, che qui a confronto è una boccata d'ossigeno per ogni cinefilo, e torniamo al film di Kevin Munroe. Il regista canadese aveva esordito nel 2007 con TMNT (Teenage Mutant Ninja Turtles), dopo aver scritto e coprodotto nel 2001, un altro film d'animazione del regista Tony Shutterheim, Donner. Non è chiaro, tuttavia, quale malsano meccanismo sia scattato nella mente di Munroe quando, nel 2010, decise di portare sullo schermo la storia di un personaggio tanto popolare, dapprima in Italia, da divenire fenomeno di costume e stimolo per menti illuminate, come quella di Umberto Eco, per dirne uno. Anche il cinema si è mosso in questo senso, tentando ben due volte di portare sul grande schermo le fattezze e le vicende oscure di questo personaggio, creato da Tiziano Sclavi nel 1986.
Dylan Dog, il film. Ogni cinefilo ha il suo incubo.
Il primo tentativo è stato azzardato dal regista italiano Michele Soavi, nel 1994, con il suo Dellamorte Dellamore, e ricordo che non fu un successo all'unisono, anzi. Suscitò non poco clamore e si lamentava il fatto di una assoluta mancanza di coerenza rispetto al fumetto di Sclavi. Forse il film di Soavi non è stato compreso come avrebbe meritato. Si, la Falchi era qualcosa di improponibile, così come alcune trovate sempliciotte e inverosimili da Horror di serie B, però si poteva riconoscere fin dai tratti dello stesso protagonista, interpretato da Rupert Everett, qualcosa che rispettasse lo spirito di Dylan Dog. Almeno riuscivi a darne un'interpretazione e, se vogliamo, un senso più introspettivo. (Ricordiamo che proprio l'attore inglese, ispirò Sclavi per il volto del suo Dylan Dog).
A distanza di più di 15 anni ci pensa Munroe ad "ammazzare" il mito dell'Investigatore del'incubo, come?Però la camicia rossa e il clarinetto lo abbiamo visto, dai non è così male...e poi c'è Brandon Routh, hai visto che muscoli? Quale sfrenata (e giustificabile) adolescente non avrà esclamato questo, appena uscita dalla sala? Ecco, il problema di fondo già potrebbe intravedersi. Perché Dylan Dog, il film, appare a tutti gli effetti come il tipico filmetto per teenagers, che magari non hanno nemmeno mai aperto un solo Dylan Dog "di carta" in vita loro. Ma, effettivamente, non è qui il problema, oggi gli adolescenti, non tutti però, entrano in sala ignari del fatto che del film che vanno a vedere, ci sia almeno un romanzo o addirittura una serie storica di fumetti o quant'altro. Eppure è stato presentato come il primo vero film "ufficiale" di Dylan Dog. (Ufficiale?)
Dylan Dog, il film. Ogni cinefilo ha il suo incubo.
Esistono questioni che non capiremo mai, o meglio, comprendiamo fin troppo e allora vengono rimosse dalle nostre difese cinefiloimmunitarie. E' esattamente così, ne sono convinta. Cos'è che vogliono spacciare per "ufficiale", quando al posto di Groucho mi ritrovo il compagno stupidotto Marcus e quando dalla splendida e Gotica Londra della Craven Road finiamo nella Rue Craven di New Orleans? 
Qualcosa che, ancora non comprendo, tuttavia c'è. Mi chiedo come si possa trovare il coraggio di realizzare un film  che a livello di pathos e impatto visivo è di gran lunga inferiore a Buffy o a C.S.I. o a qualsiasi altra serie presente su Fox Crime. Mi chiedo dove un regista o un produttore trovi la forza e la saggezza per scritturare nel proprio film un attore tanto inutile, anzi altamente nocivo come Brandon Routh. Dopo aver distrutto il mito dell'uomo d'acciaio, quell'obbrobrio del 2006 diretto da Bryan Singer, questo attore si ripresenta spietato come non mai e manda all'aria ogni cinefila e umana aspettativa, tanto che, verso gli 80', poco meno poco più, il mio telecomando non ce l'ha fatta e ha messo eroicamente fine ad ogni mia sofferenza...

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