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È morto Francesco Calamandrei: fu accusato di essere il mostro dei mostri di Firenze

Creato il 02 maggio 2012 da Stenazzi

È morto Francesco Calamandrei, fu accusato di essere mandante di quattro degli omicidi del mostro di Firenze. Processato, venne assolto. In quel periodo, era il 2008, lo intervistai, nello studio del suo avvocato. Ecco che cosa mi disse.

Francesco Calamandrei ha 66 anni e ha trascorso gli ultimi 20 a combattere un’accusa terribile: quella di essere coinvolto negli omicidi del mostro di Firenze. Nel 2007 l’accusa si è concretizzata in un’aula di tribunale. Calamandrei è sotto processo: i pubblici ministeri Paolo Canessa e Alessandro Crini hanno chiesto che venga condannato
a 30 anni di reclusione, la sentenza è attesa entro maggio. È un processo senza pubblicità, senza clamore. Pochi sanno che la macabra storia del mostro di Firenze non si è conclusa. Non ancora.Secondo i pm, FrancescoCalamandrei è il mandante degli ultimi quattro duplici omicidi: 19 giugno 1982, Montespertoli, Antonella Migliorini e Paolo
Mainardi; 9 settembre 1983, Giogoli di Scandicci, Wilhelm Meyer e Uwe Rüsch; 29 luglio 1984, Vicchio di Mugello, Pia Rontini e Claudio Stefanacci; 8 settembre 1985, Scopeti di San Casciano, Nadine Mauriot e Jean Kraveichvili. Scopeti, Scandicci, Vicchio. Luoghi entrati nella memoria nera d’Italia assieme a Signa, Borgo San Lorenzo, Calenzano. Una scia rossa di sangue durata dal 1968 al 1985 che, come la strada d’orrore su una mappa, unisce boschi, paesi, viottoli di campagna. Otto delitti, 16 morti, 16 storie dell’orrore.
Calamandrei, ex farmacista di San Casciano, sarebbe il collegamento tra gli esecutori dei delitti, i tristemente famosi “compagni di merende”, e il “secondo livello” costituito da professionisti e persone rispettabili. Sarebbe stato lui, sostengono i pubblici ministeri, a commissionare gli ultimi quattro omicidi delle coppiette a Pietro Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Gli assassini uccidevano per martoriare le vittime e asportare alle ragazze le parti intime. Quelli che durante il processo vengono
crudemente chiamati “feticci” erano poi portati in una villa della zona, dove si tenevano festini e orge maledette. Per quegli omicidi, per quei terribili trofei, il farmacista avrebbe pagato Pacciani. Francesco Calamandrei è, secondo l’accusa, il “mostro dei mostri”. Per il suo avvocato difensore, Gabriele Zanobini, «non c’è invece nessuna prova né dei pagamenti, né delle consegne dei cosid- detti feticci. E quando avrebbero dovuto esserci i festini, negli anni 1982 e 1983, le escissioni sui corpi delle vittime
non c’erano state. E quindi non c’erano i feticci».
Il “mostro dei mostri” è seduto davanti a noi, nello studio del suo avvocato. Indossa un maglione bordeaux, una giacca marrone. Lo accompagna la figlia, Francesca, 37 anni. Un altro figlio, Marco, è morto poco più di un mese fa, stroncato dall’eroina. «Al funerale c’era tutto il paese, tutto San Casciano», dice Francesca, «tutti stretti attorno a mio papà».

Francesco Calamandrei è da tempo malato di depressione, è in cura. «Questa storia mi perseguita da vent’anni», ci dice. «Come ci sono entrato? Perché? È stata mia moglie, nel 1988. Fu allora che mi denunciò per la prima volta. Disse che il mostro ero io. Mi fecero una perquisizione allora, e non trovarono nulla. Mia moglie è malata psichica, era malata, e lo testimoniano le perizie, quando accusava me e addirittura il procuratore Pierluigi Vigna». Mariella Ciulli, ex moglie di Calamandrei, è oggi interdetta sulla base di perizie psichiatriche, ricoverata in un istituto di suore nella zona di Firenze. «Ci siamo visti al funerale di nostro figlio. Per lei è come se non fosse successo
nulla, sembrava quella più sana di tutti, la più tranquilla». «Il suo è quello che si chiama “delirio lucido”», dice Francesca. Quella di Francesca Calamandrei è una tragedia nella tragedia. Divide la sua vita tra l’assistenza alla madre ricoverata e l’aiuto al padre, che proprio da quella donna è stato accusatodi delitti indicibili. Mariella Ciulli nel 1988 raccontò ai carabinieri che il marito conservava una pistola e altri oggetti che avevano a che fare con gli omicidi. E disse che la notte dell’ultimo assassinio (l’8 settembre 1985 a Scopeti) Calamandrei presentava ferite al volto e agli arti. «Ma mia moglie accusò anche il filosofo Eugenio Garen, non è mai stata attendibile», ribatte
Calamandrei. E aggiunge la figlia Francesca: «In questi anni alla mia povera mamma sono state prescritte fino a 120 gocce per volta di benzodiazepine. Come le si
può credere?». Per il pubblico ministero Alessandro Crini, Mariella Ciulli «fu fortemente anticipatoria di tutti gli scenari. Oggi bisogna riconoscere la validità delle sue parole, è ingiusto dire che vaneggi. La signora disse: “Mio marito è un soggetto malato, che non ho saputo curare, e rovinato da un ristretto gruppo di persone”. Per queste sole 20 parole meriterebbe rispetto. Questa è l’antitesi del vaneggiamento». È uno scontro durissimo quello tra i pubblici ministeri e la difesa. Per i primi, quando Mariella Ciulli fece le denunce era perfettamente in sé. Secondo l’avvocato difensore: «Sulla base della perizia d’ufficio, si noti, nulla di ciò che dice la donna è attendibile». «Io non ho mai conosciuto Pacciani», spiega con calma Calamandrei, «non l’ho mai visto. Mario Vanni era postino, consegnava le lettere a San Casciano, quindi l’avrò visto per forza. E il terzo, Giancarlo Lotti, era di San Casciano, certo che lo conoscevo. Ma non ho mai avuto a che fare con loro. Mai sentito parlaredi una villa dove facevano i festini».
Secondo i pm è proprio Mario Vanni, l’unico compagno di merende ancoravivo, ad accusare Calamandrei. Vanni avrebbe detto di essere stato a casa del farmacista di San Casciano con gli altri due compagni di merende. E di aver saputo da Pacciani che “un dottore” commissionava gli omicidi a pagamento. Secondo i pm, nei paesi il farmacista viene proprio identificato come “dottore”. L’avvocato difensore sostiene invece che fu Lotti a escludere che il dottore fosse il farmacista,
perché esplicitamente parlò proprio di “unmedico”. C’è poi un interrogatoriocontestatissimo in cui Mario Vanni avrebbe raccontato di trasferte a Firenze in cerca di prostitute. Spedizioni che sarebbero avvenute sull’auto del farmacista. «Si è parlato di una Ferrari rossa, ma io una Ferrari non l’ho mai avuta, e nemmeno un’auto che possa
assomigliarle», dice Calamandrei. «Quando Vanni fu interrogato», interviene l’avvocato Zanobini, «era, come è tuttora, ricoverato in un istituto. Le perizie hanno accertato che l’uomo alterna momenti di lucidità a momenti di confusione e difficile comprensione. Che attendibilità può avere? In quell’interrogatorio Vanni dice anche di avere
un fratello. Bene, non l’ha mai avuto». È una vicenda complessa quella del mostro di Firenze. Una vicenda che ha mille sfaccettature, mille conclusioni e altrettanti colpi di scena, mille rivoli. Rivoli di sangue. Esisteva davvero un secondo livello dietro agli omicidi? I “compagni di merende” agivano per loro perversione o per la perversionedi qualcun altro? C’era realmente una settasegreta costituita da professionisti come dermatologi, orafi, imprenditori, ortopedici? E com’è morto veramente Francesco Narducci,
personaggio chiave dell’ipotetico secondo livello scomparso nel 1985 e la cui morte è parte di un’inchiesta della procura di Perugia? Francesco Calamandrei l’ha ripetuto milioni di volte: «Io Narducci non l’ho conosciuto, mai visto. Voglio uscire da questa storia, voglio ricominciarea vivere».
I pubblici ministeri dicono che c’è ancora da indagare, c’è tanto da scoprire. Non finisce qui. L’ombra del mostro è ancora viva, con la sua storia terrificante di sangue e misteri.


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