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e pur ogni anno ci provo di nuovo…

Creato il 20 dicembre 2010 da Ivy

maturin

Io, ogni anno mi ci metto d’impegno per festeggiare il Natale, fra regali, negozi, pranzi… mi ci provo. Poi in giro vedo la frenesia, soprattutto ascolto i discorsi intorno, e… non ce la faccio. Questa volta credevo mi fosse cresciuto il famoso pelo sullo stomaco, ma niente… è più forte di me desiderare che tutta questa baraonda, fax simile di felicità che mi circonda, finisca quanto prima.

“Perché gli uni devono avere più di quanto riescano a mangiare, e gli altri non devono avere niente da mangiare?”.

“Questa”, proseguì lo straniero, “è una delle più ricercate raffinatezze nell’arte della tortura che quegli esseri praticano con tanta perfezione. Affiancare alla miseria l’opulenza, chiedere al poveretto che muore di fame di nutrirsi col fracasso dei festaioli che fanno tremare la sua catapecchia e non lasciano una briciola dietro di loro, chiedere ai laboriosi, agli intelligenti, ai fantasiosi di digiunare, mentre i mediocri si strozzano in gozzoviglie, lasciar credere al moribondo che la sua vita sarebbe prolungata da una sola goccia del liquore che, sprecato, porta soltanto pazzia a quelli che ne abusano e ne sono consumati. Questo è il loro scopo, e lo raggiungono. Il povero che il vento gelido sferza con mille frecce, gelandogli le lacrime sul viso, il povero che preferirebbe gli orrori di un inverno senza tetto alla sua tana che oltraggia il nome di casa, senza cibo, senza luce, dove i boati della tempesta sono echeggiati dai gemiti della fame, il povero che incespica sopra i corpi dei suoi bambini caduti a terra per raggiungere l’angolo buio dove non troverà riposo, ma disperazione, è un essere abbastanza infelice?”

Immalì rispose con un brivido.

“No, non è abbastanza infelice. Occorre che i suoi passi senza meta lo portino ai cancelli dei ricchi; deve sentire che dall’abbondanza e dall’allegria lo separa soltanto un muro, che pure è una distanza infinita; deve sentire che se il suo mondo è oscuro e gelido, gli occhi di quelli là dentro sono accecati dalla luce, e le mani agitano ventagli per alleviare il calore artificiale, deve sentire che a ogni suo gemito si risponderà con una canzone o una risata, e deve morire sui gradini del palazzo, sapendo che una sola briciola lo avrebbe salvato, deve morire sulla soglia di un banchetto: e adesso ammirate insieme a me l’ingegnosità di questa nuova forma di miseria. L’attività della gente, nel moltiplicare le calamità, è inesauribile. Non contenti delle pestilenze e delle carestie, della sterilità della terra e delle tempeste, hanno voluto leggi e matrimoni, re e agenti delle tasse, guerre e battaglie e ogni sorta di disgrazia artificiale che non potreste nemmeno immaginare”.

“Non ci sono genitori e figli in questo orribile mondo?”, chiese Immalì, volgendo gli occhi pieni di lacrime a questo denigratore dell’umanità, “non c’è nessuno che si ami come io amavo l’albero sotto il quale mi accorsi di essere viva, o i fiori che crescevano con me?”.

“Genitori? Figli?”, disse lo straniero. “Oh, sì! Ci sono padri che insegnano ai loro figli…”, e la sua voce si perse. Fece uno sforzo per riprendersi. Dopo una lunga pausa disse: “Ci sono alcuni genitori pietosi in mezzo a quella gente”.

“E chi sono?”, chiese Immalì, che sentì batter il suo cuore al pensiero di qualcosa di buono.

“Sono”, disse lo straniero con un sorriso diabolico, “quelli che uccidono i loro figli appena nati, o quelli che grazie all’arte medica li eliminano prima che vedano la luce, Così facendo danno l’unica prova credibile di amore paterno”.

Melmoth, l’uomo errante. C. R. Maturin

e pur ogni anno ci provo di nuovo…
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