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Ecco uno degli errori principali che normalmente gli economisti commettono quando parlano di mercato.

Da Roxioni
Ecco uno degli errori principali che normalmente gli economisti commettono quando parlano di mercato.

Ecco uno degli errori principali che normalmente gli economisti commettono quando parlano di mercato.

Per capire meglio


L’ordine definito dai processi di mercato
Secondo me James Buchanan ha scritto una delle migliori pagine di teoria economica negli ultimi 50 anni. Come ha scritto:Voglio sostenere che “l’ordine” di mercato emerge soltanto dal processo di scambi volontari degli individui che vi partecipano. L’ordine è, esso stesso, definito come il risultato del processo che lo genera. L’effetto, ovvero il come vengono allocate e distribuite le risorse, non esiste e non può esistere indipendentemente dal processo di scambio. Senza questo processo non ci può essere nessun “ordine.”
Che cosa vuol dire allora Barry [1] (o altri che come lui fanno affermazioni simili) quando dice che l’ordine generato dalle interazioni di mercato è comparabile a quello che potrebbe emergere dalla progettazione di una mente unica e onnisciente? Se andassi avanti con questa domanda, gli economisti direbbero che se il pianificatore potesse in qualche modo conoscere la funzione di utilità di tutti i partecipanti, insieme ai vincoli di bilancio, allora una tale mente potrebbe, per decreto, duplicare precisamente il risultato che sarebbe emerso da un processo di aggiustamento di mercato. Come implicazione, si presume che gli individui si portino dietro funzioni di utilità perfettamente determinate e si presume che agiscano sul mercato cercando sempre di massimizzare queste funzioni rispettando i loro vincoli di bilancio. Come ho già fatto notare altrove, tuttavia, in questa impostazione, nessuno compie, sul serio, nessuna scelta. In questo modello del processo di mercato, l’efficienza relativa degli accordi istituzionali che permettono aggiustamenti spontanei proviene solo dalle dinamiche di diffusione dell’informazione. Questa enfasi è fuorviante. Gli individui non agiscono come per massimizzare l’utilità descritta da funzioni che esistono indipendentemente. Sono messi di fronte a scelte genuine e la sequenza con cui queste decisioni vengono prese può essere descritta solo ex post (dopo che le scelte sono state fatte), “come se” queste funzioni fossero state massimizzate. Ma queste funzioni “virtuali” sono esse stesse generate all’interno del processo di scelta, non separatamente. Se guardiamo la cosa in prospettiva, non esiste alcun mezzo tramite il quale anche il pianificatore onnisciente più idealizzato potrebbe duplicare i risultati dello scambio volontario. Chi vi partecipa non sa quali saranno le sue scelte fino a quando non entra nel processo stesso. Da questa considerazione segue che è logicamente impossibile per un pianificatore onnisciente avere questa conoscenza a meno che, ovviamente, non vogliamo negare il libero arbitrio ai singoli individui.Ciò che sto cercando di dire è allo stesso tempo semplice ma sottile. Si riduce alla distinzione tra stato finale e metodo di processo, tra consequenzialisti e non, tra principi teleologici o deontologici. In economia, anche tra chi rimane un forte sostenitore del mercato o di organizzazioni similari, si descrive l’efficienza generata dai meccanismi di mercato indipendentemente dai meccanismi stessi. Allora questi diventano solo dei “mezzi” e possono essere più o meno la scelta migliore. Fino a quando non esorcizzeremo questo elemento teleologico dalla teoria economica, gli economisti continueranno a essere loro stessi confusi e a confondere gli altri. Secondo Buchanan spiegare l’ordine spontaneo dell’economia di mercato è uno degli scopri primari per l’economista. Ma sono così pochi gli economisti ad aver compreso realmente le implicazioni dell’intuizione di Smith riguardo la “mano invisibile.” Questa disgiunzione tra quanto è veramente di valore riguardo alla scienza economica concepita come scienza pubblica, e quanto gli economisti moderni conoscono e fanno, è una delle fonti di quel vantaggio intellettuale che uno può percepire quando legge i lavori di James Buchanan. Troppo pochi economisti comprendono la teoria economica di base, come lo stesso Buchanan ha evidenziato nei suoi classici lavori come Public Principles of Public Debt (1962), Cost and Choice (1969) e nel saggio che comprende What Should Economists Do? (1979).Russ Roberts è uno degli economisti che comprende la teoria di base e cerca di eliminare la confusione che esiste nella discussione pubblica su questi temi di base. Recentemente ha tenuto una lezione su “The Deepest Thing We Know.“Articolo di Peter Boettke sul blog Coordination ProblemTraduzione di Marco Bollettino
Note
[1] Norman P.Barry. È stato professore di Teoria sociale e politica all’università di Buckingham fonte

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