Prima che l’ictus gli storpiasse il grugno e gli affievolisse il rutto, Umberto Bossi minacciò cinque o sei volte di mandare in piazza i suoi a far la secessione armati di schioppo, poi rivelò che non aveva avuto alcuna intenzione di aizzarli, ma che quello era il solo modo per raffreddarne i bollori, e menò addirittura vanto di aver così «fermato trecentomila bergamaschi pronti a imbracciare il fucile» (Il Mattino, 8.4.2008). In pratica, aveva evocato la violenza, sì, ma solo per imbrigliarla, neutralizzarla. Probabilmente si aspettava gliene fossimo grati e offrissimo le nostre figlie al Trota.
È tecnica alla quale ricorre ogni demagogo: far nascere un problema per offrirsi come sua miglior soluzione, creare tensione per proporsi come il solo in grado di ottenere distensione, saturare l’atmosfera di elettricità per mettersi in posa da parafulmine. E Beppe Grillo non è da meno: «Ho incanalato tutta la rabbia in questo movimento. Dovrebbero ringraziarci: se noi falliamo l’Italia sarà guidata dalla violenza nelle strade» (Time, 7.3.2013). È una variante della strategia della tensione: fomentare il disordine per candidarsi a forza d’ordine. E i gonzi che sono indispensabili all’ascesa di un demagogo che metta in atto tale strategia sono già pronti a crederci. Perciò questo paese merita di sprofondare nella merda: perché non ha memoria storica, vive in un eterno presente, dagli errori ormai non può imparare più niente. Anche chi intuisce il pericolo letale rappresentato dai fascio-naïf del M5S sembra non cogliere la natura del fenomeno: si buttano sulle tredici società aperte in Costa Rica dai prestanome di Beppe Grillo come se fossero i diamanti nella cassaforte di via Bellerio, gli appartamenti di Di Pietro, e l’etichetta che ci è appiccicata sopra pare non dir loro un cazzo di niente. Ecofeudo, questo mostriciattolo ucronico si chiama Ecofeudo: suggestione di un medioevo prossimo venturo nel quale dovremmo incamminarci felici e decrescenti. Così è nelle visioni di Giancoso, e tutti dietro.Magazine Società
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