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Ecologia fascista (3): Il Movimento giovanile e l’era di Weimar

Creato il 03 febbraio 2013 da Davide

Il principale veicolo per far diventare preminente questa costellazione ideologica fu il movimento giovanile, un fenomeno amorfo che giocò un ruolo decisivo ma fortemente ambivalente nella formazione della cultura popolare tedesca durante i primi tre tumultuosi decenni di questo secolo. Anche noto come Wandervögel (che si traduce più o meno come “liberi spiriti vaganti”), il movimento giovanile era un calderone di elementi controculturali, mescolando neo-romanticismo, filosofie orientali, misticismo della natura, ostilità alla ragione e un forte impulso comune verso una confusa ma non meno ardente ricerca di rapporti sociali autentici e non alienati. La loro enfasi sul ritorno alla terra spronò una appassionata sensibilità verso il mondo naturale e i danni che soffriva. Sono stati giustamente caratterizzati come “hippie di destra”, perché anche se alcuni settori del movimento gravitavano verso varie forme di politica di emancipazione (anche se di solito si spogliavano delle vesti ambientaliste nel processo), la maggior parte dei Wandervögel finirono per essere assorbiti dai nazisti. Vale la pena di esaminare questo spostamento dall’adorazione della natura all’adorazione del Führer.
Le varie linee del movimento giovanile condividevano una comune visione di sé: erano una risposta significativamente “non politica” a una profonda crisi culturale, che metteva l’accento sul primato dell’esperienza emotiva diretta sull’azione e la critica sociale. Spinsero le contraddizioni del loro tempo fino al punto di rottura, ma non furono in grado o non vollero fare il passo finale verso la ribellione sociale organizzata e finalizzata, «convinti che i cambiamenti che volevano effettuare nella società non potessero essere portati avanti con mezzi politici, ma solo attraverso il miglioramento dell’individuo» (16). Ciò fu un fatale errore. «In senso lato, due modi di rivolta erano aperti loro: potevano continuare la loro critica radicale della società, che nel tempo dovuto li avrebbe portati nel campo della rivoluzione sociale. [Ma] i Wandervögel scelsero l’altra forma di protesta contro la società – il romanticismo» (17).
Questa posizione si prestava anche troppo bene a un tipo molto diverso di mobilitazione politica: il fanatismo “impolitico” del fascismo. Il movimento giovanile non fallì semplicemente nella scelta della sua forma di protesta, ma fu attivamente riallineato quando i suoi membri entrarono a migliaia nel nazismo. Le sue energie controculturali e i suoi sogni di armonia con la natura portarono i frutti più amari. Questa è, forse, la traiettoria inevitabile di qualsiasi movimento che riconosce e si oppone ai problemi sociali ed ecologici, ma non riconosce le loro radici sistemiche o non resiste attivamente alle strutture politiche ed economiche che li generano. Evitando la trasformazione della società in favore del cambiamento personale, una disaffezione apparentemente apolitica può, in tempi di crisi, produrre risultati barbari.
L’attrazione che tali prospettive ebbero sulla gioventù idealista è chiara: l’enormità della crisi sembrò intimare una repulsione totale delle sue cause apparenti. E’ nella forma specifica di questa repulsione che sta il pericolo. Qui il lavoro di parecchie menti più teoriche del periodo è istruttivo. Il filosofo Ludwig Klages influenzò profondamente il movimento giovanile e formò in modo particolare la loro coscienza ecologica. Egli scrisse un saggio tremendamente importante intitolato “L’uomo e la Terra” per il leggendario raduno di Meissner dei Wandervögel nel 1913. Un testo straordinariamente incisivo e la più famosa delle opere di Klages, non è solo «uno dei grandissimi manifesti del movimento pacifista ecoradicale in Germania» (19), ma anche un esempio classico della terminologia seducente dell’ecologia reazionaria.
L’uomo e la Terra” anticipava quasi tutti i temi del movimento ecologista contemporaneo. Denunciava l’accelerata estinzione delle specie, la rottura dell’equilibrio del sistema ecologico globale, la deforestazione, la distruzione dei popoli aborigeni e dei loro habitat, l’allargamento delle città e l’aumentata alienazione della gente dalla natura. In termini enfatici condannava il cristianesimo, il capitalismo, l’utilitarismo economico, l’iperconsumo e l’ideologia del “progresso“. Condannava anche la distruttività ambientale del turismo rampante e il massacro delle balene e mostrava una chiara cognizione del pianeta come una totalità ecologica. Tutto questo nel 1913!
Può quindi sorprendere il sapere che Klages per tutta la vita fu politicamente arciconservatore e un velenoso antisemita. Uno storico lo etichetta come “fanatico völkisch” e un altro lo considera semplicemente “un battistrada intellettuale del Terzo Reich” che ” preparò la strada alla filosofia fascista per molti aspetti importanti” (20). In “L’uomo e la Terra” un genuino oltraggio per la devastazione dell’ambiente naturale è accoppiato con un sottotesto politico di disperazione culturale (21). La diagnosi di Klages dei mali della società moderna, con tutte le sue declamazioni sul capitalismo, torna sempre a un solo colpevole: “Geist“. L’uso idiosincrasico di questo termine, che significa mente o intelletto, aveva lo scopo di denunciare non solo l’iperrazionalismo o la ragione strumentale, ma il pensiero razionale in sé. Tale atto d’accusa complessivo della ragione non può che avere implicazioni politiche barbare. Chiude ogni possibilità di ricostruire razionalmente i rapporti della società con la natura e giustifica l’autoritarismo più brutale. Ma le lezioni della vita e delle opere di Klages sono state difficili da imparare per gli ecologisti. Nel 1980 “L’uomo e la Terra” fu ripubblicato come stimato saggio precursore per accompagnare la nascita dei verdi tedeschi.
Un altro filosofo e severo critico dell’Illuminismo che aiutò a collegare fascismo ed ecologismo, fu Martin Heidegger. Pensatore molto più rinomato di Klages, Heidegger predicò “l’Essere autentico” e criticava aspramente la tecnologia moderna ed è perciò spesso celebrato come un precursore del pensiero ecologico. Sulla base della sua critica della tecnologia e repulsione dell’umanesimo, gli ecologisti contemporanei hanno elevato Heidegger nel pantheon degli eco-eroi:

«La critica di Heidegger dell’umanesimo antropocentrico, il suo appello perché l’umanità impari la “lasciare le cose esistere”, la sua idea che l’umanità è coinvolta in un “gioco” o “danza” con la terra, il cielo e gli dei, la sua meditazione sulla possibilità di un modo autentico di “abitare” la terra, il suo lamento che la tecnologia industriale sta rendendo la terra un immondezzaio, la sua enfasi sull’importanza del localismo e della “patria”, la sua pretesa che l’umanità debba custodire e preservare le cose, invece di dominarle – tutti questi aspetti del pensiero di Heidegger aiutano ad appoggiare l’idea che egli sia un grande profondo teorico ecologista» (22).

Tali effusioni sono, a dir poco, pericolosamente ingenue. Suggeriscono uno stile di pensiero completamente dimentico della storia dell’appropriazione fascista di tutti gli elementi che il passo citato loda in Heidegger. (A suo credito l’autore del brano, un importante teorico ecologista per conto suo, ha da allora cambiato posizione e ha spinto con urgenza i suoi colleghi a fare lo stesso) (23). Quanto al filosofo dell’Essere stesso, era – contrariamente a Klages, che visse in Svizzera dopo il 1915 – un membro attivo del partito nazista e per un periodo appoggiò il Führer entusiasticamente, persino in modo adorante. I suoi panegirici mistici sull’Heimat (la patria) erano completati da un profondo antisemitismo e le sue sfuriate dal fraseggiare mistico contro la tecnologia e la modernità convergevano nettamente con la demagogia populista. Anche se visse e insegnò per trent’anni dopo la caduta del Terzo Reich, Heidegger non si pentì pubblicamente neppure una volta e tanto meno rinunciò al suo coinvolgimento con il nazionalsocialismo e neppure ne condannò pro forma i crimini. La sua opera, quali che siano in suoi meriti filosofici, si pone oggi come un’ammonizione esemplare sull’uso politico dell’anti-umanesimo in veste ecologica.
Oltre al movimento giovanile e alle filosofie proto-fasciste, c’erano, naturalmente, sforzi pratici per proteggere gli habitat naturali durante il periodo di Weimar. Molti di questi progetti furono profondamente coinvolti nell’ideologia che culminò nella vittoria di “Sangue e Suolo”. Un manifesto di reclutamento per equipaggiamento di conservazione forestale dà il senso della retorica ambientalista del periodo:

«In ogni petto tedesco la foresta tedesca trema con le sue caverne e forre, rocce e massi, acque e venti, leggende e racconti fatati, con le sue canzoni e melodie e risveglia un potente desiderio per la patria: in tutte le anime tedesche la foresta tedesca vive e tesse con la sua profondità e respiro, la sua tranquillità e la sua forza, la sua potenza e dignità, la sua ricchezza e la sua bellezza – è la fonte dell’interiorità tedesca, dell’anima tedesca, della libertà tedesca. Perciò proteggi e cura la foresta tedesca per amore dei vecchi e dei giovani e unisciti alla nuova Lega Tedesca per la protezione e la consacrazione della foresta tedesca» (24).

La ripetizione di genere mantrico della parola “tedesco” e la descrizione mistica della sacra foresta fondono insieme, ancora una volta, nazionalismo e naturalismo. Questa connessione acquistò un sanguinoso significato con il collasso della Repubblica di Weimar. Perché insieme a tali gruppi conservazionisti relativamente innocui, stava crescendo un’altra organizzazione che offriva a queste idee una casa ospitale: il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi, noto con il suo acronimo NSDAP. Traendo dall’eredità di Arndt, Riehl, Haeckel e altri (che vennero tutti onorati tra il 1933 e il 1945 come precursori del nazionalsocialismo trionfante), l’incorporazione da parte del movimento nazista di temi ambientalisti fu un fattore cruciale nella sua crescita verso la popolarità e il potere.
(segue)

Note

16. Walter Laqueur, Young Germany: A History of the German Youth Movement, New York, 1962, p.41.
17. ibid., p. 6. Per un breve ritratto del movimento giovanile che trae conclusion simili, vedi John De Graaf, “The Wandervogel,” CoEvolution Quarterly, Fall 1977, pp. 14-21.
18. Ristampato in Ludwig Klages, Sämtliche Werke, Band 3, Bonn, 1974, pp. 614-630.
19. Ulrich Linse, Ökopax und Anarchie. Eine Geschichte der ökologischen Bewegungen in Deutschland, München, 1986, p. 60.
20. Mosse, The Crisis of German Ideology, p. 211, e Laqueur, Young Germany, p. 34.
21. Vedi Fritz Stern, The Politics of Cultural Despair, Berkeley, 1963.
22. Michael Zimmerman, Heidegger’s Confrontation with Modernity: Technology, Politics and Art, Indianapolis, 1990, pp. 242-243.
23. Vedi Michael Zimmerman, “Rethinking the Heidegger — Deep Ecology Relationship”, Environmental Ethics vol. 15, no. 3 (Fall 1993), pp. 195-224.
24. Riprodotto in Joachim Wolschke-Bulmahn, Auf der Suche nach Arkadien, München, 1990, p. 147.


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