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Economia blu, la teoria dell'alternativa finale

Creato il 22 febbraio 2012 da Upilmagazine @UpilMagazine

Gunter Pauli è nato ad Anversa nel 1956. Si è laureato in economia all'Università Sant'Ignazio di Loyola in Belgio. Ha fondato la ZERI "Zero Emissions Research Initiative", che riprogetta processi produttivi trasformandoli in raggruppamenti di industrie non inquinanti.
A seguire vi proponiamo dal suo libro di 344 pagine “Blue Economy”, tradotto in oltre 20 lingue, alcuni estratti dei tantissimi capitoli in cui l’economista belga c’indica la riscoperta, la riconsiderazione e soprattutto l’applicazione pratica dei processi di produzione di energia già esistenti in natura. Processi lontanissimi dai concetti industriali, vicinissimi invece al concetto di un essere umano che si riappropria del suo ruolo di “primus” fra gli animali ma in sintonia col mondo che lo circonda.


Il rasoio con i fili di seta

Il rasoio da barba è un esempio onnipresente del consumo insostenibile. Poche altre attività sono più banali della rasatura. I peli crescono inesorabili e incessanti. La pittura rupestre indica che anche l’uomo preistorico si radeva adoperando strumenti quali pietre e conchiglie di molluschi. Durante l’Età del Bronzo, l’uomo sviluppò la capacità di forgiare metalli semplici, cominciando a realizzare rasoi in ferro e bronzo. Gli antichi Egizi si radevano testa e barba, un’abitudine successivamente adottata da Greci e Romani, in particolare dai soldati coinvolti in combattimenti corpo a corpo: la mancanza di ciocche significava una presa in meno per il nemico.

Una moderna lametta per rasoio prodotta nel XXI secolo utilizza circa 20 volte in meno metallo rispetto alle prime lame monouso introdotte da King C. Gillette oltre un secolo fa. Mentre questo conferma gli sforzi verso l’efficienza materiale, costi più contenuti e una miglior accessibilità comportano meno incentivi a prolungare la vita utile di un prodotto. Via via che il team di ricerca di Gillette aumentava la redditività e la quota di mercato, il volume complessivo dei singoli rasoi e il peso totale dei rifiuti di metallo aumentava enormemente. Si stima che, ogni anno, insieme ai 10 miliardi di rasoi monouso vengano gettate in discarica 250.000 tonnellate di costoso metallo. Malauguratamente, gli ultimi modelli hanno aumentato il numero di lamette da due a cinque o persino sei. Stiamo assistendo a un effetto rimbalzo che vanifica i miglioramenti sull’efficienza materiale ottenuti negli ultimi 50 anni.
Le lame dei rasoi sono esposte a elevati livelli di umidità e pertanto devono essere realizzate con una lega d’acciaio resistente alla corrosione o in titanio. L’acciaio deve essere abbastanza resistente da permettere alla lametta di mantenere la sua forma e al tempo stesso abbastanza duttile da permetterne la lavorazione. In genere si preferisce l’acciaio poiché è ottenuto con carbonio, silicio, manganese, cromo e molibdeno. La restante parte è composta da ferro e uno strato finale di titanio. L’acciaio viene riscaldato alla temperatura di 1.100 °C, poi solidificato tramite raffreddamento in acqua a una temperatura di circa -35 °C. L’acciaio viene temperato a 350° C. Successivamente si forgiano le lamette con fili adeguati al ritmo di 800-1.200 al minuto. Siccome la lama è molto piccola, si rende necessario un supporto in plastica e metallo per tenerla dentro la cartuccia. Come il titanio, l’acciaio inossidabile è parte di un modello di produzione e consumo che rende la vita insostenibile. Questo intero processo rende possibile solo qualche rasatura prima che il rasoio vada a finire in discarica.
Ora, l’industria dei rasoi si trova di fronte a un bivio. Invece di perseguire una crescita di mercato in volume, può trasformare il mercato del rasoio in qualcosa che contribuisca alla risoluzione della crisi ambientale e occupazionale, offrendo al medesimo tempo un prodotto migliore e più economico. Un rasoio fatto con la seta fende grazie alla cheratina i peli senza tagliare la pelle, facendo roteare sulla superficie cutanea centinaia di sottilissimi fili, di fatto una versione in miniatura di un tosaerba a mano. Abbiamo a disposizione la tecnologia per farlo. Sarà solo questione di tempo e denaro per la sua messa a punto e produzione. Il fatto che la seta possa sostituirsi all’estrazione dei minerali, riducendo sensibilmente le emissioni di carbonio e persino sequestrandolo, rivela un’ideale struttura costi/benefici. A 200 dollari per ogni chilo di seta lavorata, ogni rasoio con lama di seta costerebbe meno di un dollaro, eppure il suo rendimento e al tatto è analogo alle moderne versioni industriali.

 

L’elettricità dal differenziale termico

La termoelettricità consiste nella conversione di un differenziale termico in elettricità. Nell’ambito del nostro modello energetico, potrebbero esserci attrezzature elettroniche in grado di prendere energia dal calore del corpo umano. In Germania, il Fraunhofer-Institut für Physikalische Messtechnik ha sviluppato un metodo per sfruttare l’elettricità che deriva dal naturale calore corporeo. Pensate! La differenza tra la temperatura del corpo umano e quella dell’ambiente circostante – più caldo o più freddo – è sufficiente a generare elettricità. Di solito è necessaria una differenza di svariate decine di gradi per produrre abbastanza energia: non bastano i pochi gradi tra la nostra pelle e l’aria con la quale siamo a contatto. “Tali differenze possono produrre solo voltaggi molto bassi”, dice Peter Spies, project manager dell’Istituto Fraunhofer. Con questo sistema si possono ottenere circa 200 millivolt, mentre le apparecchiature elettroniche richiedono almeno 1-2 volt per funzionare e una luce led si accende con circa 1 volt.
Eppure gli ingegneri dell’Istituto Fraunhofer sono riusciti a risolvere questo problema: invece di seguire il ragionamento tipico dell’industria e studiare un modo per produrre più energia, hanno creato circuiti che ne richiedono di meno, appena 200 millivolt. Hanno costruito sistemi elettronici completi che non hanno bisogno né di batterie interne né di collegarsi alla rete di alimentazione: è sufficiente il calore corporeo. Peter Spies è sicuro che un giorno, quando i nuovi sistemi saranno migliorati, sarà sufficiente una differenza termica di 0,3 gradi per generare abbastanza energia per far funzionare un telefono cellulare. I sistemi naturali si sono evoluti proprio secondo questo criterio, permettendo a correnti sempre più deboli di ottenere sempre di più finché è diventato possibile fare tutto ciò che serviva senza dover aspettare l’occasione di una scossa potente come quella di un fulmine.
Abbiamo già citato la prima possibile applicazione di questa nuova tecnologia: il pacemaker dotato di nanotubi ispirato alla ricerca di Jorge Reynolds sulle balene. La straordinaria innovazione di Peter Spies ci permette di contemplare seriamente l’ipotesi di liberarci del peso delle batterie, dei metalli, dell’attività mineraria e dell’enorme quantità di energia necessaria per produrre su scala industriale un bene di consumo che in poco tempo finisce nelle discariche. In una blue economy molti strumenti potrebbero essere riprogrammati in modo da funzionare senza elettricità, che venga da una pila o da una presa. La natura è una fonte infinita di ispirazione.


L’orologio a temperatura corporea

Nel 1999 la casa produttrice giapponese Seiko lanciò sul mercato il primo modello di orologio alimentato dalla temperatura corporea: i 500 pezzi disponibili, una volta carichi, andavano avanti per dieci mesi. Divenne uno dei modelli più ricercati di sempre. La capacità di questo orologio di generare energia dipende dalla temperatura dell’aria e dalla temperatura corporea individuale: indossato al polso, assorbe calore dal fondo della cassa e lo dissipa dal quadrante, producendo energia grazie a un convertitore termico. All’aumento del differenziale termico tra pelle e ambiente corrisponde un aumento della quantità di energia prodotta, e viceversa. La cosa ideale sarebbe che in futuro anche noi producessimo energia come questo orologio.


L’elettricità dal differenziale di pH

Mentre gli esseri umani discutono circa la generazione di energia nucleare, solare, a carbone, eolica e fotovoltaica, attraverso differenziali di pH i sistemi naturali generano energia a cascata in base alle esigenze di tutti i componenti. Un albero produce corrente elettrica grazie al differenziale tra il suo pH e quello del terreno. Il potenziale dell’idrogeno è un fattore importante nella formula energetica della natura perché controlla la velocità delle reazioni biochimiche. Ci riesce controllando l’intensità dell’attività enzimatica e la velocità con cui l’elettricità attraversa i corpi. Un pH più alto qualifica una sostanza o una soluzione come più alcalina, cioè con maggiore resistenza elettrica: l’elettricità viaggia più lentamente se il pH è alto e più velocemente se è basso (sostanza o soluzione acida). La batteria di un’auto è acida: nelle giornate fredde farà partire subito il motore. In biochimica, quel che è alcalino è lento: confrontate la batteria piombo-acida della vostra auto con la pila alcalina di una torcia elettrica. La seconda si scarica più lentamente. I sistemi naturali usano questa interazione di continuo, senza nemmeno ricorrere al piombo (della batteria dell’auto) o al litio (della pila per la torcia). Nelle specie viventi, a fare da porta d’ingresso per questi flussi ci sono le membrane: a volte lasciano passare gli elettroni in fretta, altre volte lentamente. È la gestione dei livelli di pH a determinare la corrente.


Elettricità dalla gravità e dalla pressione

La pressione (o, in gergo tecnico, la “piezoelettricità”) è un’altra fonte di elettricità naturale molto abbondante. “Piezo” deriva dal greco “premere, comprimere”, e la più grande fonte di compressione che abbiamo a disposizione è, ovviamente, la forza di gravità. Il peso di un albero riesce a generare elettricità esercitando pressione sulle pietre presenti nel sottosuolo. La pressione è una fonte di energia efficiente soprattutto quando agisce su materiali dalla struttura cristallina: in passato infatti sono stati usati spesso quarzi e diamanti. Il primo materiale che ha permesso di dimostrare la generazione piezoelettrica, però, è stato il sale di Rochelle, un tartrato di sodio e potassio. Vale la pena notare che questo sale è formato, a livello molecolare, da potassio e sodio: i due componenti biochimici fondamentali che alimentano il nostro battito cardiaco. Esperimenti più recenti hanno ottenuto elettricità grazie alla pressione su prodotti comuni come zucchero di canna, ossa essiccate, seta e persino legno, e mano a mano che la ricerca avanzerà verranno scoperte altre fonti di piezoelettricità.
Sebbene ancora poco sviluppate in buona parte del mondo, le applicazioni su scala commerciale della piezoelettricità hanno ricevuto un voto di fiducia da parte dell’industria giapponese. In numerosi casi esse sono entrate a far parte della nostra vita quotidiana senza che noi nemmeno ce ne accorgessimo. Il primo telecomando sfruttava una tecnologia basata sul quarzo per convertire la pressione sui pulsanti in corrente elettrica. Anche i sensori di parcheggio delle auto e l’autofocus nelle macchine reflex si basano su questa fonte di energia. Negli accendini piezoelettrici è sufficiente fare pressione su una levetta per creare una scintilla e accendere il gas. Robert Bosch, della nota casa tedesca di autoricambi, ha sviluppato il primo sistema di iniezione con tecnologia piezoelettrica: si tratta di uno dei fattori che più ha contribuito all’elevata efficienza della Volkswagen Jetta, che risulta superiore persino alla Toyota Prius (nota negli Stati Uniti per il recupero dell’energia in frenata, che permette di non sprecare quanto generato con la combustione della benzina). Se lo studio della piezoelettricità farà progressi, potremo iniziare a pensare di progettare edifici che producano elettricità sfruttando il calpestio del pavimento. Il progetto pilota di un fabbricato in corso a Torino, eletta Capitale Mondiale del Design nel 2008, prevede il posizionamento di cristalli di quarzo, abbondanti nelle Alpi, sotto i pilastri di ogni piano. Questo permette di generare elettricità proprio dove serve, convertendo direttamente la gravità in energia. La pressione esercitata dalla struttura è facile da calcolare: il potenziale è enorme e il peso dell’edificio sui cristalli potrebbe generare svariati megavolt, sufficienti per esempio ad alimentare l’ascensore del condominio.
La gravità è la nostra più grande speranza se vogliamo che la società, e i suoi edifici in particolare, diventino più sostenibili. Usare il potenziale elettrico della pressione è il miglior mezzo che abbiamo a disposizione per realizzare un modello completamente diverso di case ed edifici autonomi in termini energetici. Abbiamo descritto come, basandoci sugli stessi principi adottati dai coleotteri del Namib per raccogliere l’acqua, sarebbe possibile produrre acqua sui tetti, che potrebbe poi essere pulita da un vortice mentre la gravità la porta di piano in piano. Ora possiamo aggiungere a tutto questo l’elettricità generata non da fotocellule a film sottile che alimentano fibre di carbonio, ma dalla forza gravitazionale della struttura stessa: migliaia di volt di piezoelettricità. Che i nostri ingegneri si concentrino sulla realizzazione di questo progetto!
Queste conoscenze in campo energetico ci offrono il modo di ridurre o eliminare la domanda esponenziale di piccole batterie per apparecchi acustici, giocattoli, dispositivi portatili e cellulari. Miliardi di capitale di rischio sono stati investiti nella ricerca su batterie “usa e getta” più efficienti, ma il vero ritorno finanziario arriverà dallo sfruttamento di fonti energetiche capaci di integrarsi in armonia con la natura e di eliminare la nostra dipendenza dall’estrazione dei metalli.


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