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Editoria digitale e scrittori fai-da-te: sui “casi letterari” al tempo di Internet. Un raffronto con l’America. E dieci regole che potrebbero avere un senso.

Creato il 05 gennaio 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

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225px-Robinson_Crusoe_and_Man_Friday_Offterdingerdi Rina Brundu. Oggi mi è capitato di leggere, su un giornale di primo piano, un articolo su quelle che sarebbero le modalità di nascita di un “caso letterario” in Rete. Non nominerò il giornale né citerò l’articolo in questione per il semplice motivo che, oltre a ritenerlo una mera marchetta (il viziaccio del giornalismo italiano), l’ho trovato decisamente obsoleto e disinformato rispetto a quelle che sono le vere dinamiche che fanno vivere la scrittura online, anche in presenza di situazioni editoriali molto fortunate.

Per interesse e per lavoro seguo da anni il mercato editoriale digitale americano che è senz’altro molto maturo e, nel tempo, ha raccontato storie e “casi letterari” davvero straordinari. Non si contano ormai i lavori e i romanzi che, partendo dal più arruffato self-publishing, hanno raggiunto l’ambita Top-Ten dei più venduti del The New York Times.

Significa dunque che per partorire un “caso-letterario” basta lo scrittore-fai-da-te? No, Alpitour? Pardon… il ruolo dell’editore è diventato ormai ridondante? No! Il mio no è tonante. Se è vero infatti che ci sarà sempre la situazione dello scrittore-fai-da-te che otterrà il risultato, è anche vero che il ruolo dell’editore non è destinato a scomparire quanto piuttosto a trasformarsi. Come? A mio avviso in meglio. Essendo direttamente coinvolta in queste attività non ho alcun interesse a riportare nero su bianco le mie idee su come sarà l’editoria del futuro, ma è pur vero che alcune “regole” sulle caratteristiche tecniche della scrittura digitale vincente del futuro si può tentare di abbozzarle. Ed è pur vero che queste regole potrebbero avere un senso sia rispetto a quelli che sono i “doveri” dello scrittore sia rispetto a quelli che sono i “doveri” dell’editore:

1) L’originalità dell’opera. Non vi è “caso letterario” davvero tale (altra cosa sono infatti i libri che vendono tanto perché legati ad un nome conosciuto o grazie alle marchette di giornali compiacenti di cui sopra), che prescinda da questo tratto. Il testo prodotto deve essere originale; deve avere un elemento nuovo, una prospettiva di visione nuova che inviti il lettore a leggere. Che lo incuriosisca.

2) Il tratto geniale. Il testo deve palesare un qualche quid brillante (in forma di considerazione, di rivelazione, di battuta, di mera informazione), che porti il lettore più informato che frequenta la Rete a commentare: “’azzo questo stronzo/a ha ragione però!”.

3) La scrittura. La scrittura deve essere “giusta”. Sia quando si tratta di scrittura tradizionale (soggetto – verbo-complemento), che in questo caso dovrà fare affidamento per superare il tratto boring alla sua qualità estetica, all’uso di un’imagery appropriata ma anche di concetti sostanziali e condivisibili dai più; sia quando si tratta di scrittura innovativa, vernacolare o new-age che dovrà dunque presentare caratteristiche nuove ma appealing per il pubblico di lettori.

4) L’editing. Il primo elemento che ci fa dire che uno scrittore è alle prime armi è quando si offende perché l’editore ha “tagliato” qualche suo passaggio “ispirato”. Ecco dunque un “momento” importante dove la presenza di un editore capace fa la differenza anche in presenza di lavoro meramente digitale.

5) La strategia di marketing. È un task che dovrebbe competere interamente all’editore e che ha in sé possibilità multiple e variegate. Per certi versi è il “segreto” del dato editore alla maniera in cui la “ricetta della casa” è il segreto del ristoratore.

6) La pazienza. È un’arte che si impara e che alla lunga… premia.

7) La determinazione a fare meglio. Se c’è qualcosa di buono nella scrittura digitale è che non ti impicca al primo risultato: ci sarà sempre tempo per cambiare, tagliare, integrare, fare bene. Tutto dipende dalla “fede” nel dato progetto dello scrittore e del suo editore.

8) La determinazione a non arrendersi. È cosa diversa dall’avere pazienza: è forza, fiducia assoluta nelle proprie capacità, certezza del proprio destino; facoltà di lasciarsi scorrere addosso le critiche, le invidie, i commenti caustici degli spiriti-poveri. E per chiunque coltivasse dubbi in merito consiglio la biografia di Stephen King.

9) Lo spirito di squadra. È un fattore importantissimo: non vi è nulla di peggio di un editore che sparla del suo autore e non vi è nulla di più immorale, di più villano, di più ingrato e di più schifiltoso di un autore che sparla del suo editore, non fosse altro per il tempo che gli/le ha dedicato. Da questi elementi si misura infatti la sostanza degli uomini e delle donne e non vi è grande scrittore o grande scrittrice se dietro non vi è un grande uomo o una grande donna.

10) La possibilità di mandare a quel paese il middle-man e i suoi sgherri. Se non ci fossero mille altre ragioni per farlo, questa sarebbe di per se una ottima motivazione per benedire la scrittura digitale. Finalmente basta con le angherie dei distributori, finalmente basta con le bizze dei librai (quando non peggio – nella mia attività di editrice cartacea me ne sono capitati alcuni, di librai, che mi hanno chiesto una sorta di “pizzo”, incredibile ma vero!); finalmente basta con le bizze dei caporali, dei boss e dei bossetti dell’editoria che, sovente senza un titolo di studio che andasse oltre la terza elementare e senza nessuna formazione specifica, hanno fatto il bello e il cattivo tempo: affanc*lo!

Il tutto per dire che il know-how farà la differenza sia per lo scrittore che per l’editore e… thank God for that!!

Featured image, “Venerdì è stato appena salvato da Robinson” una scena dal Robinson Crusoe (1719) di Daniel Defoe. Defoe fu uno dei primi scrittori ad usare audaci strategie di marketing: faceva leggere parti del suo test dai condannati al patibolo, giusto poco prima di morire.

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