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Editoriale IBL – ILVA: l’esperienza non insegna

Creato il 05 gennaio 2015 da Capiredavverolacrisi @Capiredavvero

La storia dell’ILVA di Taranto è la tipica cartina al tornasole di come le inadempienze di Stato vengano addossate ai privati, salvo poi requisirne nuovamente la proprietà degli impianti. Certamente l’intera vicenda è più complessa di una simile descrizione e grande importanza hanno giocato anche le condizioni di compatibilità ambientale, ma resta il fatto che un polo produttivo con migliaia di lavoratori è stato mutilato dai conflitti tra Governo e Magistratura tanto da non renderlo più appetibile nemmeno agli investitori esteri.
In tutto questo scenario, il Governo si starebbe preparando a un salvataggio di Stato, attraverso un decreto approvato alla vigilia di Natale che però non risulta ancora di dominio pubblico.
Ci troviamo di fronte all’ennesimo intervento dello Stato con i soldi delle tasse dei cittadini, proprio in un settore dove l’imprenditoria pubblica non ha particolarmente brillato, ma come succede pressoché puntualmente quando la mano pubblica sfrutta i ponti di comando delle imprese per la distribuzione delle poltrone (si veda a tal proposito anche l’articolo Municipalizzate: fare impresa con i soldi dei cittadini).
Riportiamo di seguito l’editoriale di quest’oggi, 5 gennaio, dell’Istituto Bruno Leoni dal titolo ILVA: l’esperienza non insegna (cliccando sul titolo è possibile farne la lettura direttamente dal sito IBL).

Purtroppo i “salvataggi” di Stato, tipicamente non fanno che prolungare l’agonia di un’impresa
Venticinque anni fa, l’area industriale di Taranto veniva dichiarata dal governo ad elevato rischio di crisi ambientale. L’imprenditore che l’aveva resa tale, con i propri impianti produttivi, si chiamava IRI. Cinque anni dopo, le acciaierie Italsider venivano cedute ai privati. Le questioni sanitarie e ambientali non sono mai state occultate: altrimenti non si spiegherebbero gli accordi di programma, le leggi regionali, le informative al Governo, il divieto di pascolo che da allora si sarebbero rincorsi.

Adesso che sono prossime al collasso per i tentennamenti dei governi nazionali e regionali e le decisioni surrogatorie della magistratura, tra una proroga dei limiti di emissione di benzopirene e un sequestro, tra un tavolo tecnico e un monitoraggio, quelle acciaierie rischiano di tornare pubbliche.

Alla vigilia di Natale, il governo ha approvato un decreto che nessuno ha ancora potuto leggere, perché non ancora pubblicato. Dal comunicato stampa, si apprende che, accanto alla creazione dell’ultimo dei tavoli istituzionali, che almeno ha la decenza di assorbire i precedenti, per la bonifica e la riqualificazione di Taranto, all’ILVA sarà garantita la prosecuzione dell’attività produttiva tramite un’amministrazione straordinaria che subentrerà all’attuale commissariamento.

Sentiremo dire che l’ILVA è un’impresa “strategica”, e pertanto deve essere salvata. Una gioco di prestigio che serve a coprire una umana e comprensibile preoccupazione della politica: salvaguardare dei posti di lavoro.

Purtroppo i “salvataggi” di Stato, siano essi commissariamenti straordinari o vere e proprie rinazionalizzazioni, tipicamente non fanno che prolungare l’agonia di un’impresa, illudendo gli stessi lavoratori circa la solidità di produzioni che sopravvivono indipendentemente dalla razionalità economica – e che invece finiscono per dipendere dal calcolo razionale di chi misura perdite e guadagni col metro del consenso politico.

L’unica giustificazione razionale per affidare ora allo Stato la proprietà e la gestione dell’ILVA è il fatto che l’azienda è talmente compromessa, anche per essersi trovata in mezzo al conflitto tra governi e magistratura, che è altamente improbabile trovare un privato che voglia acquisirla.

Ma questo fatto, di per sé, qualcosa vorrà pur dire. È possibile continuare a produrre acciaio, a Taranto, in condizioni non patentemente inaccettabili sotto il profilo ambientale e sanitario? Se siamo davvero convinti che la risposta sia sì, e il vero ostacolo all’appetibilità dell’azienda sono decenni di ammuina di Stato e decisori politici, allora è il caso di chiedersi se l’intromissione dello Stato sia la soluzione migliore per restituirle credibilità.

Lo Stato acciaiere non ci ha lasciato il ricordo di una gestione particolarmente brillante, sotto il profilo imprenditoriale, e nemmeno “illuminata”, rispetto ai tanti problemi legati a questo tipo di produzione. Si merita, oggi, un assegno in bianco?

L’editoriale dell’Istituto Bruno Leoni sopra riportato è reperibile in originale alla pagina ILVA: l’esperienza non insegna.

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