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Effetto placebo: funzionamento e implicazioni

Da Psychomer
by Maria Concetta Antelmi on marzo 21, 2012

Si parla spesso e si studiano altrettanto gli effetti positivi, sia medici che  psicologici, che danno alcune sostanze inerti, cioè prive di componenti biologiche e di effetti terapeutici specifici, sul nostro stato fisico e comportamentale. Queste sono comunemente dette placebo.

Come funzionano ed in che modo l’aspettativa positiva può essere curativa?

Premettiamo che esistono punti di vista molteplici e differenti.

Da un punto di vista psicologico l’elemento principalmente collegato all’effetto placebo è l’ansia. Questa è un’emozione di base, che comporta uno stato di attivazione dell’organismo come risposta ad una situazione che viene percepita soggettivamente pericolosa. E’ una paura di fondo, che nell’essere umano si traduce in una serie di comportamenti che riflettono o l’iperattività del sistema comportamentale oppure la sua inibizione. L’iperattività è facilmente immaginabile, ad esempio tremori, sudorazione, scatti d’ira etc.. mentre l’inibizione è costituita da immobilità del tono muscolare, fuga, linguaggio difficoltoso, coordinazione difettosa, agitazione, collasso ed iperventilazione.

Da un punto di vista medico il discorso necessariamente cambia.

L’effetto placebo, secondo Thomas Furmark, potrebbe essere esteso anche ad altri disordini che coinvolgono l’amigdala, come fobie, dolori e depressione.  Per questo, insieme al suo team, dell’Università di Uppsala (Svezia), ha ricercato e scoperto il gene correlato all’effetto placebo. Il dato, che potrebbe rivelarsi fondamentale per la scienza moderna, potrà essere ufficialmente validato solo dopo ulteriori studi; ma molti sono già scettici.

Fabrizio Benedetti, dell’Università di Torino, tramite una dichirarazione a “New Scientist” ha ben spiegato (e coniugato) i differenti punti di vista: “sappiamo che non c’è un singolo effetto placebo, ma ce ne sono molti; alcuni possono lavorare attraverso la genetica, altri attraverso l’attesa di una ricompensa”.

E la risposta alla domanda iniziale?

Partiamo da un fatto: dire che l’effetto placebo è “solo psicologico” non è corretto. I dati infatti evidenziano come l’effetto placebo attivi specifiche aree cerebrali (Kong et Al. 2007; Scott et Al. 2008).

L’aspettativa positiva modifica l’atteggiamento che la persona ha verso i sintomi di cui soffre e verso la malattia che li sottende, causando la trasformazione di milioni di neurotrasmettitori nel cervello.

Se nella mente scatta la vocina:“con questa cura guarirò”, aumentano i neurotrasmettitori che mediano le sensazioni complesse di piacere e dolore, e si riducono invece quelli coinvolti nell’ansia, nel panico, nelle risposte di allarme che il cervello ha di fronte al dolore; modificando il suo funzionamento:
a) aumenta la serotonina, che regola il tono dell’umore: sappiamo che la percezione della gravità di un sintomo, e soprattutto del dolore, aumenta se l’umore è depresso e migliora se l’umore è buono;
b) aumenta la dopamina, che migliora l’energia vitale, l’assertività, l’atteggiamento positivo e la speranza: aspetto quest’ultimo difficile da quantificare, ma estremamente potente nel condizionare anche l’attività, per esempio, del sistema immunitario, attraverso sottili interazioni nervose, immunitarie e ormonali;
c) aumentano gli oppioidi endogeni, che sono i nostri analgesici naturali: questo spiega il miglioramento anche del dolore, specie nelle sue componenti psichiche di risonanza, legate all’ansia, alla solitudine ed alla depressione;
d) si riducono l’adrenalina e tutti i mediatori dell’ansia.- (tratto da www.fondazionegraziotin.org)

 


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