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Elezioni europee: analisi politica

Creato il 31 maggio 2014 da Idispacci @IDispacci

Elezioni europee: analisi politica

Continuiamo la rassegna di articoli riguardanti il voto delle elezioni europee. Nel precedente articolo è stato analizzato il dato elettorale in quanto tale, con la composizione del nuovo parlamento e dei gruppi che lo compongono, e la questione dell'affluenza alle urne.

Il risultato politico del voto europeo di domenica 25 maggio rispecchia le situazioni peculiari dei singoli stati dell'Unione e non può essere letto con un giudizio univoco, né può essere analizzato senza tenere conto del contesto politico delle singole realtà.

La Francia

Partiamo dal risultato che ha fatto più discutere, ovvero la Francia. Questa tornata elettorale è stata senz'altro la marcia trionfale di Marine Le Pen, leader indiscusso ma non solista del Front National, il partito che forse più di ogni altro coniuga patriottismo, xenofobia ed euroscetticismo.

Il voto francese è senz'altro stato influenzato molto pesantemente dalla situazione politica interna, com'è successo anche altrove. Il presidente in carica, il socialista Hollande, appoggiato anche dalla sinistra del Front de Gauche, è uscito sonoramente battuto dal voto europeo. Come succede anche in altri paesi europei e come successo al suo predecessore Sarkozy, Hollande deve pagare elettoralmente il peso di una crisi economica difficile da gestire per un paese con più di tre milioni di disoccupati che deve affrontare l'enorme pressione tedesca e della BCE per ridurre la spesa pubblica smantellando il sistema di Welfare su cui si è sorretta la Francia da De Gaulle ad oggi.
Come accaduto in Gran Bretagna, la perdita di potenza e di prestigio a livello internazionale ha probabilmente ferito l'orgoglio patriottico dei francesi, che hanno in buona misura cercato soluzioni più radicali nei confronti della crisi, trovandole in chi propone proprio il nazionalismo e la tradizione patriottica come via di uscita maestra dalla crisi.
I risultati elettorali sono noti: il Front National è primo partito con quasi il 25% delle preferenze (era al 18% nel 2012). Segue il centrodestra dell'UMP, il partito dell'ex presidente Sarkozy, anch'essi sicuramente in crisi con il 20%. I socialisti sono solo in terza posizione con il 14% scarso dei voti, mentre i loro alleati di governo della sinistra superano di poco il 6%, dietro centristi (al 9,9%) e verdi (poco sotto il 9%, in drastico calo rispetto al 16% del 2009).

La vittoria del Front National non va però addebitata solo al carisma della figlia di Jean-Marie Le Pen.
Per poter ottenere questo risultato straordinario (ancorché su una percentuali di elettori ben al di sotto del 50% del totale), il Front National ha adottato un linguaggio molto diverso da quello del suo storico fondatore. Dalla paura nei confronti degli immigrati e dal nazionalismo più retrogrado, Marine Le Pen ha spostato il discorso sui fallimenti della classe dirigente francese e sull'immobilismo del governo Hollande.
Il front National si dichiara oltre la Destra e la Sinistra classiche, e dice di voler epurare gran parte della classe politica esistente. Sono discorsi che fanno presa su un popolo disorientato e deluso dal poco coraggio del governo.
Artefice di questa propaganda è Florian Philippot, vice di Le Pen e vero paladino del rinnovamento politico francese in chiave populista e ultra-nazionalista.
La Sinistra francese ha cercato di fare quadrato in due modi: Hollande si è prefissato degli obiettivi governativi da realizzare in tempi brevi, in particolare riforme economiche a lungo rimandate e un impegno internazionale più pressante per contrastare la crisi.
Il Front de Gauche, cioè il blocco di Sinistra del governo, ha cercato di mobilitare le piazze contro il pericolo fascista rappresentato dal Front National. Invano. I socialisti, chiusi in sé stessi nel tentativo di far fronte all'emergenza, non hanno aderito alla proposta e nelle piazze francesi, giovedì 29 maggio, si sono raccolte poche migliaia di persone.
È amaro constatare che lo shock provocato dalla vittoria di Jean-Marine Le Pen al primo turno delle presidenziali del 2002 aveva portato in piazza quasi un milione e mezzo di francesi.

La Gran Bretagna

Altro paese il cui voto europeo fa molto discutere è il Regno Unito, dove a pagare il prezzo più alto è invece il blocco di centrodestra. Anche qui, il governo presieduto da David Cameron ha subito una netta sfiducia da parte dell'elettorato. In questo caso però è stata soprattutto l'ala di centrodestra ( Cameron governa insieme ai liberali in un contesto di larghe intese) a subire lo smacco più eclatante.
In particolare, crollano disastrosamente i liberal-democratici, gli alleati più importanti di Cameron, che passano dal 23% delle politiche del 2010 al 6,7%, scivolando alle spalle dei verdi.
Anche i conservatori vengono fotografati in piena crisi; calano infatti dal 36% del 2010 al 23%. Questi dati, sommati al trionfo dell'UKIP e alla tenuta dei laburisti indicano la coalizione di governo come la vera sconfitta di questo voto europeo.
Quello che è considerato vincitore indiscusso da tutti gli analisti è sicuramente l'UKIP, il partito indipendentista, ferocemente critico nei confronti dell'Unione Europea e moderatamente intollerante nei confronti degli immigrati su suolo britannico (il presidente dell'UKIP Nigel Farage a una settimana dal voto si espresse criticamente nei confronti degli immigrati rumeni, sostenendo che creassero bande criminali e dicendosi preoccupato dall'idea di poter avere dei

vicini di casa rumeni). Questo partito, già forte nelle europee del 2009 (dove prese il 16% sorpassando i laburisti) ma inconsistente alle politiche del 2010 (dove raccolse il 3% dei consensi), sfonda infatti la soglia del 26% attestandosi come primo partito e minando quell'equilibrio sostanzialmente bipolare (ma già messo in crisi dai liberal-democratici) che ha caratterizzato la storia britannica fin dai suoi albori.

Nigel Farage, leader dell'UKIP e già presidente del gruppo euroscettico populista EFD (Europa della Libertà e della Democrazia) insieme al leghista Francesco Speroni, intende cavalcare l'onda di questo successo per vincere anche il referendum sull'indipendenza della Scozia che si terrà il 18 settembre 2014.
Se il referendum passasse, oltre ai problemi economici (il governatore della Banca d'Inghilterra Mark Carney annunciò il febbraio scorso che se la Scozia intendesse mantenere la sterlina dovrebbe cedere all'Inghilterra il diritto di veto sul bilancio nazionale), provocherebbe forse la fine del bipolarismo inglese, visto che la Scozia è un importante serbatoio di voti sia per i laburisti sia per i liberal-democratici (il crollo di questi ultimi è infatti spiegabile anche con la migrazione del voto scozzese di destra verso l'UKIP).
Insomma il risultato potrebbe essere sul lungo termine devastante per gli equilibri politici della Gran Bretagna.

La Germania

Stabile economicamente sia politicamente. Questo sarebbe forse un ritratto abbastanza appropriato per la Germania, paese trainante dell'economia europea, prima nazione ad aver tratto vantaggi dalla combinazione euro/ industrializzazione/apertura delle frontiere.
Per chi fosse interessato, ci eravamo già occupati delle elezioni tedesche del settembre 2013, e un paragone può tornare utile.
Il paese retto da Angela Merkel vede infatti ancora il dominio della democristiana CDU/CSU con il 35% circa delle preferenze (era il 30% nel 2009 e il 42% nelle politiche del 2013).
Sicuramente un nuovo successo per la cancelliera paladina dell'austerità, ma pagato con il giusto prezzo. Gli alleati liberali del FDP, infatti, veri fautori della rigidità tedesca in materia economica, dopo il tracollo delle politiche del 2013, confermano la propria posizione poco rilevante con il 3,4% dei voti. Se a settembre il voto liberale era in gran parte migrato nella CDU, adesso è possibile che sia confluito almeno in parte nel partito populista e antieuropeista Alternative Für Deutschland, che ha raggiunto il 7% conquistando 7 seggi.

I principali alleati di governo della Merkel, i socialdemocratici guidati da Sigmar Gabriel, sono arrivati invece a superare il 27%, in crescita sia sulle europee del 2009 (quando erano al 20%) sia sulle politiche del 2013 (dove si attestarono al 25%). Si tratta di un ottimo successo per i socialdemocratici, considerando il timore più che fondato di perdere voti a causa della propria alleanza con Angela Merkel.
L'ottimo risultato dei Verdi rispetto alle elezioni politiche dell'anno scorso è anch'esso ascrivibile a ragioni di politica interna: la candidata alla presidenza della Commissione Europea era la giovane tedesca Ska Keller.
Deludente è invece la prestazione della Linke, la Sinistra tedesca, che invece si ferma al 7,7%.
Al di là delle percentuali, il voto tedesco non segna nessuno sconvolgimento di rilievo rispetto alla situazione delineata nelle politiche del 2013. La coalizione di governo esce invece tutto sommato convalidata da questo suffragio, probabilmente anche qui per ragioni di politica interna: la decisione socialdemocratica di introdurre il salario minimo di 8 euro orari si è rivelata molto popolare e ha impedito alla Sinistra di sfruttare elettoralmente la critica le larghe intese tra socialdemocratici e democristiani.

E proprio l'SPD ha fatto sentire il proprio peso sulla cancelliera anche in merito all'elezione del candidato per i popolari europei Jean-Claude Junker, una scelta forse poco popolare ma che rafforza il potere decisionale del Parlamento Europeo a discapito del consiglio dei capi di stato, organo informale finora decisivo nella stesura delle strategie economiche europee.

Qualche nube scura però è nascosta anche nel panorama tedesco. Oltre agli euroscettici dell' Alternative Für Deutschland, davvero poco spiegabili in un paese che ha avuto tutto da guadagnare dall'Unione, l'elezione di un eurodeputato dell'NPD, partito universalmente riconosciuto come cripto-nazista, fa riflettere sullo spirito di intolleranza che aleggia anche in paesi considerati ormai immuni dalla piaga del razzismo.

La Spagna

La penisola iberica vede un successo generalizzato delle formazioni di Sinistra, in Portogallo (tradizionalmente di Sinistra) ma in particolare in Spagna.
Qui, nonostante il Partito Popolare del premier Rajoy sia ancora in testa, perde più di un terzo dei voti rispetto alle elezioni politiche del 2011, passando dal 44,6% al 26%. Si tratta di più di una semplice bocciatura di un governo in carica a causa del dilagare della crisi economica.

Il governo Rajoy infatti, oltre ad aver attuato le riforme liberiste proposte dalla BCE come unica alternativa al commissariamento economico, ha approvato leggi sociali decisamente reazionarie come quella che rende l'aborto nuovamente illegale salvo in caso di violenza carnale o di grave pericolo di vita per la madre. Questa proposta, che ha spaccato lo stesso Partito Popolare, ha portato ad un'ampia mobilitazione sociale nei confronti di quella che è stata bollata dai più come una controriforma.
I primi a captare i frutti di questa vasta mobilitazione popolare sono stati i partiti di Sinistra.

Un calo meno vistoso di quello del PP riguarda anche i socialisti, che scendono dal 28,7% al 23%. Ma questa diminuzione del peso dei socialisti, poco credibili in Spagna dopo il fallimento delle politiche economiche di Zapatero, è compensato dal successo di due liste di Sinistra: la Coalizione della Sinistra Pluralista (o IP, che sfiora il 10%) e il Partito per la Democrazia Sociale (PoDemoS, quasi all'8%).
La prima è una coalizione di Sinistra radicale in senso classico, che ha guadagnato molto consenso grazie alla propria opposizione dura alle politiche economiche e sociali del governo Rajoy.
Il secondo è un soggetto politico liberamente ispirato al partito bolivariano che in Venezuela sostiene il presidente Maduro, più euroscettico e più apertamente "anticasta" rispetto alla Sinistra tradizionale.
In generale, anche in Spagna il primo ministro Rajoy dovrà aprire un dibattito interno e dovrà procedere ad una seria autocritica: considerando quello europeo come un voto di metà mandato, l'esito delle prossime elezioni legislative spagnole potrebbe riservare sorprese.

La Grecia

Un altro risultato elettorale degno di nota è sicuramente quello greco. Nel paese più funestato dalle misure draconiane imposte dalla Troika, il voto per il parlamento di Bruxelles ha assunto il connotato di un grido di dolore, di un vero e proprio giudizio sulla propria sopravvivenza e sulle proprie aspettative nei confronti dell'Europa.
Era facile aspettarsi che le scelte economiche decisamente discutibili imposte dalla BCE portassero ad un voto di questo tipo. L'affluenza alle urne è stata infatti piuttosto alta rispetto alla media europea, superando il 58%.

La vincitrice di questa competizione è la famosa coalizione di Sinistra radicale Syriza il cui presidente, Alexis Tsipras, era anche candidato alla presidenza della Commissione Europea.
Tuttavia la vittoria della Sinistra radicale non è stata schiacciante come avevano sperato i suoi sostenitori. Syriza scavalca il partito di governo Nuova Democrazia di Antonis Samaras (che cede un quarto dei voti rispetto alle politiche del 2012), ma non riesce ad aumentare oltre la soglia del 26% già raggiunta nelle elezioni parlamentari del 2012, le ultime che la Commissione Europea fu disposta ad accettare prima di imporre un totale commissariamento del paese.
Sembrerebbe dunque che Syriza abbia esaurito la propria spinta elettorale, che sembrava inarrestabile fino a pochi mesi fa. Probabilmente ha dovuto pagare il fatto di essere sostanzialmente favorevole al progetto dell'Europa Unita, e di voler riformare l'Unione senza però uscire da essa (è interessante notare come i sostenitori italiani di Tsipras siano stati frettolosamente bollati dai media come euroscettici).
L'analisi dei flussi elettorali non è semplice, ma si può immaginare che dai partiti governativi gli elettori si siano spostati soprattutto verso i soggetti più radicali o verso partiti nuovi.

In Grecia perdono infatti disastrosamente i partiti di governo, in particolare i socialisti del Pasok e i democratici di sinistra, oltre alla già citata Neo-Democrazia. Al contrario, guadagnano voti due partiti che dichiarano di voler perseguire, sebbene per vie molto diverse, un'uscita dall'Euro. Si tratta dei comunisti del KKE (al 6%) e della neonazista Alba Dorata, artefice di attentati e azioni squadriste, che con il proprio 10% si pone come terzo partito ellenico.
Anche in Grecia spunta un movimento che si dichiara estraneo alle logiche parlamentari di destra-sinistra. Si tratta de "Il Fiume" (To Potami), fondato a inizio 2014 dal giornalista Saturos Theodorakis, che qualcuno paragona a Beppe Grillo, ma che al contrario del comico italiano è decisamente europeista. Questo soggetto nuovo guadagna il 6%, raccogliendo consensi forse proprio dai partiti di centro-sinistra. Ha eletto due deputati che sono confluiti nel gruppo europeo socialdemocratico S&D.

I gruppi parlamentari europei

Il caso macroscopico del Movimento Cinque Stelle in Italia evidenzia le difficoltà politiche nella composizione di coalizioni parlamentari a livello europeo.
Come noto, i socialdemocratici, i popolari e i liberali andranno a comporre un governo di larghe intese, come già avvenuto nel 2009. La differenza principale, a livello numerico, è che adesso le coalizioni che compongono il governo sono decisamente meno forti che nel 2009 (quando avevano 553 eurodeputati su 766, contro i 467 su 751 attuali).
Inoltre i partiti anti-europeisti incalzano, nella maggior parte delle nazioni i partiti di governo appaiono in difficoltà, con la vistosa eccezione dell'Italia, che però fa caso a sé e della quale si parlerà nel prossimo articolo.
Naturalmente per molti partiti, soprattutto di governo, aderire all'alleanza di governo che sostiene la Commissione Europea può comportare gravi scompensi interni.
Non c'è dubbio che le alleanze a livello europeo ricalchino anche problematiche di politica nazionale. Il Front National non ha ad esempio voluto affiliarsi a nessun gruppo parlamentare per conservare intatta la propria credibilità patriottica. Altrettanto faranno Alba Dorata e altre formazioni minori.
Non c'è dubbio però che l'incisività di queste formazioni all'interno del Parlamento Europeo sarà notevolmente ridotta.

Nel prossimo articolo esporremo le conseguenze politiche del voto europeo in Italia.

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