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Elezioni politiche in Kuwait: riforme o caos?

Creato il 03 febbraio 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Giuseppe Dentice

Elezioni politiche in Kuwait: riforme o caos?Ieri, 2 febbraio, al termine di una campagna elettorale contrassegnata da tensioni e violenze, si è votato in Kuwait per l’elezione dell’Assemblea Nazionale. Elezioni anticipate nelrentier State del Golfo a causa del vasto scandalo per corruzione che ha coinvolto l’intero governo e la famiglia reale al-Sabahche guida uno dei Paesi strategici dell’area mediorientale e terzo produttore, per quantità, di petrolio del cartello OPEC (3 milioni di barili al giorno secondo i dati dell’Economist Intelligence Unit).Le elezioni parlamentari concederanno l’assegnazione di 50 dei 65 seggi dell’Assemblea Nazionale (Majlis al-Umma), il Parlamento monocamerale kuwaitiano; i restanti 15, invece, non sono eleggibili in quanto vengono direttamente nominati dalla famiglia reale. Secondo i dati ufficiali diffusi dalla commissione elettorale del governo, la vittoria è andata alla piattaforma di opposizione – che raggruppa al suo interno forze islamiste, liberali, laiche e attivisti per i diritti umani – la quale ha ottenuto 34 seggi: gli islamici sunniti si sono aggiudicati 23 seggi, mentre i liberali ne hanno ottenuto due e le forze sciite 7. Nella nuova Camera, inoltre, non siederà alcuna donna.Il precedente Parlamento ero stato sciolto, lo scorso 6 dicembre, dallo Sceicco Sabahal-Ahmed al-Jaber al-Sabah in seguito alle dimissioni del Primo Ministro Nasser Mohamed al-Ahmed Al-Sabah, in carica ininterrottamente da sette mandati. Da mesi, infatti, le opposizioni denunciavano la gravissima corruzione imperante nel governo e la necessità di un maggiore riformismo politico ed economico per far ripartire il Paese.Sebbene il Kuwait sia una sorta di pioniere tra le conservatrici petromonarchie delGolfo (nel 1962 ha introdotto, primo fra tutti, un modello di democrazia parlamentare e, nel 2005, il diritto di voto alle donne), i propri cittadini hanno chiesto allo Sceicco al-Sabah una maggiore democratizzazione del Paese, la creazione di un sistema multipartitico, una nuova Costituzione e più rispetto per i diritti delle minoranze.Infatti, il potere decisionale nel sistema politico kuwaitiano é di fatto deciso e gestito dagli stessi membri della famiglia reale. Nel Paese non è ammessa la presenza di partiti, anche se esistono di fatto alcune formazioni politiche indipendenti dalla casa regnante. Ma negli ultimi mesi, anche come riflesso del confronto settario emergente in tutta la regione mediorientale, a tener banco è la questione delle minoranze e degli scontri avvenuti tra sunniti e sciiti.Circa il 10% della popolazione, ossia 400 mila cittadini su 3.8 milioni di residenti hanno il diritto di voto nel Paese. Sono escluse dalla vita politica, invece, le minoranze e le generazioni di immigrati per i quali ottenere la cittadinanza è molto complicato a causa di una contorta burocrazia nazionale che fa si che vengano considerati dalla legge come stranieri (sono ben il 68% della popolazione totale). Le tribù beduine possono, in accordo con la casa regnante, partecipare alla vita politica tramite elezioni dette “primarie”, che si svolgono nei cinque distretti dell’emirato. Gli sciiti (il 30% della popolazione), invece, in analogia a molti Paesi del Golfo, sono discriminati in molti frangenti della vita pubblica kuwaitiana, ma non esclusi dalla vita politica.La vittoria delle opposizioni potrebbe, dunque, ridefinire le strategie della casa regnante con il rischio di innescare nuove tensioni in un Paese già paralizzato dal punto di visto politico-economico e che, al momento, cresce meno rispetto ai propri partner della regione. Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), negli ultimi 5 anni il Kuwait è cresciuto del 2,6%, contro il 4,2% degli Emirati Arabi Uniti, il 5,7% del Bahrein e il 18% del Qatar.Secondo numerosi analisti locali ed internazionali, l’eterogeneità politica e culturale del nuovo governo rischia di far implodere fin da subito l’attività dell’esecutivo e di incrementare le tensioni già esistenti. Infatti, le questioni tribali-familiari e le minoranze etnico-religiose non aiutano a creare un fronte compatto delle opposizioni nella sua futura attività di governo e, pertanto, potrebbe aprire la strada a possibili destabilizzazioni interne dettate da fattori politici esogeni provenienti più, precisamente, dal vicino Iran.Non a caso, il ritiro statunitense dall’Iraq ha allarmato non poco il Kuwait anche a causa dei suoi pessimi rapporti diplomatici con la Repubblica sciita iraniana. Attualmente, in Kuwait risiede la più grande base USA nel Golfo ed è considerato da Washington un avamposto strategico, soprattutto dopo le recenti tensioni con l’Iran sullo Stretto di Hormuz. Anche se può contare sull’appoggio militare delle corone amiche del GCC (Gulf Cooperation Council) e degli Stati Uniti, il timore di una destabilizzazione nello Stato del Golfo da parte iraniana è molto sentito nel Paese. Dopo i violenti scontri tra forze dell’ordine e manifestanti di questi mesi, il governo e lo Sceicco stesso hanno più volte gridato al complotto iraniano e più precisamente ad una sempre più pressante intrusione di Teheran nella vita pubblica dello Stato del Golfo.Ecco, dunque, che una situazione di instabilità in un Paese così strategicamente importante potrebbe verosimilmente contribuire a favorire e ad acuire le tensioni geopolitiche dell’area. Così come fu negli anni ‘90, il Kuwait potrebbe tornare ad essere un’incognita nella mappa della sicurezza regionale.* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)

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