Magazine Diario personale

Emmaus.

Creato il 20 novembre 2012 da Tazzina @tazzinadi

Emmaus.
Emmaus.
Emmaus.
Ecco, dicevamo, a proposito delle differenze tra avere un blog e scrivere su un giornale vero. 
Ce n'è una che mi consente di tornare adesso, volentieri, senza scadenze, senza remore, a parlare con una discretissima fierezza di Baricco, mentre sono certa che un eventuale direttore di giornale alla settecentesima volta in cui parli di Baricco o sei Baricco, o sei licenziata. 
Sempre che esista ancora il concetto di "lavoro", là fuori. E dunque, il suo opposto; giacché il significato di molte cose è esploso ultimamente, come in Zabriskie Point, e siamo qui a vedere i cocci per terra. 
O comunque, se non è proprio così semplice come la faccio io, (e so bene che potrebbe non esserlo, anzi) non ditemelo, non lo voglio sapere, voglio illudermi che va bene, che venite qui per me, perché mi volete bene, perché siete curiosi di ascoltare i miei pensieri, perché volete sapere ciò che penso dei libri e perché avete dieci minuti liberi ma soprattutto perché tutto ciò ha un senso, la mia vita ha un senso, questo blog ha tantissimo senso. Se mi sbaglio, per favore, dai, non fatemelo capire. 
Almeno non questa sera.
Si diceva: Emmaus. Chi mi vuol bene e viene qui a leggere per sapere come me la passo, malgrado le incombenze della vita, sa quanto io ami Baricco. Ma non è proprio amore, è più voglia di qualcosa di buono. Scherzo. Volevo dire che è qualcosa che travalica tutto. 
E i motivi sono tanti. Il più semplice, quello che ho già accennato annoiando qui un bel po' di volte, e senz'altro comprensibile ai più, è che se tu sei una studentessa del classico (dai gesuiti, tengo a precisarlo, perché c'entra con Emmaus) una che sta iniziando a crescere con i libri, che i libri nel mentre stanno iniziando a crescere dentro di lei, e a vivere una sua infinitesimale e tormentatissima vita interiore, esci da scuola con il tuo zainetto Invicta e le Clarks sempre slacciate, prendi il tram numero 18, vai all'Auditorium del Lingotto a Torino, ti siedi sulla seggiola e vedi cose simili a questa, e questa, e questa, e infine questa, o altre che vi consiglio di scoprire o riscoprire perché sono piene di strano e immutato fascino, sfido a non cadere, letteralmente, in una sorta di incantesimo perenne, per la vita. Nemmeno in un romanzo di Murakami si suscita una simile malia. Inutile ostinarsi a resistere stolidamente a tutto questo, giudicando per il bieco gusto di farlo.
Ma in generale sfido chiunque, specie i detrattori di Baricco (non avete idea delle mail che mi arrivano dopo averlo adulato citato a Librinnovando, non aggressive, direi, ma buffe: suscita sempre reazioni fortissime anche nelle piccole cose, come può essere la mia esperienza, e tutto ciò è incredibile, fa riflettere sulla natura umana!); sfido chiunque allora a rifare quelle cose in quel modo, a restituire i libri al mondo, l'opera, la musica, i classici ai giovani, agli occhi e alle orecchie di tanta gente con quella ispirazione, con quello splendore, che poi a riguardarlo nemmeno era splendore, c'era molta umanità che non avevo capito allora, perché, appunto, vedevo solo lo splendore. Sì, erano anni diversi, lenti, era tutto diverso, è stato giusto crescere, cambiare. Ma ora che ci penso in una cosa Baricco non è mai cambiato, almeno a giudicare dai video delle sue ultime apparizioni: quelle improbabili magliette bianche oversize a girocollo: ma perché, perché? Pazienza: a parte ciò, tutto ora è cambiato.
E pur tuttavia basta un click, e quelle cose si riaccendono, come le luci di Natale.
E non sono solo sensazioni, sono saperi antichi tramandati in uno stato di grazia mai visto né prima né dopo, bisogna riconoscerlo. E in tema di luce, una cosa che non avrei mai immaginato sono proprio le nuove diottrie di cui è stata in grado di dotarmi la vita dopo tutto questo tempo. Tante cose sono cambiate, tutto cambia etc., ma Baricco in fondo è ancora lì che scrive dei libri e parla molto, specie negli ultimissimi tempi, e io onestamente sono ancora qui che, con pazienza, cambio lenti, provo ad averne cura, ne ho cura, e vedo improvvisamente cose diverse. Poiché tutti sanno che dove c'è luce c'è anche ombra, ed eccoci qua. 
A Emmaus. Una parentesi che c'entra poco, ma mi piace, è che nella Cena in Emmaus di Caravaggio c'è il dettaglio pittorico più interessante che conosco, guardate qui. E il nome prende forma proprio da quel fatto biblico lì.
Ma torniamo a noi. Emmaus. L'ho letto qualche sera fa, l'avevo tenuto per ultimo, sapendo che sarebbe stato destabilizzante. Era uscito in un periodo complicato per me, difficile. Da tempo avevo smesso di leggere libri e stavo ricominciando, non potevo ripartire con Baricco. 
Infatti si è rivelata una lente diversa per osservare tutti gli altri, proprio tutti, tranne forse i saggi, ma magari anche quelli, di sicuro Oceano Mare. Chi si è stolidamente convinto che il mondo di Baricco sia un mondo sognante, ingentilito non credo abbia letto con calma, o abbia compreso tutto (non che io abbia compreso tutto, tutto eh) e comunque non ha letto Emmaus
Altra cosa che non si potrebbe fare su un giornale vero, ma nemmeno su un blog che aspira ad assomigliarvi o ne è un satellite, è parlare a oltranza dei fatti propri. 
Dunque ciò che a una prima istanza mi ha colpita di questo libro, dopo il titolo, è invece proprio l'analogia spaventosa, spaventosa, con la mia vita, con i fatti miei. Vita mesta, ma forse per questo piena di indefinibili, conturbanti emozioni, nella stessa città, mai nominata, che è Torino, credo cinque o sei anni prima che nascessi. Lo stesso habitat solo all'apparenza granitico, quella classe sociale lì, le stesse tende verdi, gli stessi silenzi, le stesse luci e le stesse ombre. (Per capire ancora meglio ciò che farnetico, c'è questa intervista qui). 
E poi, i preti. Quel sentire, quella vena di violenza silente a volte, di quell'essere che è profondamente, inesorabilmente cattolico e inesorabilmente torinese e che è inconfondibile e a volte spietato. Il volontariato, per me era al Cottolengo, un universo parallelo al nostro, popolato da creature di fantasia, da fantasmi assoluti, con le vecchiette bloccate in quegli stessi letti, a fare le stesse cose. Non riesco a dimenticarle più nemmeno io, è impossibile. A me capitava, a differenza del protagonista (senza nome) del romanzo, di sentirmi sì "piena", sì forte e migliore, ma anche disperata. Piangevo molto, non riuscivo poi a tornare bene nelle mie minuzie da adolescente, mi massacravo di pietà, di sensi di colpa. C'è da dire che queste vecchiette versavano in condizioni davvero inumane. Ma a parte questo, stessa musica. 
I ricchi, anche. Quel modo di osservarli brillare sia da vicino che da lontano, nella mia scuola ad esempio c'erano un sacco di persone come quelle del libro, e io ne ero stregata e respinta al tempo stesso, ma facevano più o meno quelle cose lì, che mi parevano sempre un miraggio. E le amicizie che si sgretolano, che si trasformano in triangoli (anche se ciò che accade a un certo punto nel libro in verità poi io non ero capace nemmeno di immaginarlo), le feste in cui ti senti idiota, le feste eccitanti in cui non sai se c'entri o non c'entri. La preghiera. Il bisogno di una qualche bontà superiore, una spiritualità mistica, una sicurezza; il coraggio. La tristezza nera, che non ha un nome, non ha mai il suo nome. L'amore che non è mai amore, non ha mai nome, mai. 
Poi ho pensato. Che sia Torino che fa questo effetto? Città magica. Città che può far paura, città bellissima, tremenda. Che sia la nebbia a custodire così tanti misteri? Non lo so, ma ho capito, si capisce, perché poi questo scrittore, per lo meno nei libri, abbia rincorso sempre ben altre atmosfere, come dargli torto? Anzi, meno male.
"Così, tagliati fuori dal tragico, riceviamo in eredità la bigiotteria del dramma - insieme all'oro zecchino della fantasia".
L'oro zecchino! La fantasia. Certo, senza Emmaus però mancava un tassello. Si è detto che c'è un prima e un dopo, però io non ne sono così sicura. Tanto non sono una critica, posso dire di tutto un po'. Per me invece non è detto affatto che Baricco continuerà su questa strada qui. Magari torna ai luoghi lontani, alle contee. Magari invece resta qui, a casa. O smette di scrivere o scrive invece più spesso, "come avere un blog". Chi può dirlo. 
Poi, che altro aggiungere? Si potrebbe forse dire dello "stile" di Baricco. Che non è un pleonasmo! Lo stile sporco, emotivo, che si alterna come un imprevisto a tratti di rigore adamantino? No. Meglio lasciar perdere.
Questo in fondo è solo un blog. Per quanto mi riguarda, solo una sorta di cesta dei giochi, in cui riporre gli oggetti più belli, cui tengo di più, che vorrei poi ritrovare domani uguali. Niente di più. Anche se, ripensando alla mia cesta dei giochi di vimini vera di quando ero bambina, non riesco però a immaginare niente di più amato e inestimabile. Basta, mi si è spezzato il cuore scrivendo. Buonanotte.

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