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Eni e Finmeccanica, eccellenze italiane

Creato il 04 febbraio 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Eni e Finmeccanica, eccellenze italiane

Eni e Finmeccanica sono due aziende italiane che rappresentano dei veri e propri punti di eccellenza a livello europeo e mondiale. La prima, nota soprattutto per le vicende che coinvolsero Enrico Mattei negli anni ’50 e ‘60, opera in particolare nel campo del petrolio e del gas naturale, attraverso attività di ricerca, commercio e sviluppo che coinvolgono all’incirca 90 paesi e 78.000 persone. Si tratta della prima società per capitalizzazione a Piazza Affari, con un rendimento pari a circa il 6% annuo. La sua importanza, però, va oltre le sole logiche del mercato, in quanto Eni ha da sempre dovuto confrontarsi su scala globale con concorrenti importanti, rappresentando spesso gli interessi italiani nello scacchiere geopolitico. Pensiamo ad esempio alla sfida delle cosiddette “sette sorelle” in ambito petrolifero o agli interessi in campo nel recente conflitto in Libia.

Per quanto riguarda Finmeccanica il discorso di fondo è simile. Siamo in presenza di uno dei pochi colossi dell’industria italiana a partecipazione pubblica, che opera nei settori dell’aerospazio, della difesa, della sicurezza, dell’energia e dei trasporti civili. Con il suo imponente complesso di partecipate e controllate (come Agusta Westland), si è affermata quale fiore all’occhiello dell’intelaiatura industriale del paese, potendo contare su circa 73.000 dipendenti e ricavi per decine di miliardi di euro. E’ un agente strategico fondamentale per la proiezione estera dell’Italia, difficilmente eguagliabile sul piano della ricerca, dello sviluppo e dell’alta tecnologia in ogni ambito di riferimento.

Entrambe le società però, sono note al grande pubblico anche per via delle inchieste della magistratura che hanno visto protagonisti diversi dirigenti, dagli anni passati fino ad oggi. Il caso più eclatante ha riguardato l’indagine per frode fiscale e false fatturazioni per operazioni inesistenti che coinvolse nel 2011 il presidente di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini, che proprio per questo dovette lasciare l’incarico (con buonuscita di 5,5 milioni euro). Anche il suo successore, Giuseppe Orsi, si vide accusato  di corruzione internazionale, concussione e peculato per presunte tangenti che sarebbero state pagate per la vendita di 12 elicotteri al governo indiano. Le indagini sono andate di pari passo con le richieste di privatizzazione di Finmeccanica ed Eni che, da qualche anno a questa parte, costituiscono il leit-motiv della classe politica italiana, in particolare dei cosiddetti “tecnici”. Le due aziende infatti, sono due spa all’interno delle quali il governo italiano (attraverso Ministero del Tesoro e Cassa depositi e prestiti) detiene la maggioranza e il potere decisionale. Anche l’attuale ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha manifestato con forza la stessa volontà, seguito a ruota dal premier Enrico Letta. Un progetto che, per i motivi elencati in apertura, appare poco vantaggioso e suicida dal punto di vista della sovranità nazionale, sebbene ovviamente non manchino nelle due aziende settori in difficoltà economica e preoccupazioni derivanti dall’attuale crisi.

Quindi, proprio per via dell’importanza politica e strategica di queste due società, è oggi più che mai fondamentale capirne le strategie e lo stato di salute, per provare ad ipotizzare un futuro che inevitabilmente coinvolgerà l’Italia intera.

Eni

Uno dei primi paesi che viene in mente a proposito di Eni è la Libia, dove a partire dalla guerra iniziata nel febbraio 2011 lo scenario si è fatto caldo e incerto. A seguito del crollo del regime guidato dal colonnello Gheddafi, con il quale l’azienda e il governo allora guidato da Silvio Berlusconi avevano firmato una serie di vantaggiosi accordi, alcuni paesi (Francia in primis) hanno tentato di scalzare la nostra posizione di interlocutori privilegiati del paese africano, da cui importiamo considerevoli quantità di gas e petrolio. D’altro canto, non sono una novità gli “attacchi” sul piano geopolitico che diverse potenze, come Inghilterra e Usa, hanno spesso scagliato verso l’Italia e ogni sua iniziativa economica indipendente, in particolare nel Mediterraneo. Un’attenta lettura delle posizioni emerse nel caso “wikileaks” è solo l’ultimo esempio. Di conseguenza, nello scenario libico l’Eni appare oggi notevolmente indebolito, secondo le parole dello stesso amministratore delegato Paolo Scaroni pronunciate il 28 novembre nel corso del ‘World Energy Outlook 2013′. Per di più, il perdurante caos istituzionale del paese aggrava la situazione: il 6 novembre la centrale di Mellitah (punto di partenza del cosiddetto greenstream che raggiunge la Sicilia), posseduta in joint venture con l’azienda locale Noc, ha subito un attacco da parte dei berberi, circostanza che sta frenando il flusso di esportazioni di gas in Italia. Intenzione dei rivoltosi sarebbe quella di bloccare ogni tipo di approvvigionamento verso l’Italia. Dalla Libia arriva circa il 15% dei nostri idrocarburi, e la serietà della situazione è quindi facilmente immaginabile.

Anche i sommovimenti politici in Nigeria, altro paese importante nelle strategie Eni, non fanno dormire sonni tranquilli alla società. In più, qui l’ente deve fronteggiare le pesanti accuse di gravi danni arrecati dai suoi stabilimenti a persone ed ambiente (formulate da ong come Amnesty International), e nuove  accuse di corruzione. Nonostante queste due situazioni spinose, l’Africa rimane centrale nei piani di sviluppo di Scaroni. L’azienda è presente in questo continente sin dagli anni ’60, ed è operativa in progetti di esplorazione e produzione in Angola, Ghana, Gabon,  Repubblica Democratica del Congo, Togo, Kenya e Liberia. Le ultime mosse hanno riguardato in modo particolare Congo e Mozambico. Nel primo caso l’Eni ha siglato un importante accordo con la compagnia di Stato congolese Société Nationale des Pétroles du Congo (SNPC). Con essa esplorerà congiuntamente il potenziale di idrocarburi del blocco Ngolo, che fa parte del bacino geologico della Cuvette ed e’ situato circa 350 chilometri a nord est dalla capitale Brazaville, su una superficie di oltre 16 mila chilometri quadrati. Le attività esplorative si svolgeranno lungo un periodo di 10 anni utilizzando le più sofisticate tecniche di prospezione, di telerilevamento e geofisiche. Il bacino della Cuvette, finora poco esplorato, rappresenta uno dei nuovi temi di frontiera dell’esplorazione in Africa. Accanto a questo progetto a lungo termine, spiccano le attività in Mozambico. La recente scoperta del più grande giacimento di gas della storia della compagnia in questo paese, ha portato una decisa intensificazione dell’impegno nella zona. L’obiettivo è quello di sfruttare al massimo le potenzialità del “prospetto esplorativo Agulha”, dove è stata fatta la scoperta, per trarre nuova linfa verso il rilancio della produzione.

Una parte di capitali necessari all’impresa deriva da una recente cessioni di Eni, quella della quota del 60% detenuta nella società Arctic Russia (che detiene 49% di Severenergia, titolare di quattro licenze di esplorazione e produzione di idrocarburi nella regione dello Yamal Nenets) a Yamal Development, società paritetica tra Novatek e GazpromNeft. Nonostante questo disimpegno, la Russia rimane uno dei partner principali dell’Eni, da cui l’Italia importa ingenti quantità di gas naturale. Il nodo principale è quello rappresentato dal completamento del gasdotto South Stream, attraverso il quale Putin vuole far arrivare il gas in Europa (e in Italia) “bypassando” l’inaffidabile Ucraina e attirandosi quindi le rimostranze americane. Eni è impegnata fortemente in questo progetto, la cui conclusione è prevista nel 2015 e da cui dipenderà una discreta parte del nostro futuro energetico e politico. Le collaborazioni con colossi russi qualiGazprom e Rosneft non finiscono qui. Tra le più importanti vi sono quelle relative alla costruzione del gasdotto nordeuropeo Nordstream e altre due nell’offshore russo del Mare di Barents (licenze di Fedynsky e Central Barents) e del Mar Nero (licenza di Western Chernomorsky), bacini promettenti in cui la compagnia sta avviando attività esplorative. Questi, come molti altri accordi economici, sono stati confermati anche dal presidente Letta, nella recente visita di Putin in Italia, per la soddisfazione di Scaroni.

L’Amministratore Delegato del gruppo continua allo stesso tempo a muoversi verso progetti importanti per diversificare le fonti di fornitura. All’ordine del giorno vi è la questione della costruzione della Tap (Trans Adriatic Pipeline),  che dovrebbe portare gas naturale dall’Azerbaijan all’Italia tramite Grecia e Albania. Questo progetto di Gasdotto Trans-Adriatico prevede la realizzazione di un nuovo metanodotto di importazione di gas naturale dalla regione del Mar Caspio all’Europa, lungo circa 870 km, con approdo sulla costa italiana,  nella provincia di Lecce. Numerose sono state le critiche da parte di partiti politici come Sel e comitati cittadini, riguardanti l’impatto ambientale dell’opera e le presunte attività di corruzione che coprirebbe. Comunque, a prima vista, il progetto appare politicamente importante nell’ottica di una necessaria diversificazione dei fornitori per il nostro paese. Un altro crocevia di estremo interesse è rappresentato dal Kazakistan, al centro del dibattito politico per il chiacchierato “caso – Ablyazov”, in cui è stato aperto nei mesi scorsi uno dei più vasti giacimenti petroliferi offshore denominato Kashagan. A causa di perdite di gas, però, la produzione è stata recentemente interrotta e il caso ancora attende una soluzione.

Ma la nuova frontiera per Eni è rappresentata dai paesi emergenti del sud – est asiatico, in cui si preannunciano significativi progetti. I primi tasselli fondamentali sono il Pakistan e il Golfo del Bengala, nel quale l’azienda andrà per la prima volta alla ricerca di idrocarburi, passando per Indonesia, Cina – che significa soprattutto shale gas – e ancora, Vietnam e Myanmar «due nuovi paesi su cui puntiamo molto», secondo le parole di Scaroni. Suo obiettivo è di fare dell’Asia «una seconda grossa gamba di Eni, oltre a quella africana, dove i consumi sono crescenti e dove possiamo essere veramente “matteiani”, cioè le popolazioni devono sentire il beneficio della nostra presenza».

Giova qui aprire una parentesi sul sopracitato shale gas, un tipo di gas metano derivato da argille e prodotto in giacimenti non convenzionali, situati tra i 2000 e i 4000 metri di profondità e raggiungibili attraverso tecniche di perforazioni orizzontali e fratturazioni idrauliche che provocherebbe gravi danni ambientali. Negli ultimi anni gli Usa hanno intensificato in maniera massiccia la produzione in questo campo, ricavandone notevoli guadagni. Anche per questo Eni rimane vigile sul tema, ed ha avviato importanti ricerche in Ucraina e Polonia.

Prima di chiudere questa panoramica su alcune delle principali attività di Eni, non possiamo non citare le attività in Sud America (in particolare in Venezuela) e in Iran, dove la competenza della compagnia italiana in materia di idrocarburi rimane fondamentale. Pochi giorni fa, alla presenza del ministro del Petrolio venezuelano Rafael Ramirez e dei vertici Eni, è stato inaugurato ieri il primo oleodotto per l’evacuazione dell’olio dal campo Junin-5, situato nella Faja petrolifera dell’Orinoco, testimonianza di un impegno non secondario. Anche nella Repubblica Islamica la società italiana ha saputo svolgere un’opera diplomatica intelligente, che promette guadagni ora che è avvenuta una temporanea sospensione delle sanzioni.

Dal breve profilo tracciato possiamo quindi concludere descrivendo Eni come un’azienda solida che ha tentato di rispondere alle difficoltà dettate dalla crisi e dalle interferenze estere attraverso un’azione dinamica, soprattutto in Africa e nei nuovi mercati asiatici. Fattore importante da rilevare è senza dubbio quello di continuare a puntare sull’estrazione, al contrario di molte grandi compagnie che preferiscono mirare sull’investimento di tipo finanziario (ad esempio utili reinvestiti in titoli), le cui conseguenze negative sono sotto gli occhi di tutti.

Finmeccanica

Sono molte le ardue sfide che caratterizzano la strada di Finmeccanica verso il futuro. Oltre alle difficoltà giudiziarie citate in apertura, che ne hanno indebolito la credibilità, l’azienda deve fronteggiare il momento attuale di crisi internazionale e alcune incertezze di tipo finanziario. Per questo sta operando anzitutto una ristrutturazione interna al fine di togliersi di dosso una parte del debito che ormai pesa come un macigno. L’idea e’ dismettere il comparto civile (come trasporti, energia, motori) per concentrarsi nell’ambito militare e sicurezza che offre margini più elevati, e dove Finmeccanica è un attore di peso a livello mondiale. Importante mossa in questo senso è stata la creazione di Selex ES, che ha riunito in un’unica entità le aziende europee dell’elettronica per la Difesa e Sicurezza del Gruppo, dando vita a «un leader globale nel campo delle tecnologie elettroniche e informatiche, con 17.900 dipendenti, ricavi superiori a 3,5 miliardi di euro, mercati domestici in Italia e Regno Unito ed una forte presenza a livello internazionale. Una Selex unificata che potenzierà la presenza di Finmeccanica sui mercati – domestici ed export – ottimizzando gli investimenti nel settore e valorizzando le complementarità tecnologiche», come si legge sul sito ufficiale. Nello stesso discorso rientrano le forti pressioni del nuovo Amministratore Delegato Alessandro Pansa, per spingere l’Unione Europea a favorire gli investimenti degli stati membri nel settore militare e nelle tecnologie ad esso connesse, come lo sviluppo dei droni.

Oltre al nostro paese, i mercati definiti “domestici”, dove l’azienda basa la sua presenza e la sua forza, rimangono Gran Bretagna, Usa (il più grande mercato aerospaziale e della Difesa, di cui si è parlato soprattutto per la vicenda degli F-35) e Polonia, in cui Finmeccanica si sta sviluppando rapidamente. L’attività internazionale del Gruppo è comunque incessante e dinamica. Una delle prime zone d’interesse è senza dubbio quella del Golfo Arabico, che «vale da sola il 20 – 25% del nostro business», come ha dichiarato Pansa in occasione del recente Dubai Air Show.  In quell’occasione è stata inaugurata la nuova sede del Gruppo nella capitale emiratina Abu Dhabi, segno di una cresciuta e crescente incisività sul mercato della penisola arabica, con esplicito potenziale di espansione sia nell’ambito dell’aviazione civile che in quello della difesa. «Il nostro é un peso che ha a che fare con la gamma più alta dell’offerta tecnologica, qui volano oltre 150 elicotteri della Agusta Westland, si stanno trattando gli Eurofighter Typhoon, la marina militare emiratina usa i nostri sistemi integrati», ha spiegato Pansa. La trattativa in questione riguarda una gara  fondamentale, quella negli Emirati, che intendono acquistare nuovi caccia in sostituzione dei Mirage 2000: l’Eurofighter è allo stadio finale della trattativa, ma deve fronteggiare la minaccia del Rafale, prodotto dalla francese Dassault, che ha già fornito i Mirage. Finmeccanica detiene il 21% del consorzio Eurofighter con Alenia e ha una quota intorno al 30% nell’avionica del velivolo attraverso Selex Es. Il valore della potenziale commessa di almeno 60 aerei è stimabile in circa 10 miliardi di euro per tutti i quattro paesi del consorzio. Un’altra gara di estremo rilievo si sta svolgendo in Kuwait, dove Alenia è capofila commerciale per il consorzio Eurofighter, per la fornitura di 25 aerei, in competizione sempre con Dassault e con Boeing con l’F-18. Infine, la società missilistica europea Mbda, di cui Finmeccanica ha il 25%, è impegnata in discussioni per forniture agli Emirati arabi e soprattutto in Qatar, dove i missili servirebbero ad armare 20 nuovi elicotteri. In Qatar Mbda verrebbe prescelta in caso di aggiudicazione della commessa al consorzio europeo Nh90, di cui fa parte AgustaWestland.

Subito dopo si può citare la Russia, con cui gli stretti rapporti, come per Eni, sono stati confermati dagli accordi presi nella recente visita di Putin in Italia. Spiccano in particolare la partnership di Alenia Aermacchi con Sukhoi nel programma Superjet 100, a quella di Agusta Westland con Russian Helicopters, oltre alle attivita’ di Selex Es nel Paese, che promettono di ampliarsi.

La nuova frontiera per Finmeccanica è rappresentata dai mercati emergenti, dove il Gruppo vuole insediarsi stabilmente a livello industriale e commerciale intessendo relazioni durature con i principali attori locali a livello pubblico e privato. Stiamo parlando di Australia, Cina, India, Malesia, Brasile e Turchia. In ognuno di questi paesi gli sforzi sono non indifferenti. Un ruolo chiave lo riveste il Brasile, paese che impegnato nella modernizzazione del proprio settore di difesa e sicurezza, e che quindi promette ingenti investimenti. Per questo, nonostante la rottura di un importante accordo siglato con l’azienda locale Embraer ad inizio anno, l’Agusta Westland continuerà ad operare attraverso una propria linea di assemblaggio, tentando a tutti i costi di non perdere questo fondamentale mercato. Anche in India le difficoltà sono notevoli, dettate soprattutto dalla nota sospensione della commessa per 12 elicotteri AW 101. Una vicenda oggetto di due procedimenti giudiziari internazionali legati alle precedenti gestioni, i cui contorni appaiono quelli di un ennesimo attacco agli interessi italiani. Ad oggi, dei 12 elicotteri, tre sono già stati consegnati e volano a pieno ritmo. I rimanenti nove, seppure eventuali nuovi compratori non mancano, potrebbero essere a disposizione del Ministero della Difesa indiano in breve tempo. Per ora la società, rispetto ai rumors della cancellazione dell’ordine, ha ripetuto di non avere ricevuto alcuna indicazione in tal senso dal ministero della Difesa e rimane in attesa, anche rispetto alla sua richiesta di istituire un arbitrato internazionale. La spinosa e ancora non risolta questione dei marò potrebbe giocare un ruolo in questo poco dignitoso “gioco delle parti”.

Per contro, buone notizie giungono dalle collaborazioni consolidate in Turchia, e dal Perù. Qui Alenia Aermacchi, società di Finmeccanica, è stata selezionata dal ministero della Difesa per la fornitura di 2 velivoli da trasporto tattico C-27J Spartan. Il valore del contratto, che sarà firmato non appena completate le procedure amministrative previste dalla normativa peruviana, è di circa 100 milioni di euro e comprende, oltre ai due velivoli, un consistente pacchetto di supporto logistico.

Da questa breve analisi emerge il profilo di un Gruppo che si è fortemente focalizzato su determinati settori (Aerospazio e Difesa rappresentano attualmente circa il 91% degli asset in portafoglio), in cui continua a esprimere indubbia eccellenza e qualità. Ricordiamo ad esempio che proprio recentemente il governo norvegese, noto per imporre alti standard di efficienza tecnologica e trasparenza contrattuale, ha individuato Finmeccanica quale possibile unico fornitore di elicotteri AW 101. Le partnership con altri attori importanti, soprattutto europei (si pensi alla franco tedesca Eads), rimane una costante nella strategia, che sembra portare discreti frutti. I problemi derivano da un’azione di espansione nei principali mercati internazionali frenata da inchieste giudiziarie e contingenze sfavorevoli, davanti alle quali Finmeccanica dovrà dimostrare di saper reagire al meglio.


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