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Epicuro ci inizia alla filosofia come sola chiave per la felicità

Creato il 18 aprile 2014 da Lucia Savoia

Epicuro ci inizia alla filosofia come sola chiave per la felicità"Medita giorno e notte tutte queste cose e altre congeneri, con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell'ansia. Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l'uomo che vive fra beni immortali."

Con queste parole si chiude la " Lettera a Meneceo", scritta da Epicuro nel III secolo a.C., nella quale viene fuori tutta la sua filosofia.

Già dalle prime righe è possibile cogliere una differenza tra le concezioni precedentemente trattate. Epicuro non gira intorno a nozioni o istruzioni, apre la sua epistole dichiarando che solo grazie alla filosofia si è in grado di poter raggiungere la felicità, che non è fatta di virtuosismi ma , parlando in modo profano, del compiacersi di ciò che ci ha offerto la natura.

Dopo aver invitato Meneceo a praticare la filosofia, Epicuro analizza le cause dell'infelicità (note nella sua filosofia come Tetrafarmaco).

Innanzitutto afferma che non bisogna temere gli dei, il suo suggerimento sta nel rifiutare " l'opinione che ne ha il volgo" perché vivendo nell' intermundia (spazio tra mondi reali) non possono conoscere gli uomini, e di conseguenza non possono neanche agire sulle nostre vicende.

Epicuro ci inizia alla filosofia come sola chiave per la felicità
"Gli dei esistono, è evidente a tutti, ma non sono come crede la gente comune, la quale è portata a tradire sempre la nozione innata che ne ha." [...] "Noi sappiamo che essi sono perfettamente felici, riconoscono i loro simili, e chi non è tale lo considerano estraneo."

Epicuro,inoltre,continua il suo discorso affermando che la morte non è niente per noi, non dobbiamo temerla perchè "quando noi siamo, la morte non c'è, e quando la morte c'è noi non siamo più."

Le successive tappe sono "il bene è facile da procurarsi" e " è facile sopportare il male".

Per quanto riguarda la prima ci istruisce nella ricerca del bene, esso nell'epicureismo è racchiuso nei piaceri, che non bisogna mai fraintendere con quelli di cui hanno parlato filosofi come Aristotele e Seneca, proprio per questo motivo Epicuro, nelle successive righe, spiega cosa sono e a quali bisogna aspirare. Il filosofo, per quanto riguarda il bene, si affida al saggio. Questi non gode della vita, ne viene "disturbato" dalla morte, perché gode nel vivere e si accontenta di ciò che la vita gli ha dato.

Secondo Epicuro, egli è colui che "ha un'opinione corretta e reverente riguardo agli dei, nessun timore della morte, chiara coscienza del senso della natura, che tutti i beni che realmente servono sono facilmente pro-cacciabili, che i mali se affliggono duramente affliggono per poco".

Quindi grazie a questa definizione il saggio è pienamente consapevole che, ritornando al tetrafarmaco, è facile sopportare il male.

A seguire, il filosofo ci offre la classificazione, prima dei desideri e poi dei piaceri.

I desideri possono essere: " naturali" divisi in necessari, ovvero essenziali alla vita come bere e mangiare; e non necessari, quelli che hanno a che fare con cibi raffinati o bere quando non si ha sete. L'altra categoria di desideri è definita " vana". A questa appartengono quelli superflui; anche se non saziati essi non comportano dolore come ad esempio: la ricchezza, il potere etc.

Alla classificazione dei desideri segue quella dei piaceri che sono o cinetici o catasetematici.

I primi sono da tenere in considerazione, quelli che hanno a che fare con la nostra parte appetiva e che corrispondono alla soddisfazione di una necessità (come il mangiare quando si ha fame) e che quindi non comportano danni fisici, ma anzi li evitano.

Epicuro ci inizia alla filosofia come sola chiave per la felicità
Lontanissimo dalle concezioni filosofiche precedenti, Epicuro, con questa sua visone, ci ha permesso una conoscenza molto accessibile della felicità che diventa molto più umana e molto più afferrabile. Abbandona le forti virtù aristoteliche e ne crea di nuove, distinguendo anche il piacere, dal volgare e inutile, al necessario.

Inoltre, il filosofo ci ha insegnato che bisogna godere del vivere e di ciò che la natura ci ha donato. Soprattutto non bisogna per forza cercare di eguagliare i propri limiti, perché non è importante una vita lussuosa ma la consapevolezza della vita, e goderne finché si è vivi.

Non esiste un'età o una maturazione giusta, che ci spinga alla ricerca della felicità, come dice Epicuro: "Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'animo nostro. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l'età. Ecco che da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l'avvenire."


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