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Era meglio il comunismo

Creato il 16 marzo 2011 da Coriintempesta

Poco prima di Natale 2010, uno sconvolto tecnico della  televisione  pubblica,per protesta contro le  discutibili  politiche economiche del governo si è lanciato da un balcone del  parlamento rumeno durante un discorso del Primo Ministro .L’uomo, sopravvissuto al tentativo di suicidio, secondo come è stato riferito, pare abbia gridato prima di saltare: “Hai preso il pane dalla bocca dei nostri figli! Hai ucciso il futuro dei nostri figli! “All’ospedale , vestito con una t-shirt con su scritto” Hai ucciso il nostro futuro! “, è stato identificato come il 41enne Adrian Sobaru, il cui figlio adolescente autistico aveva da poco perso l’ assistenza pubblica come conseguenza degli ultimi  tagli al bilancio del governo rumeno. Il suo tentativo di suicidio è stato trasmesso in diretta dalla TV pubblica della Romania mentre il primo ministro Emil Boc teneva il suo discorso prima di una votazione della sfiducia contro il suo governo conservatore. Le misure di austerità fiscale e salariali  contro cui il signor Sobaru stava protestando includevano un taglio del  25% dello stipendio di tutti i dipendenti pubblici come lui, così come la drastica riduzione delle prestazioni sociali di assistenza per i genitori con figli disabili, che aveva ricevuto fino a poco tempo fa. Secondo l’Agerpres , le disperate urla dell’uomo nella sala parlamentare stavano facendo l’eco a quelle sentite nel corso della rivoluzione anti-comunista del 1989 che ha rovesciato l’individualista e in generale filo-occidentale regime rumeno di Nicolae Ceauşescu.

Agitazione economica

Il salto tragico del sig. Sobaru, trasmesso ovunque dalla televisione, ha fatto si che molti rumeni vedessero quel gesto come un simbolo verso le  selvagge iniquità e ingiustizie del periodo post-comunista.La Romania è impantanata in una grave recessione e si prevede  che la sua malconcia economia scenda almeno del 2% nel 2010, dopo una contrazione del 7,1% rispetto all’anno prima. Invece di cercare  di assistere i disoccupati e i più deboli socialmente, il governo di Bucarest, che si dice sia pieno di corruzione, favoritismo e nepotismo, ha tagliato gli stipendi del settore pubblico e tutte le spese sociali, comprese le sovvenzioni per il riscaldamento dei  poveri cosi come pure per la disoccupazione, la maternità e l’ invalidità. Allo stesso tempo, l’imposta  nazionale delle vendite  si è alzata dal 19% al 24%, mentre le autorità si stanno sforzando di tenere il deficit nazionale al 6,8% per soddisfare le rigorose richieste fiscali dell’Unione Europea (EU), alla quale la Romania aveva aderito nel gennaio 2007.

Queste dure politiche di austerità hanno irritato milioni di romeni che riescono a malapena a sbarcare il lunario in una nazione dove la media mensile del reddito pro capite è di circa $ 400. Le proteste di piazza in cui si sono raccolti decine di migliaia di rumeni riflettono la profonda insoddisfazione per la povertà di massa e il perdurare della crisi economica, che ha portato la Romania sull’orlo del fallimento. “Questo non è il capitalismo, nei paesi capitalisti esiste una classe media,” ha riferito un direttore di un mini-market di Bucarest a un reporter di Associated Press. Ma la società rumena, si lamentava, si divide tra una piccola minoranza di persone molto ricche e una sottoclasse impoverita [1].

Mentre la tragedia umana vista nel Parlamento romeno in quel giorno pre-natalizio è abbastanza sintomatica della miseria dilagante nel paese balcanico e delle schiacciate speranze per una vita migliore, essa si sarebbe potuta facilmente verificare in una qualsiasi altra nazione del mondo ex-comunista che sono ugualmente affette da elevata disoccupazione, povertà di massa,  salari in calo e tagli severi alla spesa pubblica e al tenore di vita. Pressappoco lo stesso periodo in cui si è verificato il disperato tentativo di suicidio di  Sobaru, molti dei 20.000 medici ospedalieri della Repubblica Ceca abbandonavano il loro lavoro in massa per protestare contro la decisione del gabinetto del primo ministro Petr Necas di tagliare tutte le spese pubbliche, compresa la spesa sanitaria, di almeno il 10 %, al fine di mantenere le travagliate finanze del paese a galla. Queste dimissioni di massa erano parte della campagna “Grazie, ce ne stiamo andando” lanciata dai medici scontenti in tutto il paese mirata a far pressioni sulle autorità di Praga per aumentare i loro bassi salari e offrire migliori condizioni di lavoro per tutti gli operatori sanitari. Di fronte alla peggiore crisi sanitaria nella storia del paese ex-comunista, che stava mettendo in pericolo la vita di molti pazienti, il governo ceco ha minacciato di imporre lo stato di emergenza che avrebbe costretto i dottori a tornare al lavoro o affrontare dure sanzioni legali e finanziarie.

Si possono anche ricordare le non troppo segnalate  rivolte per il cibo del 2009 in Lettonia, il lodato ” miracolo Baltico”  tanto caro ai media mainstream occidentali, dove il profondamente impopolare Primo Ministro in carica Valdis Dombrovskis  venne rieletto nel 2010, pur avendo severamente tagliato le spese pubbliche e i già esigui standard di vita dei Lettoni (la campagna elettorale si è invece concentrata sullo sporco scontro tra i nazionalisti lettoni e la consistente e irrequieta minoranza di lingua russa del paese). Secondo il professor Michael Hudson, Illustre Professore di Economia presso l’Università del Missouri, mentre i tagli del governo al welfare, istruzione, sanità, trasporti pubblici, e nelle altre infrastrutture sociali di base, minacciano di compromettere la sicurezza economica, lo sviluppo a lungo termine e la stabilità politica in tutti i paesi dell’ex blocco sovietico, i giovani emigrano in massa per migliorare la loro vita piuttosto che soffrire in una economia senza alcuna opportunità di lavoro. Per esempio, più del 12% della popolazione totale della Lettonia (e una percentuale molto più grande della sua forza lavoro), ora lavora all’estero.

Quando la “bolla neo-liberale” è scoppiata nel 2008, scrive il professor Hudson , il governo conservatore della Lettonia prese in prestito dall’UE e dal FMI con punitive condizioni di rimborso che hanno imposto politiche di austerità cosi dure che l’economia lettone si è ridotta del 25% (le vicine Estonia e Lituania hanno subito un altrettanto ripido declino economico) e la disoccupazione, attualmente al 22%, è ancora in aumento. Con ben oltre un decimo della sua popolazione che ora lavora all’estero, questi lavoratori della Lettonia  mandano a casa tutto quello che possono risparmiare per aiutare le loro famiglie indigenti a sopravvivere. I bambini lettoni (mentre i matrimoni nel paese baltico e i tassi di natalità stanno sprofondando) sono cosi “rimasti orfani “, spingendo gli scienziati sociali a chiedersi come questa piccola nazione di 2,3 milioni di persone sia in grado di sopravvivere demograficamente. [2] Sono questi i risultati dei bilanci dell’austerità post-comunista, che ha messo in ginocchio la gente comune, mentre i creditori internazionali e le banche locali si sono salvati.

L’ascesa del populismo di destra

La profonda crisi economica e la disoccupazione in aumento in tutto il mondo ex-comunista ha portato al potere alcuni partiti radicali e uomini politici che abbracciano il populismo nazionalista di destra. L’Ungherese Fidesz (Unione Civica Ungherese), un partito nazionalista sfacciatamente di destra, ha vinto con il 52,73% dei voti nelle elezioni parlamentari di aprile 2010. Il Jobbik (Movimento per una Ungheria migliore), un partito xenofobo di estrema destra, è arrivato terzo con il 16,67% dei voti. Nel bel mezzo di una crisi economica disastrosa, la destra nazionalista ha vinto la maggior parte del voto popolare da far rivivere i capri espiatori tradizionali dell’Ungheria delle minoranze etniche e incolpare gli ebrei e zingari, in particolare per la disoccupazione diffusa nel paese e per la povertà. Quando Oszkár Molnár, leader del Fidesz eletto nel nuovo parlamento, proclamò: “Io amo l’Ungheria, amo gli ungheresi, e preferisco gli interessi ungheresi al capitale finanziario globale, o al capitale ebraico,che vuol divorare il mondo intero, ma soprattutto l’Ungheria, “non venne neanche pubblicamente rimproverato da nessuno dei suoi colleghi di partito.

Nel dicembre del 2010, la maggioranza dei due terzi del Fidesz in Parlamento ha permesso di far passare una legge che ha dato al governo la libertà  di esercitare un controllo più rigoroso sui mezzi di comunicazione privati. Questa nuova controversa legge ha innescato manifestazioni nelle strade di Budapest con molti ungheresi che portavano cartelli vuoti per protestare contro la censura proposta del governo. Inoltre ha suscitato critiche in seno al Parlamento europeo (l’Ungheria è diventata membro dell’Unione europea nel maggio 2004) per essere una “minaccia verso la libertà di stampa” e un “grave pericolo per la democrazia”, ​​in quanto prevede pesanti multe e altre sanzioni penali per i media e siti Internet, che prendono il coraggio di pubblicare o trasmettere informazioni “sbilanciate” o “immorali”, in particolare quelle critica verso governo, in una nazione dove una persona su tre vive sotto la soglia di povertà.(leggi qui) I critici hanno lamentato che la legge più restrittiva d’Europa sui media soffocherà il pluralismo e riportèrà indietro l’orologio della democrazia in questo paese ex-comunista.

Soprattutto la stampa tedesca  ha diffamato il primo ministro ungherese Viktor Orban, non solo perchè cerca di imbavagliare i media locali, ma anche per il pericolo di trasformare l’Ungheria in un totalitario “Führerstaat”. Károly Vörös, capo redattore del quotidiano ungherese Népszabadság ,si è lamentato  riguardo il fatto che la nuova legge sui media vuole “far divampare un senso di paura negli animi dei giornalisti” e che  “l’intero stato costituzionale ungherese sta sistematicamente dissolvendosi.” [3] Ma grazie al rilevato  forte sostegno pubblico in patria determinato dall’ anti-capitalismo, l’anti-UE, e l’umore anti-americano degli ungheresi comuni imprigionati nel vortice della globalizzazione, il populista,tipo Berlusconi, Orbán ha, come in passato, preso una posizione di sfida, avvertendo l’ UE di fermare la sua ingerenza nelle questioni interne dell’Ungheria: “E ‘l’UE che dovrebbe regolarsi in Ungheria, non l’Ungheria presso l’Unione europea …” (l’Ungheria ha assunto ufficialmente la presidenza di turno dell’Unione europea di sei mesi dal 1 ° gennaio 2011). Ma ciò che molti ungheresi sospettano è che la nuova legge sui media fosse solo un ingegnoso stratagemma per distogliere l’attenzione pubblica dai terribili problemi economici del paese.

Un’altra figura autocratica, Boyko Borisov, ex-capo della polizia nazionale, con un ombroso passato comunista e segnalato di avere legami con la malavita locale, governa la Bulgaria, che divenne stato membro dell’Unione Europea nel gennaio 2007, pur essendo lo stato più corrotto e criminalizzati nella ex blocco orientale togliendo il  notoriamente mafioso Kosovo (un altro scandaloso candidato per una futura adesione all’UE di cui spera  di poterne fare parte già nel 2015). Il successo elettorale del forte Borisov,simile a  Mussolini, e dela sua destra GERB (Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria) nelle elezioni del luglio 2009 non stupisce in un paese la cui situazione è diventata la più emblematica nella regione post-comunista e della attuale malattia  di malcontento. Da quasi tutti gli indicatori macroeconomici, risulta che la Bulgaria sta peggio adesso rispetto al passato comunista.

Le statistiche ufficiali mostrano che sia l’annuale prodotto nazionale lordo (PNL) e il reddito pro capite della popolazione sono crollati, la rete sociale di sicurezza si è disintegrata, e anche la sopravvivenza fisica di molti poveri bulgari  è in pericolo. Gli effetti immediati delle “riforme” orientate al mercato sono stati la distruzione dell’industria bulgara e dell’agricoltura, della disoccupazione, dell’inflazione, della disuguaglianza flagrante dei redditi, della povertà schiacciante, e anche della malnutrizione. La criminalità organizzata e la corruzione endemica, sotto forma di nepotismo e clientelismo, la concussione sul lavoro, l’appropriazione indebita, le tangenti, favoritismo, contrabbando, racket, gioco d’azzardo illegale, la prostituzione e la pornografia hanno preteso pesanti ripercussioni nello standard di vita post-comunista e nei  mezzi di sostentamento. Un altro effetto spiacevole è la diffusa trascuratezza dei diritti economici e sociali dei bulgari comuni, per molti dei quali la giornata lavorativa di 8 ore è ormai solo un ricordo.

L’ambiente economico è disastroso, ha a sua volta generato un clima politico piuttosto volatile e imprevedibile .Nessun governo eletto durante il periodo burrascoso post-comunista è sopravvissuto in carica per più di una legislatura (e spesso anche meno). Questa volatilità illustra la natura instabile e imprevedibile della politica in Bulgaria a causa della situazione economica catastrofica e l’incapacità evidente delle élites dei partito di offrire una soluzione credibile. Stufi del declino economico,della negligenza del governo, dei furti della fascia alta, della criminalità e della corruzione dilagante, i bulgari hanno ripetutamente espresso voti di protesta contro la morsa del potere delle  incompetenti, egoistiche,  corrotte e criminalizzate cricche dei politici di partito accusate di perseguire interessi personali . Ma la fine della loro miseria sembra lontano dalla vista, soprattutto per quanto riguarda  Borisov che ha ora imposto un bilancio di draconiana austerità, tagliando non meno del 20% della spesa pubblica.

Allo stesso tempo, la politica è diventata di gran lunga il più redditizio e anche molto meno rischioso  business rispetto a qualsiasi attività a scopo di lucro. Questo ha trasformato i partiti in qualcosa di simile a società ben organizzate di predatori senza scrupoli che aspirano a prendere le redini del potere al fine di arricchirsi sfruttando l’indolente  popolino e saccheggiando la Bulgaria delle risorse, soprattutto ora che il paese può contare su notevoli quantità di aiuti e  investimenti esteri da parte dell’UE. Potenti interessi economici di origine spesso criminali hanno finanziato ciascuno dei principali partiti politici, aggiungendo elementi fortemente plutocratici a quella che è essenzialmente una cleptocratica oligarchia.  Non sorprendentemente, i bulgari tendono a riferirsi al loro paese come uno “Stato mafioso”, una “repubblica delle banane”, un “circo” e ” Absurdistan.” Sono ancora in attesa dell’arrivo lungamente promesso del “normale” capitalismo e della “normale”democrazia, dove la sicurezza economica personale, salari vivibili  e tenore di vita dignitoso sostituiranno l’ elevato tasso di disoccupazione di oggi, la povertà, il problema dei senza fissa dimora e dello sconforto sociale. Circa 1,2 milioni di bulgari (16% della popolazione), soprattutto giovani, hanno già espresso la propria insoddisfazione lasciando il paese, cercando pascoli più verdi all’estero (l’emigrazione spinta dalla povertà ha contribuito a ridurre la popolazione post-comunista della Bulgaria dai  9 milioni del 1989 a circa i 7 milioni di oggi).

Crollo di consenso popolare

Poco dopo la caduta del comunismo, i paesi dell’ex blocco sovietico e di altri stati regionali ex-comunisti erano economicamente neo-liberalizzati (non pochi di loro erano anche territorialmente smembrati) e, fatta eccezione per le piccole élites filo-occidentali locali , le loro popolazioni sono diventate povere come quelle del Terzo Mondo. Quasi tutti questi 28 paesi eurasiatici hanno registrato un declino economico a lungo termine di proporzioni catastrofiche (solo la Polonia ha  superato il suo PIL dell’era comunista).Le gravi sconfitte economiche, la corruzione radicata e la diffusa frustrazione popolare con i disagi e le privazioni della infinita transizione post-comunista stanno compromettendo il prestigio delle nuove autorità e anche la convinzione della popolazione nella democrazia in stile occidentale e nel capitalismo. Una nuova generazione di plutocrati rapace e spietata con appetito insaziabile di ricchezza e di potere ha saccheggiato,attraverso un processo ingiusto e corrotto della privatizzazione, i beni dell’economia precedentemente di proprietà dello Stato e ha ricreato  i peggiori eccessi del capitalismo dickensiano del 19 ° secolo, come se il progresso sociale del 20 ° secolo non fosse mai esistito. Nel bel mezzo della disoccupazione diffusa, della miseria,della malnutrizione e anche della fame, palazzi privati ​​da svariati milioni di dollari sono spuntati in tutte le principali città –come simboli di guadagni disonesti e di ricchezza irraggiungibile per la gente comune che si batte  per trovare un posto di lavoro , pagare i conti quotidiani, e di trovare alloggi a prezzi accessibili. Questa “nuova classe” di nuovi ricchi agganciati  politicamente, con lussuosi modi di vivere stile “La Dolce vita” sembra essere disposta a commettere ogni reato nell’interesse del profitto e del rapido auto-arricchimento, operando secondo il principio di re Luigi XV “Dopo di me,il diluvio” e gettando ovunque le speranze della gente per migliorare le loro condizioni e modernizzare il loro paese lungo le linee di una nazione “civile”. Il solo business fiorente in molte delle “economie emergenti” sembra essere la criminalità organizzata che di solito è gestita da cleptocrati all’interno delle classi dirigenti.

(……….)

La regione è diventata un banco di prova per vedere in che misura i lavoratori possono essere privati ​​dei loro diritti sociali ed economici, come ad esempio un legale salario minimo, le vacanze pagate, l’accesso gratuito e universale alle cure sanitarie, istruzione e servizi legali, pensionamento a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne, e la sindacalizzazione. Ma nonostante l’impennata dei tassi di disoccupazione e  sottoccupazione, la ferrea disciplina del mercato  e la mancanza di assistenza sociale o anche della più rudimentale solidarietà sociale, la vecchia barzelletta di epoca comunista “Loro(i padroni) fanno finta di pagarci, noi (i lavoratori) facciamo finta di lavorare “sembra essere oggi molto più vera di quanto lo sia mai stata sotto il comunismo. Perchè la gente sembra non volerne piu di lavorare duramente  per i nuovi privati ​​(e spesso stranieri) proprietari di imprese che sembrano essere interessati solo a spremere il maggior profitto da loro e pagarli poco cosi  come offrire meno prestazioni possibili.Allo stesso tempo, la pubblica istruzione e le scienze, come pure le arti e le istituzioni culturali, vengono sviscerate in nome del risparmio dei” soldi dei contribuenti ‘”  (per esempio, l’accademia nazionale delle scienze è stata chiusa o è in procinto di essere chiusa in un certo numero di paesi in transizione).

In queste nazioni in crisi, dove gli standard di vita si sono seriamente deteriorati,come la disoccupazione, la povertà, l’indigenza, la criminalità, come pure l’alcol e l’abuso di droghe si stanno diffondendo, insieme a prezzi inaccessibili per il cibo, alloggio e il carburante, la soddisfazione della gente verso il governo è minima quasi ovunque. E dove c’è una notevole discrepanza tra le aspettative popolari e i risultati di governo in termini di fornitura dei beni necessari  dei servizi pubblici, come in quasi tutti i paesi post-comunisti, l’adesione ad atteggiamenti democratici si erode gradualmente nel tempo. I regimi di scarso rendimento, che non riescono a soddisfare le aspirazioni pubbliche per lunghi periodi di tempo possono perdere la loro legittimità, rischiando la crisi sistemica e l’ instabilità (per esempio, il caso della Germania di Weimar). Data la loro vita e le spaventose condizioni di lavoro, molti cittadini post-comunisti stanno perdendo le loro convinzioni di lunga data nel capitalismo di tipo occidentale e verso la democrazia liberale. Molti stanno anche rifiutando l’idea stessa che i loro paesi ex-comunisti siano davvero democratici.Le percezioni negative della popolazione verso queste prestazioni  non possono non influenzare gli atteggiamenti democratici (nel modo in cui il valore della democrazia è percepita) e quindi il cosiddetto “deficit democratico” è statisticamente molto rilevante in tutta la regione. Le élites locali  stanno lentamente perdendo la loro legittimità a governare.

Di conseguenza, proteste pubbliche ed agitazione sociale sono comuni, incluse la dozzina di controverse”rivoluzioni colorate”, sia di successo che di insuccesso,a seconda dell’entità del sostegno occidentale bei loro confronti-, contro i governi eletti dal popolo, ma spesso profondamente impopolari. Nel gennaio 2011, per esempio, alcuni manifestanti sono stati uccisi e 150 sono rimasti feriti durante una manifestazione anti-governativa nella capitale albanese,a Tirana. Il primo ministro conservatore dell’Albania  Sali Berisha ha promesso che non avrebbe permesso il rovesciamento del suo governo, ma l’opposizione ha tenuto nuove manifestazioni a Tirana e in altre città albanesipromettendo dimetter su ancora più proteste in futuro. I sostenitori del partito di opposizione socialista incolpano le autorità per la diffusa criminalità finanziaria,il crimine pandemico e la corruzione, il deterioramento dell’economia e della palese mancanza di servizi pubblici di base. Chiedono inoltre lo svolgimento di nuove elezioni, accusando il governo di massicci brogli elettorali durante le elezioni contestate del 2009 ,dove i democratici di Berisha vinsero con un margine molto piccolo. Una ulteriore escalation di tensioni si ebbe quando Berisha pubblicamente ha accusato i suoi oppositori socialisti di tentare una “sollevazione Tunisia-style”, un riferimento al recente sanguinoso rovesciamento del presidente dittatoriale della Tunisia. Simili proteste anti-governative sono tenute regolarmente nella Georgia post-sovietica, nonostante gli sforzi delle “democratiche”  autorità di schiacciare ogni dissenso. La scontenta opposizione della Georgia accusa Mikheil Saakashvili per la disastrosa guerra con la Russia del 2008 e per affondamento delle fortune del paese. “La stragrande maggioranza della popolazione è sull’orlo della povertà. Non funziona nulla in Georgia, tranne che lo stato di polizia “, Lasha Chkhartishvili  del partito conservatore d’opposizione ha detto ai giornalisti stranieri in visita nel febbraio 2011 durante le manifestazioni anti-Saakashvili attorno al palazzo del parlamento di Tblisi. “Il Regime dittatoriale di Saakashvili è destinato a crollare perché c’è un limite alla pazienza della gente.” [4]

Per il momento, tutti gli occhi sono puntati sul mondo musulmano e sulla misura con cui gli sforzi pro-democrazia delle nazioni arabe stanno trasformando la politica in tutto il Medio Oriente. Ma l’esca per tali rivolte esiste quasi dappertutto, particolarmente nelle parti del mondo post comunista.L’agitazione freme per protestare contro la povertà, la disoccupazione ed il ladrocinio ufficiale endemico dopo più di 20 anni di di controllo incompetente, corrotto e ingannevole di governo post comunista– combinato con il disastroso esperimento economico del laissez faire attraverso l’intero ex blocco sovietico– ed ha prodotto un’instabilità a livello regionale, dove la sopravvivenza di alcuni da regimi sostenuti dall’ ovest appare sempre più a rischio. Ciò è confermato dalla informale speculazione  senza precedenti rievocativa del periodo prima della caduta del comunismo –come molte osservazioni dei lettori nei forum locali dei media, per esempio,–circa l’instabilità e la reversibilità del nuovo ordine post comunista e la sua possibile sostituzione dalla “democrazia rivoluzionaria”stile Latino –Americana. Questo senso di insicurezza e fragilità del regime è stato rafforzato dall’ ondata di nostalgia comunista che travolge molti paesi ex-comunisti.

C’è una grande disillusione con le mancate promesse delle rivoluzioni del 1989 che hanno portato a un rapido declino degli standard di vita per la maggior parte degli ex cittadini comunisti. L’esasperazione diffusa con l’impoverimento, la corruzione, la criminalità di strada e il generale caos sociale che hanno accompagnato la transizione al capitalismo di mercato e la democrazia di stile occidentale ha prodotto una crescente nostalgia per il passato comunista tra le tante persone normali (che non fanno parte delle elites cosmpolite e filo Occidentali), mentre si guardano indietro con sempre maggiore predilezione per i “bei vecchi tempi” del comunismo– una preoccupante tendenza in tutta la regione popolarmente conosciuta come “chic sovietica”.

Secondo la recente pubblicazione Rumanian Evaluation and Strategy Survey, il 45% dei rumeni credono che avrebbero vissuto meglio se la rivoluzione anti-comunista non si fosse verificato affatto. Dopo 21 anni di turbolenta vita post-comunista, il 61% dei partecipanti al sondaggio ha detto che attualmente vivono in condizioni molto peggiori di quanto non fossero sotto Ceauşescu, mentre solo il 24% ha detto che sta meglio adesso. Se si deve credere a questi risultati (il sondaggio è stata fatto alla fine del 2010 su un campione di 1.476 adulti e ha un margine di errore di più o meno il 2,7%), Ceauşescu si è trasformato in una sorta di martire verso cui la maggior parte dei rumeni prova simpatia. Almeno l’ 84% degli intervistati ritiene che non sia stato affatto una bella cosa che lui sia stato ucciso senza un giusto processo pubblico e il 60% addirittura rimpiange la sua morte. [5] Secondo un altro recente sondaggio, il 59% dei rumeni considerano il comunismo essere una buona idea . Circa il 44% degli intervistati ritiene che questa buona idea sia stata mal applicata, mentre solo il 15% pensa che sia stata applicata correttamente. Solo il 29% dei rumeni ancora vede invece il comunismo come una cattiva idea. Non ci sono differenze significative tra uomini e donne per quanto riguarda questa domanda, ma le opinioni positive sul comunismo sono legate a età e luogo di residenza. Una maggioranza di quelli con più di 40 anni, considera una buona idea (di cui il 74% di quelli di età superiore ai 60 anni, e il 64% delle persone di età 40-59), il comunismo. Mentre è invece solo una minoranza  tra le giovani generazioni che non ricordano nemmeno il regime di Ceauşescu (49% delle persone di età 20-39, e solo il 31% di quelli di età inferiore ai 20). Gli intervistati rurali hanno una visione più positiva-solo il 21% di loro considera il comunismo una cattiva idea, rispetto al 34% degli intervistati urbani. [6] E molti rumeni ricordano con nostalgia i giorni in cui la maggior parte di loro aveva un lavoro stabile, un’ alloggio poco costoso fornito dallo stato, assistenza sanitaria gratuita, e le vacanze sovvenzionate dal governo sulla costa del Mar Nero. “Mi rammarico per la fine del comunismo, non per me, ma quando vedo come i miei figli e nipoti lottano”, ha detto un meccanico di 68 anni in pensione. “Abbiamo avuto posti di lavoro sicuri e salari dignitosi sotto il comunismo. Abbiamo avuto abbastanza da mangiare e abbiamo avuto le vacanze ogni anno con i nostri figli. “[7]

Il “Soviet chic” è particolarmente popolare tra gli abitanti della ex Germania Est, dove è conosciuto come “Ostalgie”. [8] Secondo un articolo del conservatore tedesco Der Spiegel, “La glorificazione della Repubblica democratica tedesca è in crescita da due decenni dopo la caduta del muro. I giovani e i piu benestanti sono tra quelli che respingono le critiche della Germania Est come uno stato illegittimo. “In un recente sondaggio citato da Der Spiegel, più della metà (57%) degli ex-tedeschi dell’Est ha difeso l’ex Repubblica democratica tedesca (RDT ). “La DDR aveva più lati positivi che negativi. Ci sono stati alcuni problemi, ma la vita era bella lì “, ha sostenuto il 49% degli intervistati. L’otto per cento dei tedeschi dell’est ha seccamente respinto ogni critica della loro patria o era d’accordo con l’affermazione che “La DDR aveva, per la maggior parte,  lati positivi. La vita  era più felice e migliore di quella di oggi nella Germania riunificata. “Questi risultati del sondaggio che sono stati rilasciati nel ​​20 ° anniversario dalla caduta del Muro di Berlino rivelando che la nostalgia per l’ex Germania Est ha raggiunto in profondità il cuore di molti tedeschi ex-Est. Non sono più soltanto i nostalgici anziani che piangono la perdita della DDR. “Una nuova forma di Ostalgie ha preso forma”, dice lo storico Stefan Wolle . “Il desiderio per il mondo ideale della dittatura va ben al di là degli ex funzionari di governo”, si lamenta Wolle. “Anche le persone giovani che non avevano quasi alcuna esperienza della DDR idealizzano oggi questa cosa.” [9]

“Neanche la metà dei giovani nella Germania orientale descrive la DDR come una dittatura, e la maggioranza ritiene che lo Stasi era un normale servizio di intelligence “, conclude,attraverso uno studio del 2008 su giovani orientali della Germania,il politologo Klaus Schroeder, direttore di un istituto di ricerca alla Berlino Free University che studia lo stato ex-comunista , “Questi giovani non possono-e di fatto non hanno alcun desiderio di riconoscere– i lati oscuri della Repubblica Democratica Tedesca”.. “Vedendolo oggi, credo che siamo stati cacciati dal paradiso, quando il muro venne giù”, dice un tedesco orientale , mentre un altro, un uomo di 38 anni, ha ringraziato Dio d’aver vissuto nella DDR, perché è stato solo dopo la riunificazione tedesca che ha visto per la prima volta nella sua vita i senzatetto,i mendicanti e le persone impoverite che ora temono per la loro sopravvivenza. Oggi la Germania è descritta da molti tedeschi ex-orientali come “stato schiavo” e una “dittatura del capitalismo”, mentre alcuni rifiutano totalmente  la Germania riunificata per essere, a loro parere, troppo capitalista e troppo dittatoriale, e certamente non democratica. Schroeder ritiene tali dichiarazioni allarmanti: “. Ho paura che la maggioranza dei tedeschi dell’Est non si identificano con l’attuale sistema socio-politico” Secondo un altro cittadino franco-tedesco-orientale citato nello stesso articolo di Der Spiegel, “In passato,  un campeggio era .. un luogo dove le persone si godevano insieme la loro libertà “.E quello che gli manca di più oggi è” quel sentimento di amicizia e di solidarietà “Il suo verdetto sulla DDR è chiaro:” Per quanto mi riguarda, quello che avevamo in quei giorni era meno di una dittatura di quello che abbiamo oggi”.Lui non solo vorrebbe vedere di nuovo salari e pensioni pari a quelli della DDR, ma si lamenta anche che le persone imbrogliano e mentono dappertutto nella Germania unificata, e che le ingiustizie oggi sono semplicemente perpetrate in un modo più subdolo rispetto alla DDR, in cui i salari da fame e la criminalità di strada erano completamente sconosciuti [10].

In reazione alla diffusa nostalgia comunista e anche ai cambiamenti del clima d’opinione nazionale dove l’ultimo leader comunista polacco, il generale Wojciech Jaruzelski, è molto più popolare rispetto alla passata venerato ma ora emarginata icona anti-comunista- capo dell’ ex sindacato Solidarnosc , Nobel per la pace, e in seguito presidente Lech Walesa–ora i ferventi anticomunisti polacchi hanno modificato il codice penale per includere un divieto ufficiale verso tutti i simboli del comunismo. Con la nuova legge degna della Inquisizione cattolica medievale, i polacchi possono ora essere multati e imprigionati se vengono colti,ad asempio,a cantare l ‘”Internazionale”,  o se portano una bandiera rossa, una stella rossa o la falce e martello, e altri simboli dell’era comunista, o anche indossando una t-shirt di Che Guevara. Allo stesso modo, il governo conservatore ceco sta cercando di mettere fuori legge il Partito comunista di Boemia e Moravia (anche se quest’ultimo ha vinto con oltre l’11% del voto popolare alle ultime elezioni parlamentari di maggio 2010 ed è rappresentato in entrambe le camere del Parlamento nazionale), apparentemente perché la sua leadership si rifiuta di rimuovere la sacrilega parola  “comunista” dal nome del partito. Diversi membri ex-comunisti dell’Unione europea  hanno recentemente esortato Bruxelles a spingere per un divieto a livello europeo su chi sminuisce o nega i crimini dei vecchi regimi comunisti. “Il principio di giustizia dovrebbe assicurare un giusto trattamento per le vittime di ogni regime totalitario”, i ministri degli esteri della Bulgaria, della Repubblica ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania, Romania hanno scritto in una lettera al commissario europeo per la Giustizia, in cui hanno insistito sul fatto che “l’apologia pubblica, la negazione, la banalizzazione dei crimini totalitari” dovrebbe essere criminalizzata in ogni paese dell’UE. Su iniziativa dei deputati anti-comunisti dei paesi post-comunisti, il Parlamento europeo ha già approvato una risoluzione sul controverso “totalitarismo”, che equipara il comunismo con il nazismo e il fascismo. Ma tutte queste misure punitive hanno appena frenato l’epidemia della nostalgia comunista: la piu popolare t-shirt tra i berlinesi dell’est oggi è una maglietta che dichiara “Ridammi il mio Muro. E questa volta lo facciamo due metri più alto! ”

Con l’attenzione dei governi occidentali e del pubblico ora incentrata sulle tensioni e  i conflitti nel mondo arabo, la gente tende a ignorare o dimenticare la crisi che attanaglia le nazioni ex-comuniste. Data la disuguaglianza rampante,l’ immiserimento, la corruzione del governo, e la criminalità organizzata che hanno caratterizzato l’ordine post-comunista, la situazione in queste terre ex comuniste non è meno infuocata che in Nord Africa e del Medio Oriente, e uno di questi giorni potrebbe rivelarsi essere molto più instabile di quanto si sia fino ad ora immaginato. Sono la Tunisia, l’Egitto o anche la Libia un probabile scenario futuro per questa regione travagliata?

Per ora, i cittadini a lungo sofferenti ma molto pazienti di questi paesi in transizione stringono i denti nella speranza che le prossime elezioni possano portare al potere un Redentore salvatore su un cavallo bianco che—insieme all’assistenza più generosa delle presunte tasche senza fondo dell’occidente—sbrogli finalmente le loro fallite società  dall’abisso nel quale sono cadute.
Le persone comuni nella parte ex comunista del mondo credono che le sue rivoluzioni democratiche e le sue  aspettative siano state tradite, dirottate o rubate da svariate “forze oscure”, passando dalle elite ex comuniste che ora hanno sostituito il loro passato potere politico con il potere dei soldi ad una corrotta alleanza corrotta di pseudo-”democratici” locali e avidi capitalisti occidentali e, infine, ad una insiodiosa cospirazione che coinvolge l’FMI, la Banca Mondiale, la Fondazione Soros e la “finanza internazionale ebraica”

Solo il tempo ci dirà se le preghiere esaudite delle nazioni ex-comuniste saranno provate da una punizione dall’alto. D’altra parte, potrebbe aprire nuove prospettive a queste nazioni che lottano per resistere alla potenza di frantumazione delle banche internazionali e imprese multinazionali con l’adozione di riforme progressiste tese a creare un ordine democratico del mondo non controllato dai signori della globalizzazione e della élite locali aquirenti  che li servono.

LINK:The Tragic Failure of “Post-Communism” in Eastern Europe

TRADUZIONE:Cori In Tempesta


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