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#Era una notte che se ne andava, e un altro sole che sorgeva giù nel barrio. Valencia.

Creato il 28 ottobre 2014 da Ultimo Hotel

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Era solo un’altra giornata che scorreva giù nel barrio.

Valencia, la mia bella e soleggiata Valencia.

Intorno c’era il sole e la vita era scandita dai passi che muovevamo su quella strada di quartiere ogni mattina.

Ricordo le risate, attimi di emozione i primi giorni che dovevamo scoprire quella città, passando tra i murales sotto casa. Il barrio del Carmen ne era pieno.

C’era il buio, poi le luci silenziose che illuminavano noi, con gli occhi tra le stelle.

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Il caldo pazzesco ci faceva amare ancora di più quella sangria o l’ineguagliabile Agua de Valencia, mentre ammiravamo skaters pazzi fare acrobazie nell’incantevole Plaza de la Virgen.

Valencia, terra di ricordi andati e sorrisi perduti, rimasti su quella panchina nel verde più verde dove mi sentivo in pace con il mondo.

I Giardini del Turia: un immenso giardino lungo chilometri dove la gente del posto si coccola facendo una corsa, si rilassa nei prati verdi, o passeggia tra gli aranceti.

Dove se passeggi e non ci pensi, ti accorgi che vicino a te c’è il mare. Un indizio in più per capire che questi giardini sorgono sul letto di un fiume ormai deviato.

Valencia è una strada tra le  palme, è una terra tra storia e incredibile modernità, una terra di mare.

La Lonja de la Seda, le cattedrali, la  Plaza de Toros, la sontuosa Estaciòn del Nord, la Plaza del Ayuntamiento.

La maestosa modernità frutto del genio di Calatrava, architetto valenciano, che ha concepito la Città delle Arti e della Scienza, l’Oceanografico.

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E poi c’è il Mediterraneo che bagna questa città. Localini sulle passeggiate lunghissime che costeggiano le spiagge de La Malvarosa e Las Arenas.

Valencia, terra di gente che parla, che canta, vive.

Dove la sera, seduto a un tavolino in una laterale di Plaza del Ayuntamiento, puoi imbatterti in un raduno di chitarristi spagnoli che suonano e cantano, in un delirio fatto di melodie e mani che applaudono.

E quella sera tra chitarre, canti e felicità nell’aria, io e il mio grande compagno di viaggi ci ritrovammo a parlare del più e del meno, con quel chitarrista dal cappello strano.

Come di solito accade, parlammo di Italia, di Spagna, di viaggi, di cose belle, di cose brutte.

La serata stava volgendo al termine, il tempo stringeva: il chitarrista accennò un saluto: sapevamo che non l’avremmo più rivisto.

Poco più avanti, qualcuno dormiva su una panchina tra lattine vuote e gente che lo guardava stranita. Forse l’ennesimo figlio della notte valenciana. Ero sicuro che si sarebbe svegliato con un gran mal di testa.

Tra grida, voci e macchine impazzite nel cuore della notte andammo via contenti.

Nella testa ancora l’eco delle giornate appena passate, emozioni e immagini che scorrevano lente come in un film troppo lungo da seguire, ma troppo breve da dimenticare.

Accesi una sigaretta, guardai il mio amico e sorrisi.

Era una notte che se ne andava, e un altro sole che sorgeva giù nel barrio.

L’indomani un aereo ci avrebbe riportato a casa. Ma lo sapevo. Lo so.

Lo so che tra le palme e gli aranceti di Valencia, c’è ancora qualche sorriso che mi appartiene.

 


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